L'Intervista
Piano anti-dissesto, Dino Asero: «L’ho votato perché non sono Pilato»
Non ha alcuna responsabilità sui conti in rosso del Comune: né politica né amministrativa. Non ha a che fare né con la precedente compagine né con quella attuale. Eppure, seduto nei banchi dell’opposizione, unico rappresentante del Movimento 5 Stelle, ha votato (come gli altri gruppi di minoranza e l’intera maggioranza) il piano “lacrime e sangue” da sottoporre alla Corte dei conti, nel tentativo di riordinare il disastrato quadro economico-finanziario dell’ente, ereditato dalla passata amministrazione, con lo spettro del dissesto che si anima sempre più.
Consigliere Dino Asero, ragionando per convenienza politica, avrebbe potuto benissimo guardarsi la scena da una posizione comoda: da una parte coloro che ci hanno portato a questo punto, dall’altra coloro che hanno l’onere di porvi rimedio.
Certamente, ma mi sarei sentito come Ponzio Pilato. Non rientra nel mio stile. Appena sono stato eletto con il Movimento 5 Stelle ho fatto un augurio ad Antonio Bonanno, che ripeto ora: auspico che possa governare bene in questi 5 anni per potere essere riconfermato. Una buona gestione non deve essere legata agli interessi politici dei singoli consiglieri. Il bene, se c’è, resta per tutti.
Quando e se attuate quelle misure “lacrime e sangue” (come le ha definite il consigliere di maggioranza Vincenzo Amato), nessuno dell’opposizione, quindi, può alzarsi a protestare: avete avallato correttivi di eccezionale rigore.
Sì, se però si continua in una politica dispendiosa sulle residue casse comunali, noi ci alzeremo e contesteremo il dispendio di denaro pubblico. Ma ho votato con coscienza e convinzione quelle misure, nonostante io, esponente del Movimento 5 Stelle, sono l’unico in Consiglio Comunale a non avere responsabilità.
Dalla delibera è stato stralciato il rientro del personale comunale, attualmente in prestito alla sede del Giudice di pace. Sede che era destinata alla chiusura o meglio alla chiusura anticipata rispetto al 2021, quando comunque per legge sarebbe soppressa per effetto della riforma del processo civile.
Il Giudice di pace ha svolto e svolge un ruolo fondamentale: è un punto di riferimento, un presidio nel territorio. Già avevamo subìto la chiusura dei tribunali distaccati. Ecco perché ritengo non abbia senso andare a chiudere un servizio. Morirà per effetto della riforma, ma proprio perché si tratta di qualche anno non vedo il motivo di anticiparne la chiusura. Vero è che questa misura era stata indicata per adoperare il nostro personale per potenziare gli Uffici Tributi e Contenzioso, come ci chiede la Corte dei conti. Ma credo ci possano essere altre risorse, in un’ottica di rimodulazione generale degli uffici comunali.
Ad ogni modo lei ha ottenuto il “salvataggio”, per ora, del Giudice di pace. Una “vittoria di carta”, va detto. Nulla vieta al sindaco, se lo riterrà inevitabile, di rinunciare comunque alla sede giudiziaria, prima della sua chiusura naturale.
Rispetto alle mie osservazioni, il sindaco ha saputo ascoltare al punto che ha eliminato dalla proposta di deliberazione il riferimento al Giudice di pace. La gestione del personale è nei poteri del sindaco, certamente. Sarà eventualmente lui a giustificare le sue scelte. Ma sarebbe opportuno ascoltare gli operatori del settore.
In quella seduta consiliare, vi siete concentrati soprattutto sulla questione, marginale, del Giudice di pace. Ma avete compreso il peso di tutto il resto (taglio alle spese, aumento delle tasse, riscossione coattiva…)?
Abbiamo soppesato anche tutto il resto. E non bisogna nascondersi dietro un dito. La riscossione coattiva, per esempio, rappresenta un atto dovuto, senza attendere “autorizzazione” del Consiglio Comunale: rientra nei doveri dell’amministrazione comunale. Bisogna essere chiari: se si dovesse arrivare al dissesto, le conseguenze sarebbero ben più gravi. In coscienza dico che sarei pure d’accordo a ricorrere ad un aumento delle imposte, se necessitato. Non percorrere questa strada ed arrivare al dissesto significherebbe, per legge, fare schizzare le aliquote al massimo consentito. Ma attenzione su un punto.
