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Cultura

Essere “sgredu”: l’aggettivo in uso esclusivo nella parlata di Biancavilla

Una parola di origine particolarmente complessa: «Insipido, ma anche persona priva di humor»

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C’è una parola del siciliano il cui uso aggettivale è documentato solo a Biancavilla. Stiamo parlando di sgredu (o sgreru) che il Vocabolario di Pippo Ventura, Alfio Bisicchia e Nino Distefano (Tremila parole nostrane) spiega come «insipido, ma anche persona priva di humour». Il cibo può essere sgredu, cioè “insipido, privo di sapore e sgradevole al gusto”, ma mentre una pietanza si può aggiustare, una persona sgreda è senza rimedio.

Nella mia competenza di parlante sgredu si può dire “di una persona insulsa, scialba, che non suscita nessun interesse o nessuna attrattiva”; “persona insignificante e senza tempra”. Si dice inoltre “di persona che, volendo risultare simpatica, usa atteggiamenti e battute insulse o sconclusionate che la rendono, invece, antipatica”. Parlando di una persona di questo tipo, si era soliti dire: ma quantu è sgredu chiḍḍu!

Ora, volendo saperne di più su questa parola che, a quanto mi risulta, si usa solo a Biancavilla, parlo con Giuseppina Rasà, insegnante ma soprattutto persona colta e dall’ironia sottile, che anni fa ebbe a scrivere questo post sul gruppo Facebook “Sei di Biancavilla se…”: «SdB, se un ragazzo di bell’aspetto, biondino e carnagione chiara, è “finicchiu ma sgredu comu pirulisciu”». La sua risposta è che «l’uso più efficace era quello di danna Aitina, mia vicina di casa, che lo usava per le persone dal colorito chiarissimo, capelli biondo cenere e occhio ceruleo». Oltre a ciò, mi fa ricordare una gag di Massimo Troisi, «Il biondino», dal film Le vie del Signore sono finite (1987):

  • Poi io non capisco come fa a piacerti quello che non mi somiglia proprio –
  • E che c’entra? –
  • Niente, è che tu sei stata fidanzata con me, vuol dire che ti piacevo, ma uno cambia, per carità, non divo che deve stare sempre con me, però se ne piglia uno più o meno uguale, se veramente ti piacevo. E, invece, vai a finire a uno biondino, che non ti sono mai piaciuti. Hai sempre detto: Biondino, per me i biondini sono slavati, non sanno di niente. È vero o no? È una bugia? Poi dopo con chi si mette: con un biondino.

Già, è proprio il ritratto di uno sgredu.

Ma non è finita qui. Mi ha fatto anche notare che sgredu, riferito a una persona, è usato per lo più al maschile, fatto tutto da indagare, ma che rientra, comunque, in quella ideologia, tipicamente siciliana, secondo cui la femmina deve essere «angelo», mentre il maschio deve essere «forte, bruno e nìuru … anzi niurinciolu».

Si diceva che l’uso aggettivale della parola è attualmente documentato solo a Biancavilla. Il Vocabolario Siciliano, infatti, registra solo la locuzione avverbiale a sgredu, attinta dalla lessicografia sette-ottocentesca, col significato di “malvolentieri”.

Un’origine complessa

L’origine della parola, come vedremo subito, è complessa: intanto si potrebbe dire che sgredu è un derivato, con s– sottrattivo, del sic. gredu “grado, gradimento”, come nelle frasi aviri a-ggredu, iri a-ggredu “avere/andare a grado, piacere”, come nell’it. grado, dal lat. gratum “cosa gradita, gradimento”, neutro sostantivato di GRATUS “gradito”. Rimangono, tuttavia, due questioni irrisolte: mentre il sic. gredu e l’it. grado sono sostantivi, il nostro sgredu è un aggettivo.

C’è poi la questione della –a– che diventa –e– (palatalizzazione): si tratta di un fenomeno presente nell’Italia settentrionale (Emilia Romagna), in una piccola area della Puglia e in Francia. Il francese antico ha gré e gret «consentement, permission, volonté», dal latino GRATUM “cosa gradita, piacere”. Nel Vocabolario romagnolo.italiano di Antonio Morri (1840), troviamo gred “sapor grato e piacente”, ma l’aggettivo è gret “gradito, o piacente al gusto, al palato”.

Sul siciliano gredu, dunque, rimaniamo nell’incertezza se si stratti di un prestito dal francese o dall’Italia settentrionale; un altro aspetto da chiarire rimane inoltre il passaggio da gredu sostantivo, da cui si sarebbe formata la locuzione avverbiale a gredu, a *gredu aggettivo, da cui si sarebbe formato il nostro sgredu.

PER SAPERNE DI PIU’

“La Sicilia dei cento dialetti” di Alfio Lanaia

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Cultura

Premiata la biancavillese Elena Cantarella per un saggio su Pippo Fava

Importante riconoscimento per l’artista, nota per il suo talento nella lavorazione della cartapesta

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Importante riconoscimento per l’artista biancavillese Elena Cantarella, maestra della lavorazione della cartapesta nella bottega catanese “Cartura”, fondata da Alfredo Guglielmino nel 1998.

Al Piccolo Teatro di Catania, Elena Cantarella ha ricevuto il premio storico-artistico della Fondazione Giuseppe Fava di Catania “Giovanna Berenice Mori”. Un premio intitolato alla compianta storica dell’arte e al suo appassionato lavoro di studio e ricerca dell’opera pittorica di Giuseppe Fava, giornalista ucciso dalla mafia a Catania nel 1984.

Cantarella ha vinto scrivendo un saggio dal titolo “Giuseppe Fava. Oltre il segno”. «L’arte per Fava – scrive Cantarella – è testimonianza della continuità tra la sua attività di giornalista e quella di artista, non è solo uno sfogo, ma un’ineluttabile esigenza comunicativa, espressione concreta degli aspetti più profondi della sua anima».

«Il mezzo artistico – prosegue Cantarella – realizza la sua necessità di tradurre la realtà attraverso uno strumento che rispetto alla parola possa avere un linguaggio universale, senza abbandonare la sua intimità di significato: nelle immagini, nel colore, nel segno i suoi sentimenti si mescolano con quelli degli uomini e delle donne su cui posa lo sguardo».

Ad assegnarle il premio la commissione composta dal presidente della Fondazione Fava, da un rappresentante della famiglia Fava e da due docenti dell’Accademia di belle arti di Catania.

Una lettura innovativa sull’arte di Fava

Cantarella, secondo la motivazione, ha «presentato in modo puntuale e preciso, asciutto e piano il lavoro artistico di Giuseppe Fava, coniugandolo con le principali intenzioni artistiche, antropologiche e culturali dell’autore». E ha anche intercettato «l’ironica denuncia caricaturale che Fava mette continuamente in atto» attraverso «l’introspezione, il doppio, lo studio sui volti» e promuovendo una lettura innovativa e un «valido approfondimento dell’opera faviana».

All’intermezzo musicale curato da un quartetto d’archi dell’orchestra “MusicaInsieme” di Librino è seguita la cerimonia di premiazione del concorso giornalistico Giuseppe Fava “Apri la finestra sulla tua città e raccontaci dove vedi la mafia, l’illegalità, le ingiustizie”.  Tra i vincitori di quest’ultimo concorso, una scuola del quartiere Zia Lisa di Catania, che ha realizzato una video-inchiesta molto coraggiosa, e un ragazzo di Giarre.

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