Editoriali
Il Comune (finalmente) parte civile: rivendichiamo opera di persuasione

EDITORIALE
Squilli di tromba e rulli di tamburi: l’amministrazione comunale si costituirà parte civile nel processo relativo al blitz antiracket “Onda d’urto”. Glorioso ha impiegato quasi due mandati per capire che, nei processi di mafia o contro le bande del pizzo, si può e si deve fare. Ne rivendichiamo l’opera di persuasione. È stata Biancavilla Oggi, in solitaria, ad introdurre nel dibattito pubblico e politico la questione, già lo scorso anno, con questo editoriale. Eccovi servito un esempio di informazione sana che –ebbene sì– influenza e “detta” legittimamente l’agenda della politica, soprattutto quando questa è… sbadata, mettiamola così (un esercizio normale nelle democrazie, eversivo secondo la visione di Glorioso).
Bene, bravo, bis. Dunque, Glorioso ha cambiato idea e ci fa –lo diciamo con il massimo della sincerità– immensamente piacere. Un cambiamento radicale. Sì, perché la stessa decisione di costituire il Comune parte civile non l’aveva presa per il processo “The wall” e nemmeno per il processo “Garden”, le cui carte giudiziarie raccontano, come ha svelato Biancavilla Oggi (purtroppo sempre in solitaria) un vero e proprio romanzo criminale.
Quando, a margine dell’inaugurazione dello sportello antiracket di Libera Impresa, a Glorioso abbiamo chiesto perché per quest’ultimo processo non avesse preso la decisione che un sindaco normale avrebbe dovuto annunciare già all’indomani del blitz, è cascato dalle nuvole, ha blaterato. Una inadeguatezza imbarazzante. Riportammo tutto nel nostro editoriale, assieme alle parole (imbarazzate) dell’allora procuratore capo Michelangelo Patanè.
Alla lettura del nostro editoriale, il sindaco ci inviò una lunga lettera in cui, come un funambolo, cercava di convincerci che il Comune non si poteva costituire parte civile, sconoscendo peraltro che invece Pietro Manna lo aveva già fatto (operazione “Vulcano” del 1997) e i giudici, nella condanna agli imputati, avevano riconosciuto al Comune un risarcimento.
Argomentazioni tecnico-legali e politiche strampalate, quelle di Glorioso o di chi gliele aveva scritte. Siccome siamo cattivi, cattivi, cattivi, gli suggerimmo di riflettere sulla effettiva volontà di pubblicare quel comunicato, che senza ombra di dubbio avrebbe fatto ridere (o piangere) tutti i palazzi di giustizia d’Italia. Capì e ritirò la richiesta di pubblicazione. Il contenuto ve lo risparmiamo, riservandoci di esporlo un giorno come una reliquia in un eventuale museo degli orrori della politica biancavillana.
Ad ogni modo, tra quanto sosteneva un anno fa Glorioso e quanto annunciato in questi giorni, vi è un abisso. Un capovolgimento di veduta. Ora, va bene che siamo a Carnevale, ma il costume del “sindaco antiracket” non si può improvvisare. Certe sensibilità non possono comparire dall’oggi al domani. E quindi cosa è successo?
Detestiamo la dietrologia. Ma ci limitiamo a qualche ragionamento e a proporre una nostra lettura. Succede che il presidente del Consiglio Comunale, Vincenzo Cantarella, e il capogruppo di Fratelli d’Italia, Marco Cantarella, abbiano sollecitato la Giunta alla costituzione di parte civile per affiancare il coraggioso imprenditore ribellatosi al pizzo. Libera Impresa, ovviamente, lo farà per conto proprio e il presidente Rosario Cunsolo –ci risulta– ha vivamente invitato Glorioso a fare la sua parte.
Poteva mai restare indietro Glorioso? Poteva mai permettersi un’altra umiliazione, come quella di essere stato costretto e trascinato a colpi di mozioni dei consiglieri comunali (anziché essere lui il promotore) affinché il Comune ospitasse uno sportello antiracket? Ovviamente no.
Ecco spuntare, quindi, la sua “nuova” sensibilità. Che non è di “destra” o di “sinistra”. Ma è quella della convenienza. La sua ideologia è il calcolo politico. Non importa fare ciò che è giusto, sensato, saggio. Ma ciò che conviene. «Ora ti costituirai parte civile nel processo che ne verrà fuori?», gli chiedemmo dopo il blitz Garden. «Certo, se ci conviene lo faremo», fu la risposta. Appunto.