Quale?
Abbiamo votato, tenendo presente tutte le misure per dare un contributo al sindaco, che ha trovato una situazione disastrosa, come lui stesso ha dichiarato e come la Corte dei conti ha rivelato. Ma noi saremo vigili sull’azione dell’amministrazione comunale, a cominciare dalle spese che effettuerà, comprese le spese voluttuarie minime.
Ma non c’è un divieto assoluto di spesa, altrimenti sarebbe il suicidio di un ente. Non sempre c’è un criterio oggettivo per definire una spesa superflua. Spesso si tratta di sensibilità soggettiva.
Per esempio ho sentito che il Comune dovrebbe ripristinare le cene per anziani: in questo momento non sarebbe uno spreco? Ho contestato il Carnevale non per l’organizzazione della festa in sé, ma come si giustifica una spesa, anche se contenuta, di fronte al momento che viviamo? Se il Comune deve dare un segnale di crisi economica, deve passare pure da questo. Leggo in qualche delibera spese per la sistemazione dei fiori al cimitero. È proprio di assoluta necessità?
Asero, ma le bacchettate della Corte dei conti sono su questioni di ben più drammatica e consistente entità, mica contesta i fiori al cimitero o i 10mila euro spesi per il Carnevale.
Alla Corte dei conti stiamo dicendo che rimoduleremo i programmi di spesa. Se a casa mia sono in debito e ho le banche col fiato sul collo, non potrò permettermi di regalare dei fiori a mia moglie perché è una spesa superflua. Su questo saremo intransigenti.
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Cultura
Carmelo Bonanno: «Biancavilla e quel 2 giugno 1946, il ritorno alla democrazia»
L’autore di Nero su Bianco Edizioni:: «I valori dell’antifascismo e della libertà vanno difesi ogni giorno»
La caduta del fascismo, la fine della guerra, le macerie materiali e morali. Un paese da ricostruire. Biancavilla vive gli eventi con una partecipazione corale per ricostituire i partiti e svolgere le prime consultazioni elettorali, dopo la dittatura ventennale di Benito Mussolini. Carmelo Bonanno racconta gli eventi dell’immediato dopoguerra nel volume “Biancavilla e Adrano agli albori della democrazia”, pubblicato da Nero su Bianco Edizioni. Una ricerca ricca di testimonianze, che in quel 2 giugno 1946 vede la data cruciale per costruire un futuro carico di speranza, nel segno della libertà e del progresso.
Bonanno, quello è un giorno che ci restituisce la democrazia. Biancavilla come arrivò alle prime elezioni e al referendum del ‘46?
Biancavilla, a differenza dei comuni limitrofi, non conobbe la devastazione del suo territorio perché non subì i pesanti bombardamenti alleati di fine seconda guerra mondiale. Secondo i democristiani dell’epoca il merito fu di padre Antonino Arcidiacono e di altri due suoi amici carissimi che andarono a Piano Rinazze, dove erano stanziati gli Alleati, e mediarono con loro affinché Biancavilla fosse risparmiata. Secondo i comunisti del tempo, invece, furono i tedeschi che, notata la forte opposizione di Biancavilla, preferirono abbandonarla per evitare di rallentare la fuga dalle truppe alleate. Non sappiamo quale delle due versioni corrisponda a verità, magari in entrambe c’è del vero. Resta il fatto che Biancavilla arriva all’appuntamento elettorale in un quadro di maggiore “stabilità”.
Oggi ricorre anche l’anniversario del referendum istituzionale nel quale gli italiani si espressero a favore della Repubblica come forma di governo, anche se a Biancavilla – come in tutto il Mezzogiorno – la maggioranza scelse la Monarchia…
Sì, ma è anche vero che il risultato repubblicano a Biancavilla fu notevole perché la media siciliana di voti per la Repubblica era del 35% mentre a Biancavilla ottenne quasi il 49%.
