Cultura
Il maestro di fotografia Giuseppe Leone e il prezioso “lascito” per Biancavilla
La scomparsa all’età di 88 anni, il ricordo dell’ex assessore alla Cultura nella Giunta Manna

È scomparso a Ragusa, all’età di 88 anni Giuseppe Leone, uno degli ultimi grandi interpreti della fotografia in Sicilia. Una figura originale di fotoreporter che ha raccontato l’Isola, il suo paesaggio, il mondo contadino, la condizione della donna ma anche la cultura: era amico di Leonardo Sciascia, Vincenzo Consolo, Gesualdo Bufalino. Nel 1997 dedicò diversi scatti anche a Biancavilla, su invito dell’allora assessore alla Cultura per la realizzazione del calendario del Comune. Oggi quella pubblicazione cartacea ha valore di opera d’arte. Di seguito, per Biancavilla Oggi, il ricordo di Nino Longo.
Al tempo in cui ero assessore alla Cultura della prima sindacatura di Pietro Manna, seguivo con una certa passione delle riviste di fotografia come “Reflex Progresso fotografico” e “Zoom “. In esse avevo letto un servizio su Giuseppe Leone e di una sua pubblicazione sull’architettura barocca nella Sicilia sudorientale. Avendo progettato di realizzare un Calendario sui Beni Culturali nel nostro Comune, mi venne l’idea di contattare il nostro famoso fotografo per proporgli il lavoro.
L’Ufficio riuscì a contattarlo e gli demmo un appuntamento. Lui venne e si mise a disposizione, mettendo alcune condizioni. Non ricordo la sua richiesta in ordine al suo onorario, ma esso non fu particolarmente oneroso. Le condizioni da lui poste furono che le foto fossero in bianco e nero e che la scelta dei soggetti fotografici fosse solo sua e non sulla base delle richieste dell’Amministrazione. Lui poi venne a Biancavilla e andò in giro da solo, anche di notte.
La sua attenzione fu posta su diversi angoli del paese e soprattutto sulla “materia” della pietra lavica, su scorci architettonici e su semplici personaggi che si trovavano a passare casualmente o sostavano in certi angoli. Oltre alla “materia” il suo “occhio fotografico” si soffermava sugli effetti del chiaro/scuro e sulla “semplicità” dei soggetti umani.
Così noi scoprimmo il particolare effetto di certe immagini che avevamo sotto gli occhi ma che non avevamo “veramente visto”. Ed ecco il signor Torrisi sotto l’arco di San Giusippuzzu, le devote davanti “u Tareddu” di via Mongibello, il monello davanti all’arco di via Brescia, i confrati all’accompagnamento funebre, il suonatore di ciaramella. Ma anche in lontananza la chiesetta dell’eremo di Badalato, con l’enorme mole dell’Etna, i vecchi mulini ad acqua di Rollo, il basolato di via Innessa, di via Tutte Grazie, via preside Caruso, il portale della chiesa di Sant’Orsola.
Ne è venuta fuori una città antica ma vissuta, i cui personaggi si inserivano nell’insieme dei paesaggi, con i manufatti in evidenza. La vita vera, non retorica, non celebrativa. I nostri “monumenti” importanti messi da parte.
Il calendario è piaciuto a tutti; è andato anche all’estero. Qualche foto è stata esposta anche a New York, mi dicono. Molti cittadini, nel tempo, hanno riproposto alcune immagini, senza neanche sapere che erano parte di un calendario del comune di Biancavilla del 1997.
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Cultura
Luglio a Biancavilla tra cielo e terra: devozione e antichi simboli di fertilità
All’Annunziata, all’Idria e nella zona della “Casina” è il mese della Madonna del Carmine

“Giugnettu, sdirrubiti do’ lettu!”. Così dicevano gli anziani, invitando a non perdere tempo nelle ore preziose del mattino. Luglio, infatti, è da sempre un mese di grande attività nei campi: la raccolta del grano, la cura delle viti, l’orto che richiede attenzioni quotidiane. La terra, in questo periodo, è generosa ma anche esigente, e impone ritmi intensi, da affrontare con energia e dedizione.
Ma luglio non è solo lavoro. È anche tempo di festa e di spiritualità, un momento in cui si rinnova quel legame profondo che unisce la comunità alla propria fede e alle sue espressioni più autentiche. Tra queste, spicca la devozione per la Madonna del Carmelo, che proprio a luglio conosce il suo vertice con celebrazioni che affondano le radici nella nostra storia.
