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Dagli esordi di via Umberto all’impronta firrarelliana: i fedelissimi del Cavaliere

Storia del berlusconismo biancavillese di stampo democristiano (fino all’abominevole alleanza col Pd)

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Il volto nuovo estraneo ai politici di professione, l’imprenditore fatto da sé, il milione di posti di lavoro, la campagna martellante della Fininvest… L’armamentario del berlusconismo nascente, a Biancavilla non fa subito breccia nella politica locale. Il vento di Arcore, però, arriva nell’elettorato biancavillese, suscitando entusiasmi anche nei quartieri cosiddetti popolari: «Ora c’è Fozza Italia, votiamo Bellucconi». E pure in paese, striscioni e manifesti col cielo azzuro infondono fiducia. Alle Politiche del 1994, a pochi mesi dalla “discesa in campo”, i biancavillesi tributano 2126 voti, cioè il 17%, al Cavaliere. Ma il Pds è un “cingolato”, che si attesta partito più votato con 5359 preferenze (pari al 43%). Già alle Europee dello stesso anno, Forza Italia si posiziona come prima lista a Biancavilla con il 29%, seguita per una manciata di voti dal Pds.

C’è chi cerca di organizzare una struttura di partito, che nel Catanese vede Umberto Scapagnini e Salvo Fleres tra i referenti della prima ora. Del nucleo di pionieri “forzisti” biancavillesi vanno citati Carmelo Cantarella detto “ragioniere” e Dino Giardina. Viene aperta una sede (un “club”, come si chiamavano) in via Umberto. Diversi piccoli imprenditori guardano Silvio con ammirazione e sembrano farsi avanti. Si avvicinano ex socialisti (come l’ex sindaco Antonino Russo) e più in là Marcello Merlo, altro ex primo cittadino, proveniente da Rifondazione Comunista.

Ma alle storiche Amministrative di novembre – le prime con l’elezione diretta del sindaco – il simbolo di Forza Italia non c’è. Tra le otto liste presentate, appare, comunque, la civica “Forza Sicilia”, che richiama il progetto di “Sua Emittenza”. I risultati sono modesti: è la penultima per preferenze, appena 944, sufficienti tuttavia a fare eleggere un consigliere comunale: Salvatore Viro. Tra gli altri candidati, ci sono Armando Caudullo, Giosuè Mancari, Giuseppe Santangelo, Salvatore Scirocco, Carmelo Zingano…

Il Cavaliere si impone agitando lo spettro del “pericolo comunista”. Ma dieci mesi dopo il discorso “L’Italia è il paese che amo…”, a Biancavilla la “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto è in smagliante condizioni. L’argine al berlusconismo tiene. Nonostante la spaccatura (il Pds con la candidatura a sindaco di Alfio Petralia e i “Progressisti per Biancavilla” con Pietro Manna), l’intero fronte accumula 4806 voti di lista, a cui affiancare i 2042 del Partito Popolare Italiano. Numeri destinati negli anni successivi – fra non poche contrapposizioni – a costituire l’alleanza organica di Centrosinistra.

La nuova prova sul campo è quella delle Amministrative del 1998. Eppure, gli apparati locali non mostrano alcun interesse per il simbolo berlusconiano. La lista di Forza Italia viene abbinata al candidato sindaco calaciuriano Salvo D’Agati, ma si rivela un contenitore vuoto: 366 preferenze, pari al 2,85%.

Dal primo forzista in aula al gruppo dei 4

Dalla “discesa in campo” del Cavaliere, bisognerà attendere sei anni perché a Biancavilla il suo partito entri in Consiglio Comunale. Frutto, peraltro, di una manovra di palazzo. Avviene nel 2000, quando il gruppo firrarelliano dell’Udr (Unione della Repubblica) transita in Forza Italia. Nino Greco lascia la coalizione del sindaco diessino Pietro Manna per passare all’opposizione. È lui il primo consigliere “azzurro” dell’assemblea cittadina, seguito poi da Alfredo Amato e Tonino Greco.

Le intenzioni liberali delle origini di FI fanno spazio, dunque, all’impronta democristiana del notabile di Bronte, con Nino D’Asero referente biancavillese. È il periodo in cui il partito si dà una struttura nel territorio, come non era mai avvenuto: apre la sede di via Vittorio Emanuele, all’angolo con via Gramsci, e Antonio Cunsolo è il primo coordinatore cittadino, a cui poi subentrerà Placido Santanocita.

