Cultura
Gli albanesi, Callìcari, l’Icona e Niger: ipotesi suggestive sulle nostre origini
Gli studi rivoluzionari di Salomone che spazzano leggende, pregiudizi e tesi costruite ad arte

Questo libro di Giosuè Salomone si pone fortemente in contrasto con tutti i testi che finora hanno trattato le origini e la storia di Biancavilla. Vengono smontate alcune certezze e vengono anche proposte nuove interpretazioni su fatti per lo più conosciuti. L’autore, seppur non abbia svolto personalmente ricerche d’archivio, tiene conto però delle conclusioni di tutte le opere pubblicate sull’argomento e, esaminando quanto viene in esse affermato, trova risposte non sempre ragionevolmente accettabili. Invece le nuove suggestive proposte di Salomone indicano una prospettiva, colmano dei vuoti conoscitivi e soprattutto cercano di essere coerenti con la logica e con la realtà dei fatti.
I nostri principali storici, Michelangelo Greco e Placido Bucolo, seguono la tradizione e, per amore di patria, associano l’arrivo dei profughi greco-albanesi alla leggenda dell’albero di fico che, trattenendo con il viluppo dei suoi rami l’icona bizantina della Madonna, avrebbe manifestato la volontà della Madre di Dio di indicare come luogo idoneo alla nascita di una nuova comunità la contrada di Callicari.
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Salomone, al contrario, collega l’arrivo dei fondatori a circostanze storiche che interessarono le famiglie aristocratiche dei Ventimiglia, dei Moncada e dei Tocco, quest’ultimi despoti d’Epiro. Egli effettuando una comparazione, rileva come i “privilegi” concessi ai greci di Callicari siano analoghi a quelli di Palazzo Adriano e differiscano invece da quelli di Piana degli Albanesi, Mezzoiuso, Contessa e San Michele di Ganzaria, le altre colonie greco-albanesi di Sicilia. Si chiede quindi, in dissenso con quanto finora creduto, se i greci fondatori, anziché poveri contadini, non fossero piuttosto profughi di famiglie “illustri”, fedeli ai Tocco. Essendo poi questi ultimi cugini della moglie del conte di Adernò, spiega in questo modo la favorevole accoglienza del Moncada.
A proposito della tavola della Madonna dell’Elemosina, che secondo Greco e Bucolo sarebbe stata portata dai profughi greco-albanesi come loro protettrice nel viaggio e sostegno per l’inserimento nel nuovo territorio, le conclusioni di Salomone sono veramente rivoluzionarie in quanto egli, contraddicendo ciò che da sempre è stato affermato dagli studiosi locali e dalle autorità religiose, ritiene che il quadro sia opera di un artista della cerchia di Bernardino Niger, il quale con ogni probabilità era originario di Biancavilla. Tutti noi abbiamo ben presente la raffigurazione solenne nel coro della chiesa madre del quadro con i profughi albanesi e l’albero di fico! Invece Salomone riporta il momento della nascita del culto della Madonna dell’Elemosina ad una fase storica successiva e cioè al XVII secolo, durante il quale, in più occasioni e per cause diverse, nel paese si riversarono altre masse di bisognosi e profughi.
L’autore si sofferma quindi a studiare lo sviluppo demografico di Biancavilla come mai era stato fatto sino ad ora e con dati inoppugnabili individua nei primi decenni del Seicento, ossia a seguito della rifondazione, il periodo di maggior crescita della popolazione anche rispetto a quella che pur si ebbe come conseguenza dell’arrivo dei profughi dell’eruzione lavica del 1669. Ritiene perciò di poter riportare all’inizio di questo secolo l’epoca della perdita definitiva all’interno della comunità dell’elemento greco.
Come supporto allo studio demografico, di grande interesse risulta l’analisi statistica relativa ai dati sui trenta cognomi più diffusi a Biancavilla, condotta per la prima volta in assoluto in questo libro. Attraverso semplici elaborazioni numeriche, Salomone ipotizza possibili itinerari in ingresso e in uscita dal paese e periodi storici di diffusione dei cognomi di oltre la metà della popolazione attuale. Per una serie di circostanze Biancavilla è stato un luogo di accoglienza e di integrazione di profughi in gran parte provenienti dai territori limitrofi, ai quali si deve lo sviluppo demografico dei secoli XVI, XVII e XVIII.
