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Cultura

Il “matematico impertinente” che ha osato infrangere sacri e secolari tabù

«Niente contro l’aspetto devozionale. Ma un conto sono le tradizioni e le leggende, altro è la storia»

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Un terreno rischioso. Molto rischioso. Addentrarsi tra le inesplorate e buie vicende che hanno portato alla fondazione e allo sviluppo di Biancavilla non è cosa facile. Il rischio è quello di urtare cristalli secolari mai sfiorati prima ed attentare quasi, con qualsiasi lettura o racconto alternativi, all’identità paesana legata all’icona della Madonna dell’Elemosina.

No, nessuna intenzione in tal senso da parte del prof. Giosuè Salomone, in questo interessantissimo “Biancavilla e i Niger”, edito da Giuseppe Maimone Editore. «Non ho nulla contro l’aspetto devozionale, che rimane intatto», specifica subito l’autore in questa intervista a Biancavilla Oggi.

Certo è che, per quanto il volume sia ricco ed articolato di spunti, a Biancavilla l’attenzione e le discussioni in ambito ecclesiastico e in aggregazioni di devoti si concentrano su quel particolare aspetto evidenziato nel libro: la sacra icona non fu portata dagli albanesi ma risale alla metà del Cinquecento e le vicende del gruppo di esuli stabilizzatosi a Callìcari, diversamente da come la tradizione ce le ha riportate, vanno rilette e messe in relazione con alcune famiglie aristocratiche presenti allora in Sicilia.

Apriti cielo: toccato il punto di maggiore “sensibilità”. Quanto basta per fare sobbalzare i “custodi” della tradizione. Già, la tradizione. Guai, però, a non scinderla dal riscontro scientifico oggettivo, specifica con tono pacato Salomone, che ha condotto il suo studio con il taglio dell’inchiesta, senza sentimentalismi ed emotività, ma con la freddezza di chi lavora con i numeri.

Ecco, appunto, partiamo da qui. Un laureato in economia e commercio che insegna matematica. Salomone, perché il suo interesse per le origini di Biancavilla?
Sono nato a Biancavilla e vi ho abitato fino all’età di 10 anni. Mio padre era Antonino Salomone, che è stato per anni preside alla scuola media “Luigi Sturzo”. Sono sempre stato appassionato di storia. Dall’unione di questi due elementi, quindi, nasce l’interesse per la storia di Biancavilla (con la lettura fin da bambino del testo di padre Bucolo), anche in relazione ai miei antenati che risiedevano tutti a Biancavilla.

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Origini di Biancavilla su cui, al di là della leggenda del fico e dei “privilegi” del 1488, non si sa nulla.
Infatti, la mia insoddisfazione per l’assenza di notizie sulle origini mi ha spinto a letture su fatti che magari nulla sembravano avere a che fare con Biancavilla, ma che poi mi hanno consentito di conoscere fatti che meglio spiegano, sul piano storico, le vicende della fondazione.

Lei ha avanzato ipotesi e ha proposto ragionamenti, arrivando a conclusioni molto scomode e difficili da accettare non soltanto dalla Chiesa locale ma anche da quella Biancavilla che, ad occhi chiusi, per secoli, ha accettato sempre la tradizione sulle origini come un dogma.
Non voglio mettermi contro la tradizione o l’aspetto devozionale. Però un conto sono le tradizioni e le leggende. Altra cosa è la storia fatta con dati oggettivi e riscontrabili. Io volevo cercare ragioni storico-scientifiche sulla scelta di questi esuli epiroti (non propriamente albanesi come, invece, riportato dalla tradizione) di stanziarsi nel nostro territorio. Capisco che a Biancavilla colpisca in particolare la parte del libro che si riferisce al quadro. Io, tuttavia, non mi sono limitato all’elemento localistico o municipalistico. L’errore che in passato è stato fatto, affrontando questi argomenti, è stato proprio questo: condurre l’indagine senza andare fuori dal perimetro del paese.

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Professore, si rende conto? Lei demolisce e spazza via in un solo colpo, come nessuno aveva mai fatto prima (almeno non con uno scritto così corposo ed articolato) tutta la retorica sui “Padri albanesi”, sul gruppo di perseguitati capitanati da Cesare Masi, sulla fondazione del nostro paese e soprattutto sull’icona della Madonna dell’Elemosina.
Nel libro affronto fondamentalmente tre aspetti. Ci sono innanzitutto le vicende storiche delle famiglie dei Ventimiglia, dei Tocco e dei Moncada, attraverso cui è possibile dare delle ragioni plausibili sulla scelta degli esuli di stanziarsi a Callìcari. Poi c’è lo studio del pittore Bernardino Niger e della sua cerchia, su cui finora non vi erano delle pubblicazioni approfondite e complete, ma solo pubblicazioni su singole opere. Infine, c’è la ricerca sui cognomi più diffusi. Tre elementi che poi sono messi in un filo logico con le vicende dell’icona e del paese.

La contestazione più ricorrente che le viene fatta è che non ha consultato atti d’archivio.
Mi sono servito di moltissimi documenti, anche se pubblicati prima da altri. Che non abbia consultato direttamente gli archivi (peraltro non proprio esatto perché sono stato in molte biblioteche per il reperimento di materiale) è una critica relativa perché ho usufruito di atti messi a disposizione da altri. Le cose che scrivo si basano su dati d’archivio e dati storici accertati.

