L'Intervista
Dalla Liberazione al prossimo voto comunale: il 25 aprile di Alfio Grasso
A colloquio, tra memorie storiche e cronaca politica, con l’ultimo padre nobile della Sinistra
Tutte le volte che ci apre la porta di casa sua, facendoci accomodare nel suo studio gremito di volumi fino al soffitto, il tempo sembra fermarsi. Ci cattura tra mille racconti di vita politica vissuta e ipotesi di ricerca storica, senza stancarci di ascoltare e apprendere. Vogliamo un gran bene ad Alfio Grasso, galantuomo della Sinistra biancavillese: l’ultimo vecchio “compagno”, protagonista di lotte contadine e battaglie politiche. Nella parete alle spalle della sua scrivania, una foto in bianco e nero lo ritrae al vertice della Lega delle cooperative. A fianco, la cornice con il verbale del suo giuramento da sindaco comunista davanti al prefetto datato 22 ottobre 1979. Elementi che riassumono l’impegno politico e sindacale di una vita.
Autore apprezzatissimo della nostra casa editrice Nero su Bianco, con Grasso stavolta non parliamo di progetti editoriali (seppur ne abbiamo diversi in corso con lui). Per Biancavilla Oggi gli abbiamo chiesto una riflessione e una testimonianza sul 25 aprile e siamo finiti a discutere delle prossime Amministrative, senza che Grasso si sia risparmiato in analisi critiche verso «il vuoto e il menefreghismo» del Partito Democratico. Può permetterselo dall’alto dei suoi 92 anni, con la lucidissima capacità di spaziare dalle memorie storiche alla cronaca politica di queste settimane.
Caro Grasso, buona Festa della Liberazione. Quale il significato, oggi, di una ricorrenza fondamentale per la nostra Repubblica e la nostra democrazia?
È stato il momento del cambiamento. Quella di oggi è una giornata che ci ricorda e deve ricordarci che l’Italia si è liberata dal fascismo, nonostante qualcuno dica che l’antifascismo non stia scritto nella nostra Costituzione.
Già: le recenti parole pronunciate da Ignazio La Russa, presidente del Senato.
E questo qualcuno o non capisce o cerca così, in qualche maniera, di sopravvivere, politicamente.
La Sicilia venne liberata dall’occupazione nazifascista nel ’43. Quell’estate, quando a Biancavilla arrivarono gli Alleati, lei come la ricorda?
Io avevo 13 anni. Mio padre era in guerra. La mia famiglia, come tutta la popolazione di Biancavilla, venne sfollata: mia mamma, una zia, una nonna, io e mia sorella. Fummo ospitati alle Vigne, in contrada Stidda, da una parente. Ad eccezione di quanto avvenuto in via Inessa, non ho ricordi di bombardamenti a Biancavilla. Ricordo, però, gli allarmi: bisognava mettersi al riparo, non esporsi, non accendere le luci.
L’avversione di Biancavilla verso Mussolini ha radici lontane. Lei lo sottolinea nel volume “Biancavilla contro il Duce” (pubblicato dalla nostra casa editrice), in cui ricostruisce i fatti della prima sommossa popolare antifascista. Era il 23 dicembre 1923, cioè siamo agli albori del regime.
La sommossa fu causata dall’imposizione di balzelli sull’intera popolazione, ma senza dubbio vi era un sentimento antifascista diffuso. Si sollevò un intero paese. All’epoca, protagonista politico era Alfio Bruno, un defeliciano, un liberal-democratico, socialisteggiante: l’ultimo sindaco democraticamente eletto prima del fascismo.
La sommossa avvenne con assalti alla Casa del fascio (qui al ritratto di Mussolini furono cavati gli occhi), alla caserma delle guardie municipali, ai casotti del dazio, al Casino dei civili e con le minacce di incendiare il municipio…
Fu una grande manifestazione di popolo. Per Biancavilla è motivo di orgoglio questo imponente atto di ribellione con carattere antifascista.
Nel suo volume, sottolinea il ruolo avuto in quel contesto da parte ecclesiastica. Un ruolo complice del nascente regime.