Alle Amministrative dell’aprile 1946, a Biancavilla, la Democrazia Cristiana dominò conquistando 24 seggi su 30 in Consiglio Comunale ed eleggendo il farmacista Salvatore Uccellatore come sindaco, confermando poi il netto vantaggio sugli altri partiti anche alle elezioni dell’Assemblea Costituente del 2 giugno successivo. Biancavilla era (ed è) democristiana?
Sì, certo, Eccezion fatta per la parentesi comunista di Peppino Pace, la Dc seppe sempre rigenerarsi e governare, di fatto fino alla fine della cosiddetta Prima Repubblica.
Oltre a padre Arcidiacono e a Salvatore Uccellatore quali furono le altre personalità di spicco della Dc locale in quegli anni iniziali dell’Italia repubblicana?
Ebbero un ruolo importante Filippo Leocata, medico, e Alfio Minissale, ingegnere, impegnato nella formazione della classe dirigente giovanile dello Scudocrociato.
Che ruolo ebbero il clero e la Chiesa nel successo democristiano?
Un ruolo fondamentale. Esercitato anche attraverso la costituzione di iniziative associative quali quelle dell’Azione Cattolica, degli Uomini Cattolici e delle Donne Cattoliche. E di un comitato in cui ebbero un ruolo di prim’ordine padre Giosuè Calaciura e Salvatore Uccellatore, prodigatisi per venire incontro ai bisogni dei biancavillesi.
E le donne, appunto, che per la prima volta ebbero diritto di voto?
Le donne giocarono un ruolo importante già durante il periodo della guerra: diedero sostegno economico e sociale, anche tramite la Chiesa, ai bisognosi e alle vedove di guerra. La loro azione politica fu funzionale alle loro opere di carità e assistenza, poi ricambiate in voti per la Democrazia Cristiana. Fornirono spesso un contributo decisivo, convincendo le donne a votare Dc in contrapposizione al Pci.
La sinistra biancavillese, “minoritaria” ma comunque con un consenso significativo, percorse una strada ben più accidentata. Perché?
Perché, tra le altre cose, ci fu una “scissione” tra la corrente dibenedettiana e il resto del partito. E i comunisti, scomunicati, subirono una notevole pressione “interna” ed “esterna”. Lo stesso Di Benedetto, di professione riparatore e noleggiatore di biciclette e allora segretario della Camera del lavoro locale, fu accusato – secondo le testimonianze dell’epoca – di aver rubato parte degli pneumatici inviati dal sindacato provinciale. Pneumatici all’epoca utilizzati non solo per le bici ma anche e soprattutto per creare le suole delle scarpe. Da lì capì che era stato preso di mira e che fosse un capro espiatorio e si allontanò dal partito, che di fatto si “riunificò”.
La lotta di classe nel nostro territorio portò anche all’occupazione delle terre. Che risultati ottenne?
Contraddittori. Perché, a seguito dell’assegnazione seguita alla riforma agraria, alcuni ricevettero terre proficue e redditizie. Altri, terre aride e cretose.
Una Biancavilla a maggioranza democristiana ma geograficamente divisa tra il centro “biancofiore” e la periferia comunista. Guidata da personalità carismatiche. Persino con un primato: prima città italiana a rivoltarsi contro i fascisti nella sommossa del 23 dicembre 1923. Una memoria sconosciuta ai più, che oggi ignorano le radici storiche della ricostruzione democratica locale. Che lezione dovremmo trarne a quasi un secolo di distanza?
Non dobbiamo dimenticare da dove proveniamo. Dobbiamo conoscere il nostro passato. Siamo figli della nostra storia. E la storia ci insegna che ci sono dei valori condivisi – l’antifascismo, la libertà, la democrazia – che noi oggi diamo per scontati ma che non lo sono affatto. E la storia serve a ricordarci che queste conquiste vanno difese ogni giorno.
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MARIO
22 Marzo 2019 at 11:00
SI-DEVE-ELIMINARE-LO-SPREGO-AL-COMUNE-CO-ME-A-CATANIA-CHI-LAVORA-PRENDE-LO-STIPENDIO-CHI-NO-FA-NIENTE-A-CASA