Io mi sono posto il problema se a questi dati attuali corrispondano i dati di qualche secolo fa. Ho controllato un registro dell’archivio storico comunale di Biancavilla relativo al 1819, nel quale è annotata tutta la popolazione di 6284 abitanti suddivisa in circa 3000 nuclei familiari. Così ho potuto osservare che i 30 cognomi più diffusi nel nostro paese attualmente, lo erano comunque anche nel 1819, benché non esattamente nella stessa proporzione.
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L’autore connette questi cognomi caratteristici a periodi storici contraddistinti da particolari eventi, indicando il più rappresentativo per ciascuna epoca: primo periodo, Greco, dalla fondazione (1488) alla fine del XVI secolo; secondo periodo, Petralia, dalla rifondazione di Biancavilla (1584) ad oltre la metà del XVII secolo; terzo periodo, Cantarella-Tomasello, dall’anno della catastrofica eruzione dell’Etna (1669) sino agli inizi del XVIII secolo; quarto periodo, Furnari, il XVIII secolo. Il terzo periodo, in particolare, risulta significativo per la caratterizzazione di Biancavilla come paese etneo. Infatti molti tra i cognomi attualmente più diffusi in paese corrispondono a quelli dei profughi dei borghi distrutti dalla colata lavica.
Nello studio sono contenute inoltre alcune notizie inedite sulla famiglia Piccione, i cui componenti, da funzionari e militi del feudatario, diventarono a loro volta, nel XVII secolo, titolari di piccoli feudi.
Concludendo penso che questo libro potrà suscitare un salutare dibattito perché critica alcune certezze sulla storia di Biancavilla prive di solide fondamenta. I ragionamenti posti in essere potranno far cadere alcuni pregiudizi e alcune tesi aprioristiche basate su leggende costruite ad arte. Le ipotesi alternative formulate dall’autore sono proposte con onestà intellettuale. Salomone guarda a Biancavilla con l’amore di chi c’è nato e di chi la segue con interesse anche se non ci vive. In quanto ai problemi sollevati dalla datazione del quadro della Madonna dell’Elemosina, mentre nulla si toglie all’aspetto devozionale, si pone l’opera all’interno di una valutazione artistica di tutto prestigio, inserita com’è nella storia della pittura siciliana del Cinquecento. Si dà inoltre finalmente un dovuto riconoscimento a Bernardino Niger e alla sua cerchia.
Confido che il libro possa stimolare analoghe e collegate ricerche a sostegno e anche, perché no, in contrapposizione. Un sano e serio dibattito non può che favorire la verità storica.
Scritto introduttivo al volume “Biancavilla e i Niger” di Giosuè Salomone
Giuseppe Maimone Editore, Catania 2014, pp. 218, 22 euro
LO SPECIALE
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►Il “matematico impertinente” che ha osato infrangere sacri e secolari tabù
►L’Icona prodotta in Sicilia? «Congetture smentite da due autorevoli specialiste»
►Salomone avanza ipotesi astratte, però ha il merito di richiamarci alle origini
►Legame d’affetto e amore per l’Icona, nessun impatto sulla devozione
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Cultura
Intellettuale e uomo di cultura: ricordo nostalgico del preside Vincenzo Pistorio
Una sua lezione apriva un mondo affascinante, fu lui a riunirci dopo quanto accaduto ad Aldo Moro

«Al Preside Prof. Vincenzo Pistorio per avere diretto con dedizione e passione in questa sede storico il Liceo “G. Verga” per 21 anni dal 1963 al 1984». Con queste parole, sovrascritte in una targa, si è voluto ricordare e omaggiare un biancavillese che ha dedicato la propria vita alla scuola. Una cerimonia semplice, ad Adrano, cui hanno preso parte il figlio Alberto con l’assessore del Comune di Adrano, Salvo Italia, e alcuni ex alunni: Massimo Cultraro, Eugenio Calì, Loredana Lorena, Sandra Galizia. Pubblichiamo qui di seguito un ricordo personale del nosro collaboratore, Alfio Lanaia, anche lui parte di quella generazione di studenti formatasi nel liceo guidato dal prof. Pistorio.