La critica in tal senso va rivolta in maniera specifica ad un personaggio.
Si riferisce a padre Antonino Arcidiacono, uomo di spiccata vocazione politica, nei confronti del quale lei non è stato indulgente.
Arcidiacono era uno sturziano, ma quando Luigi Sturzo fu messo da parte, lui si adeguò al nuovo corso. E nella sommossa del ’23 ebbe il ruolo di informare il segretario del Fascio di Biancavilla, Lavenia Tistazza, degli avvenimenti, lanciando l’allarme. Si veda il libro di Giosuè Messina, La Collegiata di Biancavilla, pubblicato da Nero su Bianco, con il giudizio non lusingiero che l’arcivescovo Giuseppe Francica Nava dà di padre Arcidiacono.
Ma si sa: il cammino verso la democrazia è stato lungo e con percorsi non sempre lineari. Per l’elezione del primo sindaco comunista a Biancavilla, voi doveste attendere fino al 1956 con la proclamazione di Peppino Pace.
All’epoca ero consigliere comunale e il mio voto contribuì alla sua elezione. Peppino Pace fu molto popolare e amato dai cittadini. La sua amministrazione, formata da comunisti e socialisti, non ebbe vita facile nell’approvazione dei progetti o nell’accesso a finanziamenti pubblici. Ricordo quando i netturbini -quasi tutti iscritti alla Uil – decisero legittimamente di scioperare perché gli stipendi non erano stati pagati. A quel punto, il sindaco Pace riunì la Giunta: «Carusi, ca n’ama sbrazzari». Detto così: ci dobbiamo sbracciare, il paese deve essere pulito, anche perché vicini alle festività del patrono San Placido. Tutti i consiglieri e i dirigenti politici comunisti e socialisti, anche semplici militanti, abbiamo effettuato la pulizia. C’era questo spirito allora, un senso civico oggi impensabile.
Noi di Biancavilla Oggi abbiamo affermato più volte che la storia della Sinistra a Biancavilla, intesa come continuità ed integrità di valori e percorsi, può essere delimitata tra l’esperienza di Alfio Bruno, ad inizio ‘900, e quella di Pietro Manna, tra anni ’90 e 2000. Condivide il giudizio?
Sì, certamente sì. Si può affermare. Alfio Bruno, Peppino Pace e Pietro Manna possono essere annoverati come i sindaci protagonisti della Sinistra. Della prima Giunta Manna sono stato assessore anziano.
Rispetto ad una memoria storica così importante, che effetto le fa oggi vedere lo strapotere della destra a Biancavilla? Nelle elezioni più recenti, Fratelli d’Italia dominante e numeri imbarazzanti per il Pd.
Imbarazzanti senza dubbio. Non li sottovaluto. Non direi strapotere della destra. Manca un gruppo nella Sinistra capace di iniziativa politica. C’è un vuoto a sinistra. Anzi, direi che c’è stata una sorta di menefreghismo.
Andrà a votare i prossimi 28 e 29 maggio per le Amministrative?
Sì, certamente. Io sono di sinistra, non rinuncio al mio diritto al voto. Voto per la sinistra, per Ingiulla e per la lista del Pd, pur restando critico rispetto al modo in cui si è arrivati a certi passaggi. Passaggi che conosco e che non condivido. Ingiulla ha cercato di organizzare qualcosa, mescolando un insieme di persone in una “cosa” che poteva essere fatta con molta più… dignità.
Si riferisce a personaggi che nulla c’entrano con quel partito e quella cultura politica?
Io parlo e mi esprimo, ma non sono un tesserato del Pd. Io avrei un’idea di organizzazione per vedere fin dove possa incidere. Perché, insomma, non mi va assolutamente che il segretario del Pd a Biancavilla sia Giuseppe Pappalardo. Non per la persona, ma per il suo percorso lombardiano. Vogliamo nascondere questo? Se lo vogliamo nascondere, ditelo.
Grasso, non facciamone una questione di singola persona. C’è un partito modificato sul piano genetico e antropologico.
Certamente, è così in tutta Italia. Però la nuova segretaria Elly Schlein entusiasma. Questo voglio dire: se ci fosse un gruppo capace di proporre iniziative, il Pd riavrebbe un ruolo.