Bene, bravo, bis. «Conta l’atto, conta adesso che Glorioso ha cambiato idea e ha preso questa decisione», ci dicono i sostenitori del primo cittadino. «Possibile che non si voglia riconoscere l’importanza?».
No, no, affatto. Certo che riconosciamo l’importanza. Siamo stati noi a porre la questione, ci mancherebbe se non pesassimo il valore dell’atto. Atto che non condona affatto, comunque, le inadeguatezze e le gaffe collezionate da Glorioso sul fronte della cultura della legalità nel corso di questi due mandati: aspetti su cui Biancavilla Oggi rivendica da sempre la posizione più critica.
Ma la decisione annunciata da Glorioso nel seminario di Libera Impresa (appuntamento disertato da imprenditori e commercianti e nel quale non era presente nessun assessore e nessun politico, a proposito di sensibilità), al di là degli eventuali calcoli mediatici e/o politici di Glorioso, dovrà servire –vorremmo auspicare– soprattutto ai prossimi amministratori. Speriamo che nei processi di mafia o contro gli estortori, qualsiasi sindaco di qualsiasi colore, d’ora in poi, per abc istituzionale, trovi naturale e spontaneo costituirsi parte civile, al punto da non ricorrere agli squilli di tromba e ai rulli di tamburi.
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Editoriali
Nel Consiglio del 15-1, l’opposizione va garantita (anche) tramite… una firma
Ma i numeri impietosi non siano un alibi di inconcludenza: la democrazia cittadina non è in pericolo

La nuova geografia consiliare di Biancavilla, tracciata dopo l’esito plebiscitario a favore di Antonio Bonanno, ha una mappa senza precedenti: 15 componenti alla maggioranza e soltanto 1 alla minoranza. Un quadro sbilanciato, evidentemente. Ma non è il frutto di un golpe. È il risultato democratico determinato da regole e meccanismi democratici, sulla base del voto popolare, espresso peraltro con un’affluenza superiore al 63%.
Al di là della volontà – fin troppo chiara – manifestata dai biancavillesi, va riconosciuto che il nuovo assetto dell’assemblea cittadina, convocata oggi, alle ore 20.30, per l’insediamento, fa emergere conseguenze pratiche e necessità operative che mai prima d’ora si erano verificate. Necessità, nella dialettica e nelle dinamiche consiliari, a cui vanno date risposte immediate.
Un esempio? Per presentare una mozione, il regolamento prevede che l’atto, se si vuole mettere in discussione, debba essere firmato da almeno due consiglieri comunali. Ne deriva che l’attuale minoranza sarà oggettivamente impedita a poterlo fare. Certo, una mozione dà un indirizzo all’amministrazione comunale, ma non pone alcun vincolo: spesso ha solo un valore simbolico o di mera testimonianza.
Non a caso, la prassi, nelle sei consiliature, è che il 99% delle mozioni – anche quelle approvate all’unanimità – siano state poi disattese dalla Giunta e dal sindaco di turno. All’epoca di Pietro Manna, tutti i consiglieri votarono una proposta di Nicola Tomasello e Vincenzo Cantarella per dare la cittadinanza onoraria a Rita Levi Montalcini. L’amministrazione se ne infischiò dell’illustre scienziata Premio Nobel. Stessa sorte, più recente, per la proposta di Alfio Distefano e Dino Asero tesa ad intitolare una via a Peppino Impastato: nonostante l’atto sia passato all’unanimità, nella toponomastica non c’è menzione del militante di Democrazia Proletaria, morto ammazzato per mano mafiosa.
Se è vero che il tenore delle mozioni trattate nell’ultimo quinquennio abbia avuto un livello elementare imbarazzante (inferiore alle discussioni del baby-Consiglio), è innegabile che si tratti di uno strumento utile. Se ben usato, può innescare la discussione in aula, denunciare e dibattere questioni di ampio interesse, porre tematiche all’attenzione dell’opinione pubblica, indicare soluzioni e suggerire un indirizzo (a prescindere dall’effettiva ricezione dell’organo esecutivo).
Una funzione di cui il Partito Democratico, in questo Consiglio Comunale, risulta privato di fatto. Stesso “impedimento” varrebbe in linea teorica per altre due forze mono-rappresentate: Movimento per l’Autonomia e “Noi per Biancavilla”. Ma loro stanno nella comfort zone della coalizione di governo, mentre l’esigenza impellente – lo si comprende facilmente – riguarda la minoranza, dunque il Pd.