Le Politiche del “61-0” in Sicilia nel 2001 vedono i forzisti primi a Biancavilla, sfiorando il 24% con 2098 voti alla Camera. Numeri analoghi per le Regionali dello stesso anno. Perché i berlusconiani entrino per la prima volta in Consiglio Comunale, attraverso il verdetto delle urne, bisognerà attendere il 2003, quando la lista, a sostegno di Mario Cantarella, supera il 13%. Ottiene così quattro seggi (Mario Amato, Vincenzo Amato, Salvo Saitta e Franco Lanza) con Dino Pennisi e Liborio Scaccianoce in Giunta.

Glorioso col Pd adagiato su salsa berlusconiana

Cinque anni più tardi, caso unico in Italia e evento mai avvenuto nella storia politica locale, destra e sinistra varano la prima Giunta “Fiamma e Martello” di Pippo Glorioso con Mario Cantarella e Nino D’Asero tra i fautori, la benedizione di Pino Firrarello, il benestare dei vertici provinciali Dem ed il silenzio della Cgil.

Il berlusconismo in salsa biancavillese si fonda con il Pd e Rifondazione Comunista, nella più innaturale e abominevole delle alleanze possibili. Un’esperienza di un paio d’anni che vede gli azzurri Placido Santanocita e Liborio Scaccianoce ed un giovanissimo Antonio Bonanno (Alleanza Nazionale) tra gli assessori dell’allora Pdl. Al loro fianco, per conto del Pd e di una lista “gemella”, Nino Benina, Giuseppe Milazzo e Carmelo Origlio.

A completare il quadretto, per i primi mesi, pure il “compagno” Piero Cannistraci, poi rimpiazzato con Salvatore Pastanella, ricordato dagli annali come l’ultimo segretario cittadino dei Democratici di sinistra. L’apoteosi delle oscenità. Con buona pace dei duri e puri. Opportunamente muti. La produzione fotografica della propaganda di quella stagione è meritevole di un’appendice al Cafonal di Dagospia.

Da Manna ai “Bonanno boys” e al Mario azzurro

Quadro ancora più stravolto cinque anni dopo: boom di liste civiche. I berlusconiani biancavillesi, raggruppati nel Pdl (da cui si era già staccata l’ala ex An), avendo già gustato l’esperienza con il cigiellino Glorioso e a riprova della vocazione democristiana, candidano nientemeno che l’ex sindaco diessino Pietro Manna, preferendolo ad Antonio Bonanno. In Consiglio entrano Ada Vasta e Mario Amato, riferimenti firrarelliani di Nino D’Asero, poi distaccatisi dall’orbita forzista, aprendo la breve esperienza dell’Ncd di Alfano.

Con Salvo Pogliese, nel perimetro azzurro entrano i “Bonanno boys” e nel 2014 apre la sede (nei locali dell’attuale moschea) e si costituisce il gruppo consiliare: Daniele Sapia, Fabrizio Portale, Mauro Mursia e Veronica Rapisarda (subentreranno dopo Vincenzo Amato e Dino Caporlingua). Nell’Esecutivo del partito ci sono pure Carmelo Mignemi, Rosy Ranno, Vincenzo Giardina e Agatino Neri, nominati dal coordinatore regionale Enzo Gibiino, mentre è nel coordinamento provinciale Antonio Bonanno.

Quando quest’ultimo riprova nel 2018 la carta della sindacatura, del simbolo distintivo che richiama il partito del Cavaliere non c’è alcuna traccia. Quel che resta di un azzurro ormai sbiadito, confluisce in liste civiche. Il gruppo Bonanno, intanto, abbandona Forza Italia, con l’accusa di essere diventato «un partito in mano a dei tiranni», e va con Fratelli d’Italia. Inizia il commissariamento affidato a Fabrizio Portale.

Al contrario, il gruppo di Mario Cantarella abbandona La Russa e Meloni per trovare un approdo azzurro. L’ex sindaco ottiene una candidatura all’Ars. E pur non eletto, rivendica berlusconianamente: «Sono sceso in campo con la passione, la voglia e lo spirito di sempre…». Già, proprio Mario Cantarella, che nelle vesti di sindaco, a colloquio con Luciano Mirore su L’Informazione, si mostrava in realtà anti-berlusconiano. E indicava in tre punti quanto di detestabile ci fosse nelle politiche del Cavaliere: «Il liberismo eccessivo, la convinzione che tutto sia un immenso mercato, l’indifferenza per i problemi sociali».

Il berlusconismo, tatuaggio indelebile

Ma in fondo, tutti sono figli dell’uomo di Arcore. Tutti. In modo diretto o indiretto, da destra a sinistra. C’è chi ha subito il suo fascino, chi ne è rimasto folgorato, chi è stato influenzato, anche senza esserne consapevole. Da testimoni della vita pubblica locale, negli ultimi 25 anni abbiamo riscontrato in ogni partito e schieramento, nella maggioranza e nell’opposizione, quanto di deteriore il Cavaliere abbia introdotto nella dialettica pubblica.