Per il Consiglio Comunale ha un candidato di riferimento?
No, non li conosco. Vedo un giovane su grandi manifesti. Ma non so chi sia.
È Alfio Distefano, consigliere uscente: proprio lui rappresenta forse l’anima Pd a lei più vicina e vanta un percorso di coerenza.
Sì, ma non saprei riconoscerlo se lo vedo in strada. So che è sostenuto dalla Cgil, probabilmente lo voterò.
E con il sindaco Antonio Bonanno in che rapporti è?
Ci siamo incontrati in occasione della cerimonia di intitolazione del piazzale “Peppino Pace”. Ogni volta che vado al palazzo comunale, passo da lui per salutarlo.
Peppino Pace torna nei suoi ricordi. Ma c’è un altro suo compagno coetaneo, Giosuè Zappalà, scomparso di recente dopo una vita tra partito e sindacato. Al suo funerale, ricordo lei presente, assieme ad un ex avversario democristiano, Salvuccio Furnari. Solo voi due tra i politici. Mancavano la “Sinistra” e la Camera del lavoro: l’ulteriore segno di una comunità politica scomparsa.
Senza dubbio è triste. Forse sono rimasto l’ultimo dei vecchi comunisti. Io ho fatto un patto con me stesso: campare fino a 150 anni. Ma quando sarà il mio giorno, sicuramente non si ricorderà nessuno di me.
Caro Grasso si sbaglia, non sarà così.
PS La nostra casa editrice “Nero su Bianco” sta lavorando ad un nuovo progetto di pubblicazione sul periodo immediatamente successivo alla caduta del fascismo a Biancavilla e ad Adrano. Un volume sul triennio 1946-1948: la ricostruzione dei partiti, le prime consultazioni elettorali, i protagonisti politici dell’epoca. Tra le testimonianze contenute nel libro, anche quelle di Alfio Grasso e Giosuè Zappalà per la parte relativa al Partito Comunista Italiano.
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Cultura
Carmelo Bonanno: «Biancavilla e quel 2 giugno 1946, il ritorno alla democrazia»
L’autore di Nero su Bianco Edizioni:: «I valori dell’antifascismo e della libertà vanno difesi ogni giorno»
La caduta del fascismo, la fine della guerra, le macerie materiali e morali. Un paese da ricostruire. Biancavilla vive gli eventi con una partecipazione corale per ricostituire i partiti e svolgere le prime consultazioni elettorali, dopo la dittatura ventennale di Benito Mussolini. Carmelo Bonanno racconta gli eventi dell’immediato dopoguerra nel volume “Biancavilla e Adrano agli albori della democrazia”, pubblicato da Nero su Bianco Edizioni. Una ricerca ricca di testimonianze, che in quel 2 giugno 1946 vede la data cruciale per costruire un futuro carico di speranza, nel segno della libertà e del progresso.
Bonanno, quello è un giorno che ci restituisce la democrazia. Biancavilla come arrivò alle prime elezioni e al referendum del ‘46?
Biancavilla, a differenza dei comuni limitrofi, non conobbe la devastazione del suo territorio perché non subì i pesanti bombardamenti alleati di fine seconda guerra mondiale. Secondo i democristiani dell’epoca il merito fu di padre Antonino Arcidiacono e di altri due suoi amici carissimi che andarono a Piano Rinazze, dove erano stanziati gli Alleati, e mediarono con loro affinché Biancavilla fosse risparmiata. Secondo i comunisti del tempo, invece, furono i tedeschi che, notata la forte opposizione di Biancavilla, preferirono abbandonarla per evitare di rallentare la fuga dalle truppe alleate. Non sappiamo quale delle due versioni corrisponda a verità, magari in entrambe c’è del vero. Resta il fatto che Biancavilla arriva all’appuntamento elettorale in un quadro di maggiore “stabilità”.