Come risolvere questo vuoto? Una maggioranza bulgara, come quella attuale, deve avvertire l’opportunità di mettere mano al regolamento per consentire proposte a firma singola. Nell’attesa della modifica, la coalizione di Bonanno può dare dimostrazione di maturità istituzionale, “prestando” una firma in bianco al consigliere solitario del Pd affinché gli sia consentita la trattazione dell’atto. Resta inteso che poi può essere emendato o anche respinto. Ma la discussione dev’essere garantita. Ebbene sì, il rispetto della minoranza passa anche attraverso… una firma.
Un simile gesto avrebbe più valore di affidare all’opposizione – per garbo istituzionale, secondo le intenzioni del sindaco Bonanno – la vicepresidenza del Consiglio. Una carica inutile sul piano operativo, che non attribuisce alcuna prerogativa supplementare. Un ruolo che entra in esercizio solo quando il presidente è impedito da una febbre autunnale o si allontana dall’aula per andare a fare pipì.
Detto questo – lo sottolineiamo con altrettanta chiarezza – non vediamo pericoli per la democrazia cittadina. Il palazzo comunale, per sua natura, è il luogo più trasparente, nel quale risulta impossibile nascondere o camuffare alcunché. E poi, è facile e fisiologico prevedere, in una maggioranza così larga, la creazione di una “opposizione” intestina.
Non impressioni più di tanto, quindi, la sproporizione del 15-1. D’altra parte, il precedente Consiglio Comunale era partito con ben 5 oppositori, poi ridotti a 3. Ma sono stati gli oppositori più muti e assenti di sempre, al punto da non presentare nemmeno emendamenti al bilancio, che costituiscono l’abc dell’attività consiliare. Un’imperdonabile e scandalosa violazione del patto “sacro” con i propri elettori per un “mandato di opposizione” non esercitato nell’ultima consiliatura (a parte qualche lampo nella fase finale).
Non si usino, perciò, i numeri come alibi di eventuale inconcludenza: dai banchi della destra, a contrapporsi alla prima Giunta Manna, c’era solo Vincenzo Randazzo (oggi diventato assessore), il quale dava filo da torcere con puntuale capacità e martellante presenza, nonostante lo strapotere dell’allora primo cittadino.
Il Pd biancavillese deve, quindi, dimostrare di essere all’altezza del difficilissimo lavoro d’aula, come a parti inverse faceva Alleanza Nazionale quasi trent’anni fa. Ma è bene specificare che il suo vero problema è visceralmente e drammaticamente sociale, prima ancora che politico. È una forza che – fuori dal Palazzo – è chiamata ad una profonda rifondazione per ritrovare l’identità perduta, rimediare alle umiliazioni patite, riconnettersi all’elettorato progressista ed uscire dall’irrilevanza in cui è ridotta (da anni, non da ora). Perché, altrimenti, il passo successivo è l’estinzione.
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Daniela
1 Marzo 2018 at 18:35
Mi faccio due risate su quello Ke leggo… E bravo il sindaco bravo…a sempre rifiutato adesso cosa gli è successo Ke a accettato…. Forse sono stati le trombe e i rulli di tamburo… E stato incoerente…
Alba
28 Febbraio 2017 at 21:41
Cosa vi aspettavate da un sindaco nascosto dietro una porta ?….in due mandati cosa ha fatto per Biancavilla???? Io prego la cittadinanza a farsi un giro per il paese…..io elogio Biancavilla oggi…che mette in evidenza i problemi di un paese alla deriva….
Giovanni
26 Febbraio 2017 at 19:13
Quest’uomo è imbarazzante per tutta la comunità civile biancavillese. Sarà polvere negli annali della politica di questa cittadina. Basterà aprire le porte e le finestre del municipio quando scadrà ed il vento della Storia spazzerà via la polvere in men che non si dica. Ad maiora.
Giuseppe
26 Febbraio 2017 at 18:54
Direttore Fiorenza complimenti per la sua analisi politica su questo cosiddetto sindaco. Appunto, non si cambia dall’oggi al domani questa sensibilità, antimafia e antiillegalita’. Cosa che a questa amministrazione manca del tutto. Attenzione, non si illudi adesso di essere il paladino per la legalità ed antimafia solo per tornaconto politico-elettorale-mediatico. Non ci crede nessuno.