Una contaminazione che non ha risparmiato nessuno. Come negare – per fare alcuni esempi – i toni populistici, il linguaggio qualunquista, l’enfasi demagogica, il modello aziendalista, la prassi familistica e la retorica sulla famiglia, la personalizzazione dell’impegno politico, l’intolleranza alle critiche intesi come qualità di certa dirigenza del Partito Democratico di Biancavilla? Sono caratteri entrati nelle viscere della Sinistra, al punto che in essa si ritrova a proprio agio pure chi è cresciuto cantando Azzurra libertà e intonando Menomale che Silvio c’è.

Non importa se, a Biancavilla, alla notizia della scomparsa del Cavaliere che conclude la lunga saga berlusconiana, nessuno abbia speso una parola o scritto un comunicato (a parte il ricordo personale del sindaco Bonanno). Silvio Berlusconi è morto e le bandiere a mezz’asta sono apparse anche nel nostro municipio. Ma il berlusconismo è materia vivente: nella politica, nelle istituzioni, nella vita civile. È un tatuaggio indelebile sulla pelle di ognuno.

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Il sindaco Bonanno ricorda il 25 Aprile, ma dimentica la parola “fascismo”

Il presidente del Pd, Alfio Distefano: «Così si rischia di snaturare il significato di questa ricorrenza»

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Un momento della commemorazione dello scorso anno

«Nella Giornata del 25 Aprile, Festa della Liberazione, i valori democratici vanno affermati con nettezza e nel fare ciò bisogna esprime l’avversione a tutti i regimi totalitari e autoritari che restringono la libertà. La celebrazione della nostra ritrovata libertà deve aiutarci a comprendere e rafforzare il ruolo dell’Italia nel mondo come imprescindibile baluardo di democrazia. Viva la libertà, Viva la democrazia, Viva l’Italia».

Con queste parole, il sindaco di Biancavilla, Antonio Bonanno, ha ricordato la ricorrenza della Liberazione. Ma, come accaduto anche in anni precedenti, non ha pronunciato la parola “fascismo”. C’è il riferimento ad una generica «avversione a tutti i regimi totalitari e autoritari», ma senza citare il dato storico della caduta della dittatura di Mussolini e della cacciata dei nazisti di Hitler. Dettaglio che non è passato inosservato. Un atteggiamento peraltro in linea con quello della presidente Giorgia Meloni e della sua maggioranza. Ma si può celebrare la Liberazione, omettendo di ricordare l’occupazione nazifascista?

L’intervento di Alfio Distefano

Così, a margine del 25 aprile, è il presidente del Partito democratico di Biancavilla, Alfio Distefano, ad affidare ad una nota stampa la sua riflessione.

«Le parole – scrive Distefano – rischiano di snaturare il profondo significato di questa ricorrenza, strumentalizzandola in modo inaccettabile. Il 25 aprile non è, come affermato dal sindaco e da parte della sua giunta, una semplice giornata commemorativa dei caduti di tutte le guerre o una celebrazione generica contro i regimi totalitari. Si tratta, piuttosto, di una data ben precisa che segna un momento fondamentale nella storia del nostro Paese: la liberazione dal regime nazifascista, avvenuta nel 1945 grazie al sacrificio dei partigiani e all’impegno congiunto di tutte le forze antifasciste. È un giorno in cui dovremmo riflettere sul coraggio e la determinazione dei partigiani italiani che, con grande sacrificio e rischio personale, lottarono per l’ideale di libertà e democrazia».

Distefano sottolinea ancora che «celebrare il 25 aprile significa non solo onorare la memoria di chi ha combattuto e dato la vita per la libertà, ma anche riaffermare con forza i valori antifascisti che sono alla base della Repubblica Italiana. Valori che, come recita la nostra Costituzione, ripudiano la guerra e la violenza e pongono al centro la tutela dei diritti umani e la democrazia».

«Distorsione della memoria storica»

«Ritengo inaccettabile – specifica il presidente del Pd – che i rappresentanti delle istituzioni, come Sindaco e Giunta comunale, possano mettere in discussione il significato profondo del 25 aprile, alimentando una pericolosa distorsione della memoria storica, dove tale strumentalizzazione rischia di offendere la memoria di chi ha combattuto e di minare i valori stessi su cui si fonda la nostra democrazia».

Da qui, dunque, la richiesta di Distefano rivolta agli amministratori comunali ad «impegnarsi a promuovere una corretta e consapevole celebrazione del 25 aprile, commemorare questa giornata con il rispetto che merita e che sia occasione di riflessione e di riaffermazione dei valori antifascisti che uniscono l’Italia».

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