Oggi ricorre anche l’anniversario del referendum istituzionale nel quale gli italiani si espressero a favore della Repubblica come forma di governo, anche se a Biancavilla – come in tutto il Mezzogiorno – la maggioranza scelse la Monarchia…
Sì, ma è anche vero che il risultato repubblicano a Biancavilla fu notevole perché la media siciliana di voti per la Repubblica era del 35% mentre a Biancavilla ottenne quasi il 49%.
Alle Amministrative dell’aprile 1946, a Biancavilla, la Democrazia Cristiana dominò conquistando 24 seggi su 30 in Consiglio Comunale ed eleggendo il farmacista Salvatore Uccellatore come sindaco, confermando poi il netto vantaggio sugli altri partiti anche alle elezioni dell’Assemblea Costituente del 2 giugno successivo. Biancavilla era (ed è) democristiana?
Sì, certo, Eccezion fatta per la parentesi comunista di Peppino Pace, la Dc seppe sempre rigenerarsi e governare, di fatto fino alla fine della cosiddetta Prima Repubblica.
Oltre a padre Arcidiacono e a Salvatore Uccellatore quali furono le altre personalità di spicco della Dc locale in quegli anni iniziali dell’Italia repubblicana?
Ebbero un ruolo importante Filippo Leocata, medico, e Alfio Minissale, ingegnere, impegnato nella formazione della classe dirigente giovanile dello Scudocrociato.
Che ruolo ebbero il clero e la Chiesa nel successo democristiano?
Un ruolo fondamentale. Esercitato anche attraverso la costituzione di iniziative associative quali quelle dell’Azione Cattolica, degli Uomini Cattolici e delle Donne Cattoliche. E di un comitato in cui ebbero un ruolo di prim’ordine padre Giosuè Calaciura e Salvatore Uccellatore, prodigatisi per venire incontro ai bisogni dei biancavillesi.
E le donne, appunto, che per la prima volta ebbero diritto di voto?
Le donne giocarono un ruolo importante già durante il periodo della guerra: diedero sostegno economico e sociale, anche tramite la Chiesa, ai bisognosi e alle vedove di guerra. La loro azione politica fu funzionale alle loro opere di carità e assistenza, poi ricambiate in voti per la Democrazia Cristiana. Fornirono spesso un contributo decisivo, convincendo le donne a votare Dc in contrapposizione al Pci.
La sinistra biancavillese, “minoritaria” ma comunque con un consenso significativo, percorse una strada ben più accidentata. Perché?
Perché, tra le altre cose, ci fu una “scissione” tra la corrente dibenedettiana e il resto del partito. E i comunisti, scomunicati, subirono una notevole pressione “interna” ed “esterna”. Lo stesso Di Benedetto, di professione riparatore e noleggiatore di biciclette e allora segretario della Camera del lavoro locale, fu accusato – secondo le testimonianze dell’epoca – di aver rubato parte degli pneumatici inviati dal sindacato provinciale. Pneumatici all’epoca utilizzati non solo per le bici ma anche e soprattutto per creare le suole delle scarpe. Da lì capì che era stato preso di mira e che fosse un capro espiatorio e si allontanò dal partito, che di fatto si “riunificò”.
La lotta di classe nel nostro territorio portò anche all’occupazione delle terre. Che risultati ottenne?
Contraddittori. Perché, a seguito dell’assegnazione seguita alla riforma agraria, alcuni ricevettero terre proficue e redditizie. Altri, terre aride e cretose.
Una Biancavilla a maggioranza democristiana ma geograficamente divisa tra il centro “biancofiore” e la periferia comunista. Guidata da personalità carismatiche. Persino con un primato: prima città italiana a rivoltarsi contro i fascisti nella sommossa del 23 dicembre 1923. Una memoria sconosciuta ai più, che oggi ignorano le radici storiche della ricostruzione democratica locale. Che lezione dovremmo trarne a quasi un secolo di distanza?
Non dobbiamo dimenticare da dove proveniamo. Dobbiamo conoscere il nostro passato. Siamo figli della nostra storia. E la storia ci insegna che ci sono dei valori condivisi – l’antifascismo, la libertà, la democrazia – che noi oggi diamo per scontati ma che non lo sono affatto. E la storia serve a ricordarci che queste conquiste vanno difese ogni giorno.
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