La “sedicina” alla Madonna del Carmine
A Biancavilla, questa devozione prende forma concreta nella “sedicina”, una pratica antica che prevede sedici giorni consecutivi di preghiera, in preparazione alla festa del 16 luglio.
Presso la chiesa dell’Annunziata, questo rito si svolge in un’atmosfera suggestiva e raccolta: qui, il culto alla Madonna del Carmine è documentato fin dai primi anni del XVIII secolo. Lo testimoniano una statua in legno policromo (di recente restaurata) e diversi affreschi e dipinti che ornano la chiesa.
Anche nella chiesa dell’Idria, la “sedicina” riunisce i fedeli davanti alla statua della Vergine, in un momento comunitario che, pur nella semplicità del rito, conserva un’intensità profonda.
E poi c’è il quartiere “Casina”, dove la festa della Madonna del Carmelo viene celebrata la domenica successiva al 16 luglio. Qui la statua, donata nel 1960 da Franco Rapisarda, viene portata in processione tra le vie del quartiere, accompagnata dalla banda musicale e da fuochi d’artificio. È una festa molto sentita, organizzata da un comitato presieduto dal parroco e sostenuta direttamente dai residenti, che contribuiscono con offerte e lavoro volontario.
Un culto che parla anche alla natura
Il legame tra questa festa e la natura è tutt’altro che casuale. La Madonna del Carmelo prende il nome dal Monte Carmelo, in Palestina, luogo dell’apparizione a san Simone Stock nel 1251. Ma il nome stesso, Carmel, in ebraico significa “giardino”: un richiamo potente alla bellezza rigogliosa della terra nel pieno dell’estate.
Non è un caso che il culto della Madonna del Carmine si celebri proprio in questo periodo dell’anno, quando la natura è nel suo apice vitale. Molte feste religiose che si svolgono oggi sono, in realtà, l’evoluzione di antichi riti agricoli. Presso le civiltà del passato, il solstizio d’estate era visto come il momento dell’unione tra cielo e terra, simboleggiato dalle nozze tra il sole e la luna.
In quelle stesse epoche, si onorava la Grande Madre, divinità femminile legata alla fertilità e alla ciclicità della vita: Cerere per i Romani, Cibele per i Frigi, Iside per gli Egizi. Figure che evocano l’abbondanza dei raccolti, la protezione della maternità, il mistero della nascita e del ritorno alla terra. In un certo senso, la Madonna del Carmelo eredita questo ruolo: signora del Giardino, che intercede, protegge e nutre spiritualmente, ma anche simbolicamente legata alla fecondità del creato.
Un mese tra cielo e terra
Nella fatica dei campi, nella preghiera quotidiana, nella festa che riunisce il quartiere, nei fuochi d’artificio che illuminano il cielo, trascorre il mese di luglio manifestando chiaramente l’essenza autentica della nostra gente. E mentre si intrecciano i fili della fede e della tradizione, emerge una consapevolezza antica e attualissima: che il sacro non è lontano, ma abita le nostre strade, i nostri riti e i nostri frutti.
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Cultura
La “volta” ritrovata: l’arcivescovo “svela” gli affreschi settecenteschi restaurati
Prezioso patrimonio di Biancavilla: nella chiesa dell’Annunziata risplendono le opere di Giuseppe Tamo

Un’opera restituita alla luce, memoria risvegliata, un segno di bellezza che attraversa il tempo: così Biancavilla ha accolto la presentazione ufficiale del restauro degli affreschi della Chiesa dell’Annunziata.
La cerimonia si è aperta con la celebrazione eucaristica presieduta da Mons. Luigi Renna, arcivescovo di Catania, seguita dalla conferenza di presentazione dei lavori della volta: un’opera ora visibilmente più luminosa, liberata dalla patina del tempo, da ritocchi dissonanti e dai cedimenti che avevano compromesso la sua integrità visiva e strutturale.
Un gioiello dentro uno scrigno
A introdurre e presentare l’incontro Dino Laudani, presidente della Confederazione diocesana delle confraternite, che ha ricordato come la Chiesa dell’Annunziata – autentico monumento cittadino – sia stata oggetto, negli ultimi decenni, di molteplici interventi conservativi. «Un gioiello dentro uno scrigno di fede e di arte», ha detto Laudani, sottolineando la continuità di un impegno collettivo nel custodire la bellezza.