Con la targa dedicata quest’oggi al Preside Vincenzo Pistorio si sana un debito di riconoscenza verso un uomo che per quasi quattro decenni ha rappresentato una parte significativa della cultura di Adrano e Biancavilla. È stato, infatti, prima insegnante e poi preside di quel Liceo classico da sempre fucina di classi dirigenti e intellettuali, non solo locali. Chi è stato insegnante nel «suo» liceo ha conosciuto le sue doti di dirigente, di organizzatore scolastico, di studioso del mondo classico. Lo ha visto presiedere consigli di classe e collegi dei docenti, ha letto i suoi lavori, dedicati a Euripide, a Virgilio, alla didattica del latino. Chi è stato studente del Classico lo ricorda sotto un’altra veste, più umana, più vicina.
Appartenendo a quest’ultima categoria, sollecitato da Biancavilla Oggi, traggo dalla memoria qualche ricordo, qualche aneddoto che ne metta in luce le qualità professionali e umane. I miei ricordi appartengono alla seconda metà degli anni Settanta del secolo scorso. Anni cruciali che hanno visto la riforma degli organi collegiali, con i decreti delegati del 1974, e dunque la partecipazione dei rappresentanti dei genitori e degli studenti alla vita della scuola.
Anni che hanno visto anche, per certi aspetti, la fine di tante illusioni, con il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro, nel 1978. Lo scrivo perché in quella triste occasione fu il preside, insieme ai professori, a convocare l’assemblea degli studenti, a informarci e a farci discutere e prendere coscienza di quello che era accaduto.
Quando i presidi non erano dirigenti
I presidi non erano ancora dirigenti scolastici, e questo significava più attenzione alla didattica, alla formazione, alle conoscenze degli studenti. In altre parole, il preside era ancora un organizzatore di cultura, in quanto lui stesso intellettuale, e non solo un esperto di diritto amministrativo.
Non posso dimenticare quelle volte in cui, quando mancava l’insegnante curriculare, entrava in classe il preside Pistorio a fare la supplenza. Dopo qualche comprensibile apprensione da parte nostra, subito riconoscevi lo studioso che traduceva in versi le Bucoliche di Virgilio, che ti sorprendeva parlando mezz’ora su una sola parola e ti apriva un mondo, che ti affascinava con una lezione sulla Divina Commedia.
Scampagnate, gite e pranzi luculliani
Ovviamente, c’era anche l’aspetto umano, quotidiano, quello che lo rendeva più vicino ai ragazzi. In questo campo gli aneddoti sono infiniti. Le scampagnate, i gemellaggi e i pranzi luculliani vedevano la partecipazione della mia classe cui non mancavano mai il preside e i professori.
Già, perché il preside Pistorio era un buongustaio, un fine intenditore de re coquinaria, amante della buona tavola e delle conversazioni. E noi, che sapevano di questa sua «debolezza», facevamo il mestiere di studenti. Ne approfittavamo, organizzando spesso di questi incontri conviviali. Lo facevamo sotto lo sguardo bonario del Preside Pistorio. Per lui, le scampagnate o le gite scolastiche, che si alternavano tra Chianciano e Rimini, erano momenti di crescita umana oltre che culturale.
In questa occasione, scoperta la targa che lo commemora, non posso allora non pensare con nostalgia al Preside Pistorio e a quello che ha rappresentato per la mia generazione. Penso all’uomo di scuola e di cultura che ha incarnato, insieme al corpo docente di quel periodo (Saro Franco, Pietro Biondi, don Leone Calambrogio, Concetta Distefano Gulino, Carmelo Fichera, Placido e Vincenzo Portale ecc.), un modello di scuola seria, a volte difficile, ma sempre a misura d’uomo.

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