Cronaca
“Ultimo atto”, ecco gli affari del clan di Biancavilla nel racconto dei pentiti
Apporto determinante dato da quattro collaboratori di giustizia, in primis Vincenzo Pellegriti

C’erano gli affari tradizionali: droga e pizzo. Ma anche il business del trasporto merci su camion. A svelare le attività del ricostituito clan di Biancavilla con la guida di Giuseppe Mancari u pipi (figura carismatica che riporta agli anni ’80 quando dominava ancora la famiglia Gurgone) sono diversi collaboratori di giustizia biancavillesi e adraniti. Sono loro, in primis Vincenzo Pellegriti (assieme a Giovanni La Rosa, Graziano Pellegriti e Salvatore Giarrizzo), ad avere dato un contributo di conoscenza degli assetti e degli illeciti dell’organizzazione. Contributo che si aggiunge all’attività d’indagine, tecnica e sul campo, sviluppata meticolosamente dai militari della Compagnia di Paternò e della stazione di Biancavilla.
Così, il blitz “Ultimo atto” della Dda di Catania, eseguito dai carabinieri, ha fatto scattare le manette a Mancari e 12 suoi “apostoli”, oltre a mettere sott’inchiesta altri cinque soggetti, non raggiunti da misura cautelare.
L’ordinanza del Gip Daniela Monaco Crea, che Biancavilla Oggi ha letto, conto oltre 800 pagine: un testo “enciclopedico” aggiornato al 2019-2020 sui nuovi assetti mafiosi locali.
Ad affiancare zio Pippo c’è Giovanni Gioco. Loro fedelissimi sono Placido Galvagno, Piero Licciardello, Salvatore Manuel Amato, Mario Venia e, fino al suo pentimento, Vincenzo Pelleriti, ora affidato al Servizio Centrale di Protezione.
Una “agenzia” per tre clan
Un canale di finanziamenti milionari per il clan è rappresentato dalla cosiddetta “agenzia”, cioè l’attività del trasporto merci con un’imposizione monopolista tra Biancavilla e Adrano ed il pacifico accordo tra le famiglie mafiose del territorio. L’inchiesta ha portato al sequestro preventivo (finalizzato alla confisca) di due società con relativi conti correnti e beni aziendali per un valora complessivo di 5 milioni di euro. Si tratta della “MM Logistic di Miriana Militello” di Adrano e della “M.N. Trasporti srl” di Biancavilla, ora affidate ad un amministratore giudiziario.
“Questa agenzia – ha svelato Giovanni La Rosa – sostanzialmente controlla tutti i trasporti su camion a Biancavilla e… ogni camionista deve pagare circa 200 euro per ogni bancale trasportato ed è obbligato a farlo. Dunque, l’agenzia altro non è che una forma di estorsione ai danni dei camionisti, ai quali viene imposto di pagare un dazio se vogliono lavorare a Biancavilla”.
Non è una “cosa” nuova a Biancavilla. Sì, perché nello stesso settore e con la stessa “agenzia” avevano a che fare pure vecchi mafiosi come Alfredo Maglia (morto ammazzato ad Adrano) e Placido Tomasello u canazzu (finito all’ergastolo per omicidio).
Il giro d’affari è ingente, ha confermato Salvatore Giarrizzo: “I proventi vengono divisi tra tutte e tre le famiglie coinvolte: la parte di Biancavilla viene prelevata direttamente da u pepe (di cui ora non ricordo il nome), la restante parte viene distribuita tra la famiglia Scalisi e la famiglia Santangelo di Adrano”. Di fatto, “la struttura impone ai magazzini di rivolgersi a loro per ogni trasporto e si si vuole effettuare qualsiasi viaggio non vi altra possibilità. Nessuno può organizzare diversamente il trasporto”.
Marijuana, affare sempre… verde
C’è poi il capitolo del traffico di sostanze stupefacenti, in particolare marijuana. Anche in quest’ambito la “collaborazione” con gli adraniti per la fornitura è documentata dalla presenza di Cristian Lo Cicero alle varie riunioni organizzative promosse da Mancari u pipi nel suo quartier generale di Spartiviale.
Questo canale di affari, nello specifico, era curato da Placido Galvagno: era lui a stabilire – secondo gli esiti dell’inchiesta – prezzo d’acquisto e vendita. Mario Venia e Vincenzo Pellegriti avevano l’organizzazione, mentre lo spaccio avveniva con Piero Licciardello, Salvatore Manuel Amato, Fabrizio Distefano, Nicola Minissale e Nunzio Margaglio.