Il parroco, don Giosuè Messina, ha ricostruito le origini dell’attuale restauro: «Tutto è iniziato nell’ottobre 2021. Dopo una pioggia battente, della polvere iniziò a cadere da una fessura, aperta dal terremoto del 2018. Fu un segnale. Da lì, con prudenza e speranza, partì il lungo iter verso il restauro». Un cammino reso possibile dal lascito testamentario della signora Maria Zammataro (39mila euro), dai 10mila euro di residui del fondo messo a disposizione della parrocchia da padre Placido Brancato (per quasi cinquant’anni parroco) e dalla generosità dei fedeli (poco più di 4mila euro). Il preventivo iniziale di 73.800 euro è salito a 82mila, coperto in gran parte da questi fondi.
Il sindaco Antonio Bonanno, presente all’incontro, ha annunciato lo stanziamento di 20.000 euro da parte del Comune per contribuire al saldo delle spese residue per un’opera che valorizza e impreziosisce la nostra città.

Una storia mai del tutto scritta
Il professor Antonio Mursia ha arricchito la conferenza con un’ampia contestualizzazione storica. Un documento del 1872 del Prefetto di Catania chiedeva una copia dell’atto di fondazione della chiesa: ma nemmeno allora, il prevosto fu in grado di fornirne una. Solo agli inizi del Novecento, lo storico Placido Bucolo riesce a ricostruire la storia della chiesa. A volerne la costruzione fu alla fine del Cinquecento Dimitri Lu Iocu, giurato della Terra di Biancavilla: un’iniziativa non solo religiosa, ma anche civile e politica. Nel 1714, grazie a un lascito di Maria Carace, si avviò l’ampliamento della chiesa, su progetto del magister Longobardus, figura di spicco nella progettazione ecclesiastica della diocesi.
Il restauratore: «Sobrietà e impatto visivo»
Il momento più tecnico dell’incontro è stato l’intervento del restauratore Giuseppe Calvagna. Gli affreschi della volta, realizzati nel Settecento da Giuseppe Tamo, erano stati eseguiti con la tecnica della pittura a secco, scelta versatile ma fragile nel tempo. Le infiltrazioni d’acqua, i terremoti e restauri maldestri effettuati tra Ottocento e Novecento – alcuni con latte di calce – avevano offuscato l’opera originale, coprendone i tratti e minacciandone la stabilità.
Il lavoro di restauro ha richiesto interventi strutturali complessi: consolidamento dell’intonaco con resine, fissaggio del colore per fermarne il distacco, rimozione di croste dure e sedimentazioni. Si è poi proceduto alla ricostruzione morfologica delle lacune e infine alla reintegrazione pittorica con colori ad acquerello, rispettando le tecniche conservative. «In alcune parti non abbiamo trovato tracce originarie – ha spiegato Calvagna – ma l’obiettivo è stato restituire leggibilità e armonia. Il risultato è un’opera sobria, equilibrata e di forte impatto visivo».
L’architetto Antonio Caruso, che ha diretto e mediato tra i diversi professionisti coinvolti, ha posto l’accento sull’importanza della manutenzione ordinaria. «Le opere architettoniche e decorative non sono eterne: richiedono attenzione costante, altrimenti rischiano danni irreversibili».
Il vescovo: «Immagini che toccano il cuore»
A chiudere, l’intervento dell’Arcivescovo Renna, che ha dato al restauro un significato teologico profondo: «Queste immagini non sono semplici rappresentazioni. Esse raccontano la fede: dalle antiche profezie che parlano di Maria, fino agli Evangelisti, immagini mariane e cristologiche che ci introducono al mistero della salvezza e che parlano fino ai nostri giorni restituendoci significati profondi. Come la simbologia dei fiori e della natura che fiorisce, segno più bello della redenzione dell’uomo. Nel ciclo possiamo trovare patristica, teologia, dogmatica, in un racconto che tocca ancora oggi il cuore dei fedeli.
Oggi, tra le volte luminose dell’Annunziata, quegli affreschi sembrano custodire una memoria silenziosa. Non parlano solo del passato, ma anche del presente e del futuro. Restano lì, tra luce e ombra, a ricordarci che ogni bellezza custodita è anche una forma di resistenza – contro l’oblio, contro il tempo, contro l’indifferenza.
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