Cultura
L’Icona prodotta in Sicilia? Congetture smentite da due autorevoli specialiste
Eva Haustein-Bartsch e Anastasia Lazaridou ascrivono la tavola di M. Ss. dell’Elemosina alla scuola cretese

Due professioni di fede, di segno contrario, hanno finora contraddistinto gli scritti sull’icona della Meter Theou di Biancavilla. Da una parte una cospicua letteratura, a carattere per lo più devozionale che va indietro nel tempo, ha voluto associare il quadro alle origini del centro etneo, facendone il fulcro identitario della sua esistenza; dall’altra alcuni scritti, non sempre di carattere specialistico, che – appellandosi esclusivamente ad analisi stilistiche – hanno avuto l’intento di screditare la prima tesi, in nome di una strisciante “laicità”.
Di certo, un’analisi oggettuale dell’Icona, come espressione artistico – culturale, ha poco a che spartire con una tradizione popolare che vede nella Madonna dell’Elemosina l’interlocutrice privilegiata con la sfera del trascendente. Lo testimonia bene la chiusa del memoriale del fuggiasco Angelo Biondi che, nel giugno del 1860 (forse il momento più tragico della storia della comunità), ne aveva atteso l’intervento con una processione straordinaria.
Tuttavia ben pochi contributi hanno messo in risalto che lo stato attuale dell’Icona è il prodotto di interventi di restauro e manutenzione succedutisi nei secoli (almeno tre sono, in qualche misura, documentati) e che non sempre l’operazione è stata condotta secondo criteri peculiarmente conservativi. Ne risulta che i lineamenti addolciti e “rinascimentalizzati” hanno dato al quadro una fisionomia, a tratti, alterata rispetto all’originario stato.
Nessuno si è preoccupato, più di tanto, di studiare il retro dell’Icona e sciogliere le abbreviazioni che vi compaiono, indicative, almeno, sul contesto di provenienza e cerchia. Come nessuna analisi è mai stata condotta sui pigmenti originari e nessun laboratorio ha mai ispezionato la tavola con le più aggiornate indagini scientifiche.
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Rimane il fatto che specialisti quali Eva Haustein-Bartsch, forse la più nota specialista tedesca di icone, e Anastasia Lazaridou, direttrice del Museo Cristiano – bizantino di Atene, non abbiano messo in discussione l’originalità della tavola, ascrivendola alla scuola cretese e, dopo aver visto l’immagine di una fase dell’ultimo restauro, la Haustein-Bartsch ha datato il dipinto all’inizio del XVI secolo.
Ciò, da solo, basterebbe a ridurre a semplici congetture quanti hanno voluto ipotizzare che l’Icona sia stata prodotta in Sicilia, almeno un cinquantennio dopo questo ancoraggio cronologico.
Il recente libro di Giosuè Salomone sconosce, tra l’altro, il volume di Pietro Pisani del 1825, “Sulle antichità di Selinunte”, che nello stilare un elenco delle opere di Bernardinus Niger (a proposito, qualcuno ne ha rintracciato il certificato di nascita?) per la prima volta tratta anche dell’icona della Madonna dell’Elemosina sul piano artistico, specificando il differente contesto di provenienza.
Allo stato attuale, senza un atto o un rogito notarile – che non è da escludersi possa venire fuori – è difficile sostenere anche che l’opera sia stata portata dalla prima leggendaria ondata di coloni.
Di certo non è da escludere che un ponte non occasionale abbia permesso, negli anni prossimi, di far giungere l’opera.
La percezione di quella tavola che seguiva canoni artistici diversi, che obbediva a quell’arte “altra”, all’apertura all’”esotico” e al mistero vicina è stata, tuttavia, ben sintetizzata nelle immagini che la devozione popolare ci ha trasmesso.
Nella tensione di trasporre su tela il diritto soprannaturale dell’esistenza di Biancavilla, già Giuseppe Tamo, nel dipinto dei patroni, incornicia l’Eleousa al vertice, entro un ovale calato da due angeli: un compendio religioso e storico-artistico. L’Icona rimane mistero: non è opera nostrana, seppur antica, facilmente riassumibile in tratti verosimili come nel caso della statua di San Zenone. Viene dall’oltre, ossequia religiosamente un disegno. Dio (e sua Madre) si calano e fanno la storia di un luogo definito. Naturalmente, anche per lui, “professione” di fede.
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Cultura
Sangiorgio e i lager, in provincia di Modena la testimonianza del figlio
Incontro a Prignano sulla Secchia sul biancavillese sopravvissuto ai campi di sterminio

La figura di Gerardo Sangiorgio, il biancavillese cattolico antifascista, sopravvissuto ai lager nazisti, ancora una volta celebrata anche fuori dalla Sicilia. A Sangiorgio dedicato un incontro nella sala conferenze del Comune di Prignano sulla Secchia (in provincia di Modena). La testimonianza su Sangiorgio, internato militare, data dal figlio Placido Antonio, collaboratore di Biancavilla Oggi.
Ad ascoltarlo, una sala gremita da cittadini ed alunni della scuola secondaria di primo grado “F. Berti”, accompagnati dai docenti, dalla dirigente scolastica Pia Criscuolo e dal suo vicario, Giuseppe Ciadamidaro, anche lui biancavillese.
La dirigente si è detta entusiasta di questo evento arricchente non solo per i cittadini, ma anche per gli alunni, auspicando che ogni anno queste iniziative vengano incentivate e divulgate.
Il prof. Sangiorgio ha parlato della Repubblica di Salò (a cui il padre non giurò fedeltà), al trattamento disumano verso i deportati, alla storia personale di suo padre nei campo di concentramento e poi di ritorno a Biancavilla. È seguito un vivace dialogo con gli alunni, che hanno posto domande su vari aspetti.
Presente all’incontro, il sindaco Mauro Fantini e gli assessori organizzatori dell’evento, Chiara Babeli e Cristian Giberti, che hanno prestato la loro voce leggendo le poesie di Gerardo. Il primo cittadino ha ringraziato Sangiorgio per la sua presenza e la bellissima testimonianza su suo padre, estendendo i ringraziamenti anche al nostro sindaco, Antonio Bonanno, per la cortese lettera inviata e letta all’inizio dell’incontro.

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