Pellegriti vantava una lunga esperienza nella gestione dello spaccio a Biancavilla. Un settore che ben conosce, fin dal suo rientro dal nord (dove faceva il muratore) su suggerimento di Vincenzo Cardillo. Quando Pellegriti uscì da un periodo di detenzione, per rimettersi in attività, andò a consulto da Mancari. Così racconta nei verbali di quel momento: “Lui è un capo storico del clan, certamente veniva informato delle attività illecite ed io stesso gli chiesi il permesso di spacciare, cosa che mi venne concessa”.
Il pizzo pure a San Placido
Per quanto rischioso, non poteva mancare l’attività estortiva. Certo, non siamo pià negli anni ’80-’90, quando l’imposizione avveniva a tappeto sulle attività commerciali e imprenditoriali a Biancavilla. L’inchiesta Ultimo atto ha documentato sei episodi: dalle forniture edili al gommista, dall’edicola al bar… Tariffe abbordabili, giusto per non creare allarme o tensioni. Infatti, nessuna denuncia e nessuna collaborazione è mai arrivata da ditte o esercizi commerciali. In genere, la richiesta era di 500 euro, da versare per Pasqua, Natale e la festa di San Placido. Sì, le celebrazioni per il patrono di Biancavilla era un’occasione imperdibile per il clan
“Chi voleva montare una bancarella – svela Vincenzo Pellegriti – era costretto a comprare la carne di cavallo per il tramite del clan mafioso… ad un prezzo molto maggiorato. Se qualcuno si rifiutava… veniva minacciato e poi gli danneggiavamo la bancarella, anche dandole fuoco”. Imposizioni rivolte persino ai gestori delle giostre (la ruota o il tagadà, per esempio), dettaglio di “colore” su cui si sono concentrate le cronache della stampa e dei tg nazionali. I giostrai erano obbligati a pagare 400-500 euro ma anche “a dare circa 100 blocchetti da circa 20 biglietti gratuiti per i figli dei detenuti”. In fondo doveva essere festa per tutti, in quello spirito corale che da vecchia tradizione culmina nel grido “Evviva San Placido”.
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Cronaca
In auto contro lo scooter: non è stato un incidente, ma un atto di “vendetta”
Diciottenne di Biancavilla denunciato per lesioni e atti persecutori ai danni di un coetaneo di Adrano

Ha provocato un incidente stradale con l’intento di “vendicarsi” di un acceso diverbio avvenuto nei mesi scorsi. Un biancavillese di 18 anni è stato così denunciato dalla Polizia di Stato. Il giovane ha architettato il piano perché non si era rassegnato alla lite per futili motivi con una ragazzo 17enne di Adrano.
Il minorenne stava percorrendo in scooter via della Regione, ad Adrano. Proprio nei pressi della sede del Commissariato di Polizia era stato tamponato dall’auto guidata dal 18enne, finendo a terra, con una gamba bloccata sotto il peso dello scooter. Per tutta risposta, il giovane biancavillese, anziché prestare soccorso, è sceso dall’auto e, dopo una rincorsa, ha sferrato un violento calcio contro il ragazzino.
Una pattuglia di poliziotti ha assistito alla scena e ha fermato l’aggressione ancora in corso, bloccando il 18enne e prestando le prime cure al minorenne. Dopo qualche minuto, è arrivato il padre della vittima, accompagnata poi al pronto soccorso dell’ospedale “Maria Santissima Addolorata” di Biancavilla. La prognosi è stata indicata in sette giorni.
I poliziotti del Commissariato hanno compiuto dettagliati accertamenti per ricostruire la dinamica dei fatti e, dopo le attività di indagine, sono risaliti alle reali cause dell’aggressione.
L’origine dei rapporti conflittuali tra i due sembra essere legata ad un alterco avvenuto per futili motivi qualche mese addietro, con il 18enne che, in più occasioni, avrebbe tentato di “vendicarsi dell’affronto patito”. Il giovane è stato denunciato, in stato di libertà, per lesioni pluriaggravate ed atti persecutori.