Ai devoti di Maria Santissima dell’Elemosina, che magari non avendo letto il suo libro si sentono “turbati” da voci superficiali, cosa dice?
La devozione per Maria Santissima dell’Elemosina rimane intatta. La devozione si rivolge alla Madonna, non verso l’oggetto, che rappresenta un simbolo. Ora, non perché sappiamo che il quadro sia della seconda metà del Cinquecento, viene meno il motivo della devozione. Però non possiamo negare l’evidenza e continuare ad andare contro i riscontri scientifici, oltre che storico-artistici. Non possiamo dire che l’icona sia così antica come si è sempre sostenuto. Addirittura, una volta, si diceva che fosse stata dipinta forse da San Luca. Insomma, rispetto per la devozione ma va riportata la verità su un manufatto artistico dell’uomo.

Quale il suo sentimento personale su quella icona?
Sono stato educato con sentimento religioso, in particolare verso la Madonna dell’Elemosina. Come ogni buon biancavillese, anche io ho a casa un quadro raffigurante quell’immagine. Ma ho sempre riflettuto sul racconto dell’albero di fico e già da bambino ero molto perplesso su molti aspetti.

Il suo libro ha il merito indiscusso di avere innescato un dibattito e probabilmente impulsi per nuovi studi.
Il mio studio ha comportato un impiego di tempo notevole. Non credo di continuare. Spero però che giovani tesisti si possano dedicare anche ad aspetti diversi. Il mio libro non è un punto di arrivo, piuttosto una piattaforma di partenza per ulteriori approfondimenti.


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Cultura

1° Maggio a Biancavilla, l’occupazione delle terre e quelle lotte per i diritti

Il ruolo della Sinistra e del sindacato: memorie storiche da custodire con grandissima cura

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Anche Biancavilla vanta una ricca memoria storica sul 1 maggio. Nel nostro comprensorio non sono mancate, nel secolo scorso, iniziative e manifestazioni di lotta per i diritti dei lavoratori.

Spiccano su tutte l’occupazione delle terre e la riforma agraria di cui ci parla Carmelo Bonanno nel recente libro “Biancavilla e Adrano agli albori della democrazia. La ricostruzione dei partiti, le prime elezioni e i protagonisti politici dopo la caduta del fascismo”.

Il volume, edito da Nero su Bianco, raccoglie le testimonianze di alcuni dei protagonisti della vita politica e sindacale locale del Novecento, evidenziando le numerose iniziative volte a spazzare via i residui del sistema feudale di organizzazione delle terre e ad ottenere la loro redistribuzione.

Il mezzo principale per raggiungere tale obiettivo fu l’occupazione delle terre ad opera di un folto gruppo di contadini e braccianti. Tra questi, Giovanbattista e Giosuè Zappalà, Nino Salomone, Placido Gioco, Antonino Ferro, Alfio Grasso, Vincenzo Russo. A spalleggiarli anche diversi operai. Tra loro, Carmelo Barbagallo, Vincenzo Aiello, Domenico Torrisi, Salvatore Russo. Ma anche intellettuali come Francesco Portale, Nello Iannaci e Salvatore Nicotra.

Così, ad essere presi di mira furono anzitutto i terreni del Cavaliere Cultraro in contrada Pietralunga, nel 1948. Più di 400 persone li occuparono per cinque giorni e desistettero soltanto per l’arrivo della polizia, che sgomberò le proprietà.

A questa occupazione ne seguirono altre, tutte sostenute dai partiti della Sinistra dell’epoca (Pci e Psi in testa) e dalla Camera del Lavoro, e col supporto delle cooperative agricole di sinistra.

Le parole del “compagno” Zappalà

Significativa la testimonianza, riportata nel libro di Bonanno, del “compagno” Giosuè Zappalà: «Gli insediamenti furono vissuti con grande entusiasmo e costituirono per noi protagonisti dei veri e propri giorni di festa in cui potevamo manifestare la libertà che per tanti anni ci era stata negata. Le terre, i cui proprietari erano ricchi borghesi e aristocratici, spesso si trovavano in condizioni precarie, erano difficilmente produttive e necessitavano di grandi lavori di aratura, semina e manutenzione. Noi braccianti, perciò, con grande impegno e dedizione, spinti, oltre che dalla passione per il nostro lavoro, anche e soprattutto dalle condizioni di vita misere di quei tempi, ci occupammo, fin quando ci fu concesso, dell’opera di bonifica. Erano terre che di fatto costituivano per moltissimi l’unica fonte di reddito disponibile».

Tali iniziative, innestatesi nel corso del processo di riforma agraria che portò al superamento del sistema di governo delle terre sino ad allora vigente, condussero però a risultati contraddittori, poiché alcuni contadini ottennero terre produttive mentre altri terre scadenti. Ciò acuì il clima di invidia e inimicizia tra i protagonisti di quelle lotte e condusse alla rottura definitiva della coesione e della solidarietà della categoria.

Ciò non toglie che queste iniziative e manifestazioni segnarono un passaggio molto importante nella storia politica, socio-economica e sindacale locale e posero le basi per la “conquista” del palazzo municipale nel 1956 con l’elezione di Peppino Pace, primo sindaco comunista di Biancavilla.

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