Chiesa
Sant’Antonio Abate tra antichi rituali e legami con la chiesa Annunziata
A Biancavilla ci si rivolgeva a lui in preghiera contro l’Herpes Zoster, una dolorosa eruzione cutanea

Il culto per lui, giunto in Sicilia probabilmente durante la dominazione bizantina, è attestato già dal 1388 alle pendici dell’Etna, all’epoca del vescovo Simone del Pozzo, ed è diffusissimo fino ai nostri giorni. Parliamo di sant’Antonio abate (dalle nostre parti chiamato sant’Antoni, distinto da sant’Antuninu, che è quello di Padova). È ricordato il 17 gennaio ed è considerato il protettore degli animali domestici.
Molti paesi lo hanno elevato a patrono e protettore proprio in relazione a due elementi costanti nella vita quotidiana degli abitanti etnei: il lavoro compiuto con l’ausilio degli animali domestici, ed il fuoco minaccioso e devastante del vulcano.
Sant’ Antoni st’ ogghiu santu
veni a essiri ‘u ta mantu.
Frica tu ccu li ma manu
e sta furia va luntanu.
Ccu primura stuta stu focu,
dacci rifriscu a ogni locu.
È una delle preghiere che a Biancavilla si rivolgevano a sant’Antonio per cirmari l’Herpes Zoster, la temuta malattia che prende il suo nome. Una dolorosa eruzione cutanea non esplicitamente pronunciata per timore (per i biancavillesi, chi ne era colpito aveva ddu cosu ca nan si dici!). E si curava solo con olio di oliva frizionato sulla parte interessata e con la preghiera fatta a fil di voce da chi aveva avuto il dono di ereditarne il testo, facendola seguire da altre preghiere canoniche.
Il legame con la chiesa Annunziata
La venerazione a sant’Antonio abate, a Biancavilla, è legata alla Chiesa dell’Annunziata e al suo quartiere, un tempo alla periferia sud del paese. Qui già dai primi anni del XVIII secolo, su concessione del vescovo di Catania, doveva svolgersi una processione esterna dell’artistica statua lignea del Seicento raffigurante il santo seduto su un trono. In realtà egli è sopra un “banco” – o seggiola – così come cantato in uno stornello natalizio popolare: Sant’Antoni è supra ‘u vancu, viva viva u Spiritu Santu.
Nella chiesa è presente anche una tela, opera settecentesca dell’acese Giuseppe Minorca, commissionata dal reverendo Pietro Piccione. Un’opera che tratteggia il santo con i suoi tipici attributi. Sono il bastone con la campanella, il libro delle Sacre Scritture sul quale brucia una fiamma. In basso, a sinistra, un angelo regge la mitria e il pastorale, e dal lato opposto doveva trovarsi un nero maialino (oggi non più visibile).
Anticamente, nel giorno della festa, il sacerdote benediva gli animali e le stalle, l’orzo e le fave secche. In chiesa si distribuivano le immaginette per essere poi attaccate vicino alle mangiatoie. Un modo per proteggere gli animali, così da indicare la sacralità di queste creature da Dio stesso poste al servizio dell’uomo. All’imbrunire, davanti alla chiesa, venivano accese cataste di legna attorno alle quali i fedeli si riunivano per pregare.
Rituali semplici e antichi ci rimandano alle origini della nostra civiltà prettamente contadina. Sono rituali che affermano e confermano l’intima relazione dell’uomo col Sacro. E delineano l’enorme ricchezza della Pietà popolare, fatta di gestualità e di espressività che riescono a toccare e coinvolgere il corpo, i sensi e lo spirito.
Ancora oggi, evidenzia il parroco don Giosuè Messina, per la festività viene celebrata la messa e vengono distribuiti ì cudduredd’i sant’Antoni. Si tratta di biscotti salati a forma di anello, preparati presso alcune famiglie di parrocchiani e benedetti al termine delle celebrazioni.
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Chiesa
La devozione e gli “ossequi”: restaurata la statua della Madonna del Carmelo
Interventi finanziati dai fedeli della parrocchia dell’Idria: l’opera è di Giovambattista Sangiorgio

Dopo mesi di restauro, la parrocchia Santa Maria dell’Idria rivede il simulacro della Madonna del Carmelo in una nuova veste. Un’opera interessata ad interventi, finanziati esclusivamente dai fedeli.
La statua, realizzata con la tecnica dell’impannaggio – che prevede l’utilizzo di legno, tela, colla e stucco, ampiamente utilizzata in Sicilia – è un’opera del biancavillese Giovambattista Sangiorgio (lo stesso autore del “Cristo Risorto” di Biancavilla): risale al 1901 ed è collocata nella nicchia a lei dedicata all’interno della chiesa.
La devozione alla Madonna del Carmine è una caratteristica del Sud Italia: tante in Sicilia le chiese e le associazioni a lei dedicate. Nella parrocchia biancavillese, in passato, durante la quindicina, la messa era molto partecipata e i fedeli sostavano davanti all’altare per rivolgere i cosiddetti “ossequi”.
La statua della Madonna del Carmelo era stata già interessata, con il parroco padre Salvatore Nicoletti, a lavori, eseguiti dal professor Antonino Distefano. Restauri che, però, avevano bisogno di un nuovo ripristino.
Lo hanno eseguito, nei mesi scorsi, due giovani artisti, Francesca Crispi e Alfredo Sergi. Innanzitutto è stata resa solida la base, in seguito sono state ricostruite alcune parti mancanti e, infine, sono stati riportati i colori e le rispettive decorazioni al loro stato originale.
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Chiesa
Quel viaggio chiamato “adolescenza”: lo psicologo parla all’oratorio “Don Bosco”
Un confronto aperto e serrato tra il dott. Alessio Leotta e i giovani della parrocchia dell’Annunziata

Un’occasione di formazione e riflessione per parlare di adolescenza a una platea di… adolescenti. L’oratorio “Don Bosco” della parrocchia Annunziata ha promosso l’incontro con i propri giovani, ponendoli davanti ad un ospite esperto in dinamiche adolescenziali. Ragazze e ragazzi si sono confrontati con il dott. Alessio Leotta, psicologo e psicoterapeuta, affrontando diversi aspetti di quella età, cruciale per la crescita e la formazione dell’individuo.
Il professionista ha proposto un’analisi approfondita di questa delicata fase della vita, soffermandosi su aspetti fondamentali come il cambiamento dell’identità, le sfide emotive, il bisogno di appartenenza, la gestione delle relazioni e la scoperta della propria autonomia. L’approccio non è stato solo teorico, ma fortemente partecipativo: i giovani sono stati invitati a condividere liberamente le proprie esperienze, emozioni e dubbi.
Molti hanno trovato lo spazio per raccontare vissuti personali, paure e desideri, scoprendo nel gruppo un luogo sicuro dove potersi esprimere senza giudizio. Il dott. Leotta ha creato un clima accogliente, rispondendo con empatia e professionalità alle domande e ai racconti.
Un confronto che ha generato una profonda consapevolezza collettiva: l’adolescenza, con tutte le sue difficoltà, è anche un’opportunità per conoscersi meglio, per imparare a relazionarsi con gli altri e per costruire il proprio futuro. Un bagaglio di conoscenze in più per i giovani dell’oratorio “Don Bosco”, più compresi, motivati e pronti ad affrontare il proprio percorso con maggiore serenità.
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