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Cronaca
Così i dipendenti venivano intimoriti: «Attenti, il filo si può spezzare»
Lo sfruttamento dei lavoratori del supermercato, i retroscena di un’inchiesta avviata nel 2023

«Un quadro inquietante di sfruttamento lavorativo». Dietro i volti gentili e sorridenti di banconisti, cassieri, addetti agli scaffali e magazzinieri si celava una realtà ben diversa. Nell’ordinanza con cui il Gip del Tribunale di Catania, Maria Ivana Cardillo, ha disposto le misure cautelari, vengono messi in evidenza gli elementi che hanno portato all’arresto di Luca Bonomo e Vincenzo Strano, rispettivamente titolare e direttore commerciale del supermercato di via Arti e Mestieri, a Biancavilla. Il marchio è Decò, ma la gestione è autonoma e indipendente dal Gruppo Arena. L’indagine, eseguita dalla Guardia di finanza di Paternò, è culminata anche con il sequestro preventivo dell’azienda e la nomina di un amministratore giudiziario.
Dalle quindici pagine dell’atto emergono – come è in grado di raccontare Biancavilla Oggi – episodi di sfruttamento: ferie e straordinari non pagati, stipendi da fame, in alcuni casi persino inferiori a 2 euro l’ora. Evidenziato anche lo stato di profondo bisogno in cui versavano i dipendenti, costretti ad accettare orari e retribuzioni falsificati. E poi, una forte sudditanza psicologica. Secondo il Gip, non si tratta di «una mera inosservanza di singole disposizioni normative, bensì… di un disegno criminoso».
Quando le verifiche amministrative e i controlli dei militari si sono intensificati, le due figure apicali hanno “avvertito” i dipendenti. Una lavoratrice ha riferito le indicazioni impartite da Strano: «Mi ha incalzata dicendomi che, se tenevo al mio lavoro, già sapevo cosa avrei dovuto rispondere… mi sono sentita sotto pressione». Stesso avvertimento sarebbe stato rivolto a tutto il personale, convocato per una riunione. Indicazioni ribadite poi da Bonomo: «Ci disse che, a seconda delle dichiarazioni rilasciate da noi dipendenti, il filo si sarebbe potuto spezzare».
Il filo, in realtà, si era spezzato già nel momento in cui le Fiamme Gialle avevano messo piede nel supermercato. Tutto era partito non da una denuncia, ma da un semplice controllo amministrativo dei finanzieri paternesi, nel novembre 2023. Già in quell’occasione erano emerse violazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Da lì, la necessità di ulteriori approfondimenti su retribuzioni, orari, straordinari e altri aspetti contrattuali. Nella prima fase era stato sentito il commercialista e consulente del lavoro dell’azienda.
L’inchiesta si era quindi concentrata sul legale rappresentante della società per «evidenti indizi di sfruttamento lavorativo desumibili da erogazioni di retribuzioni evidentemente difformi rispetto alle ore lavorate». Il lavoro investigativo era proseguito con l’audizione dei dipendenti. Tra questi, il ruolo chiave era quello del direttore del punto vendita, definito dagli inquirenti la “longa manus” del titolare. Una persona – secondo la Procura – perfettamente consapevole delle condizioni lavorative offerte al personale. Anzi, durante i colloqui con chi aspirava ad un’assunzione, l’uomo metteva subito in chiaro i vincoli a cui bisognava sottostare.
«Lo stato di bisogno – ha sottolineato il procuratore Francesco Curcio – ha inciso sulla libertà di autodeterminazione, inducendo i lavoratori ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose e illecite, non riconosciute né dalla contrattazione collettiva né dalla normativa giuslavoristica».
Secondo la Guardia di finanza, la mancata regolarizzazione delle retribuzioni ha permesso al punto vendita di ottenere un risparmio illecito di oltre 2,7 milioni di euro, tra stipendi non versati e contributi omessi.
I due indagati – scrive ora il Gip – potrebbero avvicinare i dipendenti, sfruttando la loro vulnerabilità, per indurli a tacere o a fornire versioni alterate dei fatti. C’è, dunque, il rischio di reiterazione del reato e inquinamento delle prove. Da qui, l’applicazione degli arresti domiciliari, con pesanti contestazioni: intermediazione illecita, sfruttamento del lavoro e autoriciclaggio.
Il supermercato, comunque, rimane aperto. L’attività va avanti. La presenza dell’amministratore giudiziario, il dott. Luciano Modica, nominato dall’autorità giudiziaria, rappresenta la garanzia massima per il pieno rispetto, d’ora in avanti, dei diritti dei lavoratori.
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