Editoriali
Tra diritto di cronaca e morbosità: no, noi non diamo notizie di suicidi


Ci sono momenti in cui l’onnipotenza del diritto di cronaca –spesso sbandierato a sproposito e pessimamente esercitato– deve fermarsi e fare un passo indietro. Gli episodi di suicidio –riteniamo noi– non andrebbero trattati. Lo sappiamo: la deontologia dei giornalisti non vieta categoricamente la diffusione di tali notizie (come accadeva in epoca fascista). Ma indica ai cronisti un preciso e rigoroso comportamento. Non bisogna esaltare l’accaduto, non va messo in prima pagina, non vanno fornite informazioni minuziose.
Ma viviamo in una piccola comunità. E all’epoca dei social, basta un post spammato qua e là per creare un’eco micidiale. Pericolosa per chi dovesse trovarsi in condizioni di fragilità e vulnerabilità. La stessa deontologia giornalistica si preoccupa del cosiddetto “effetto Werther”, cioè quel rischio di emulazione, tutt’altro che astratto o teorico. Chi –come noi– ha il “potere” di veicolare informazioni a decine di migliaia di persone in pochi minuti non può permettersi disinvoltura e superficialità.
A che serve, quindi, dare la notizia di un suicidio? A chi serve? Diciamoci la verità: il diritto di cronaca, in questo caso, non c’entra nulla. Diritto che –ovvio– andrebbe legittimamente esercitato se dietro al tragico gesto ci fosse una storia di disagio sociale (si pensi agli imprenditori finiti sul lastrico o a padri di famiglia disperati perché licenziati). Oppure se le modalità del gesto fossero eclatanti o se la persona che lo ha compiuto fosse nota o con ruoli pubblici. Elementi che –ci sembra di capire– non troviamo in quest’ultimo episodio verificatosi a Biancavilla.
Nemmeno un milione di facili clic giustificano un link del genere. Il giornalismo –freddo e distaccato– non deve dimenticare mai l’essenza dell’umanità. Il giornalismo –in circostanze come queste e in un contesto come il nostro– dovrebbe tacere. Ecco perché sulle nostre pagine e sui nostri canali social non avete trovato traccia del tragico fatto, che suscita in noi un commosso e sommesso sentimento di rispetto umano per la famiglia.
Scriviamo queste riflessioni –sia chiaro– non per dare lezioni ad altri o emettere giudizi (ognuno agisca in libertà secondo coscienza e sensibilità), ma in risposta ai tanti nostri lettori che si sono collegati sul nostro sito e ci hanno chiesto poi perché non fornissimo alcuna informazione.
Non siamo un bollettino, ma un giornale. Ci sforziamo di non fare una banale somma di notizie, ma di interrogarci sui fenomeni e raccontare la realtà biancavillese nella sua complessità. Diversi mesi addietro Biancavilla Oggi si era posta l’obiettivo di avviare un’inchiesta giornalistica sui suicidi in paese, partendo dall’ipotesi che –in rapporto al numero di abitanti– fossero superiori alla media. Come primo passo, abbiamo cercato di conoscere il dato numerico sui suicidi degli ultimi vent’anni, interrogando il Comune di Biancavilla. La risposta è stata negativa: gli uffici e l’amministrazione non ne sapevano nulla. Un primo elemento “giornalisticamente” significativo: i Servizi sociali non si sono mai posti il problema. Per loro, il “problema”, semplicemente non esiste, non avendo cognizione delle sue dimensioni!
Ebbene, i nostri tentativi di approfondire e ricercare continuano. È un lavoro lungo, che richiede tempo e pazienza. Quando (e se) sarà pubblicato magari non provocherà picchi di clic. Certamente è più facile e comodo dare in pasto alle masse di utenti Facebook tre righe scritte in 120 secondi e vedere schizzare in alto i grafici di Google Analytics. Ma la differenza tra il giornalismo ragionato e il chiacchiericcio morboso sta proprio in questo. Lo diciamo ai nostri lettori e lo ricordiamo a noi stessi.
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Editoriali
Di nuovo Pasqua: “a Paci” di Biancavilla tra cicatrici sociali e drammi globali
Dopo due anni tornano riti e processioni antiche: l’evento ci educhi al senso del collettivo e della legalità


EDITORIALE
Non abbiamo fatto in tempo ad uscire dallo stato d’emergenza sanitaria che un nuovo evento, d’incidenza planetaria, irrompe nelle paure individuali e nella psicosi collettiva. Il conflitto russo – ucraino non ci riporta soltanto dentro le pagine di una storia che pensavamo definitivamente chiusa nei manuali. Ci rimette di fronte all’incertezza dell’avvenire, alla debolezza degli organismi internazionali. E mentre le retoriche di parte tirano a disorientarci, restano le vittime silenziose. I congiunti di chi ha perso la vita o combatte in prima linea, chi ha già perso tutto ed è profugo. Loro insegnano che non c’è mai guerra che si vince.
Eppure, la Pasqua viene per il mondo. Ci riporta alle due condizioni dell’esistere: alla prova e alla gioia. Si ritorna visibili per le strade a parteciparci l’umanità.
E in questo lembo di mondo che si chiama Biancavilla tornano le processioni, si ritorna a sperare. Siamo stati un’Addolorata o un Mistero, ma ci ha abitati una promessa: quella Paci che è esplosione. Vita che ci sorprende dentro la vita.
E mentre vogliamo riappropriarci, seppur con cicatrici individuali e sociali, di quella normalità che ci manca da oltre due anni, ci sentiamo uniti nella drammaticità degli eventi globali. E nella tragedia ci scopriamo vivi, tra il Getsemani e l’alba del terzo giorno.
Ma il biancavillese si rappresenta come un deluso. Estraneo a un sistema che nei fatti si accetta con compiacenza. E che venga Pasqua per educarci al senso del collettivo, a una legalità non di facciata, a prendere posizione contro il malcostume, che ci insegni a esigere dalle istituzioni, che non ci faccia mendicare diritti come favori.
Solo così avremo il coraggio di dire che amiamo questa terra e a Paci l’avremo noi fatta col mondo. Ci faremo l’abito nuovo da esibire nella piazza Roma della conquista sociale. Sapremo restare. È utopia attendere la Pasqua a Biancavilla?
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Antonio
20 Luglio 2018 at 13:03
Complimenti a Biancavilla Oggi, vero giornalismo. Niente a che fare con altri che fanno solo dilettantismo e sconoscono pure le regole basilari.
vincenzo
20 Luglio 2018 at 9:03
scelta condivisa e ben motivata !
Giuseppe
18 Luglio 2018 at 4:06
Ciao Vittorio, secondo me fate bene a prendere questa scelta. Il suicidio è una cosa triste che appartiene al privato e all’intimità di una persona.
Piuttosto, bisognerebbe svegliare le coscienze di quanti dovrebbero prendersi cura dei disagi e delle emarginazioni.
In primis la Chiesa locale in tutte le sue forme di espressione spesso ancora chiuse nella sicurezza delle sagrestia e di preti, borghesi, che hanno perso il sapore, che aprono 15 minuti prima della Messa e chiudono 30 minuti dopo, di pastori che non cercano il gregge smarrito, che non si interessano davvero della gente e dei loro problemi reali ma risultano infastiditi se si chiede supporto.
Poi le Istituzioni pubbliche indiffirenti e quasi del tutto assenti.
Quante vite si sarebbero potute dal salvare se le istituzioni della società avrebbero fatto il loro dovere?