Cultura
Anche il Comune di Biancavilla aderisce all’Ecomuseo della Valle del Simeto
Approvata delibera della Giunta Bonanno per sottoscrivere e sostenere l’ambizioso progetto

Il Comune di Biancavilla ha formalmente aderito al progetto “Ecomuseo del Simeto”, nell’ambito della legge regionale del 2014 che istituisce gli ecomusei della Sicilia. Lo ha fatto attraverso una delibera della Giunta del sindaco Antonio Bonanno, la cui riunione ha visto la presenza di tutti gli assessori.
L’Ecomuseo del Simeto va inteso come strumento di pianificazione comunitaria. Con l’intento di valorizzare – il dinamismo sociale, per reinterpretare gli assetti strategici del territorio, verso l’auto-sostenibilità dei sistemi produttivi locali.
Compito Comune di Biancavilla (come di tutti gli enti pubblici che vi aderiscono) è promuovere le attività. E sostenerle dal punto di vista logistico ed economico.
Tra gli obiettivi del progetto: ripercorrere le tappe della storia sociale e ambientale del territorio; ristabilire legalità, equità sociale, inclusione ed equilibrio ecologico; riposizionare gli elementi materiali e immateriali del paesaggio in relazione con il valore d’uso a essi attribuiti dalla comunità; ricucire il rapporto sussidiario tra città e campagna; recuperare i manufatti e le pratiche di produzione locali per alimentare i circuiti dell’economia civile, circolare e generativa; riorganizzare la fruizione e la cura del territorio, anche mediante forme di ospitalità diffusa, riutilizzando, laddove possibile, immobili in disuso; riassaporare i gusti della campagna, attraverso una riscoperta delle ricette contadine, coinvolgendo nonne, esperti ed istituti alberghieri della Valle del Simeto.
Per dar seguito a queste finalità, sono stati individuati, quattro progetti pilota di comunità. Progetti integrati tra loro, da avviare nella fase di rodaggio dell’Ecomuseo del Simeto.
Esiste un Fiume
Questo progetto è funzionale a far riscoprire agli abitanti (e visitatori) il Simeto e i suoi affluenti, le bellezze naturali, storiche, artistiche e architettoniche. Ma anche le fragilità degli ecosistemi e le criticità determinate dalle attività antropiche, coinvolgendo attivamente naturalisti, agricoltori, artigiani, gli artisti della Valle. Il fiume diventa filo conduttore tra arte, cultura e relazioni socio-ecosistemiche.
Paesaggi Inclusivi
Questo progetto è funzionale a ricostruire le storie di marginalità e affrontare le questioni di esclusione sociale. In che modo? Attraverso pratiche di rivitalizzazione del patrimonio culturale e nuove narrazioni. Bisogna aprire le porte dell’Ecomuseo a tutta la comunità. E portare nel processo di riconoscimento e valorizzazione del patrimonio locale materiale e immateriale, le persone normalmente escluse dalla vita civica e dalle occasioni di partecipazione democratica.
Il Museo va in campagna
Questo progetto è funzionale a porre rimedio alla scarsa affluenza di visitatori nei musei locali e alla scarsa cura dei beni sparsi nel territorio. Il progetto intende: ricostruire le reti di fiume; praticare forme di archeologia partecipata; legare i musei e i siti archeologici del territorio; stimolare gli abitanti a ricostruire la propria storia e riflettere sul passato per ragionare criticamente sul presente e sul futuro, producendo contenuti che possano arricchire la memoria collettiva attraverso pratiche di museologia di comunità.
Il progetto è funzionale, inoltre, a rinsaldare il patto città/campagna attraverso una rilettura non solo del patrimonio custodito nei musei, ma anche di quello espresso dai centri storici in relazione con il più ampio contesto rurale, con i beni disseminati sul territorio ampio e con la dimensione dell’eredità immateriale, proponendo la nascita di corridoi culturali che si prestino anche all’attraversamento mediante modalità di mobilità dolce.
Nuove catene del valore
Questo progetto è funzionale ad attivare e sostenere la microeconomia locale volta a riscoprire la cultura del cibo e dell’artigianato, valorizzando sia le tradizioni sia le innovazioni, con uno sguardo rivolto ai giovani.
Il progetto intende generare nuove catene del valore legate all’attualizzazione delle produzioni e dei mestieri che hanno caratterizzato la Valle del Simeto nella storia e ai talenti che possono consentire oggi nuovi cicli dell’economia locale, partendo da un censimento puntuale e dalla ricucitura delle relazioni di fiducia e cooperazione tra operatori economici e abitanti.
Un percorso lungo vent’anni
L’idea di un ecomuseo nella Valle del Simeto è parte di un lungo processo avviato nei primi anni 2000 dalla società civile organizzata. Negli anni è stata costruita una sinergia con l’Università di Catania (in particolare con il Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura).
Con essa, pure i Comuni di Adrano, Belpasso, Biancavilla, Centuripe, Motta Sant’Anastasia, Paternò, Ragalna, Regalbuto, Santa Maria di Licodia, Troina e, più recentemente, Catenanuova.
Altre collaborazioni, poi, con diversi enti istituzionali. Tra questi, il Parco Archeologico e Paesaggistico di Catania e della Valle dell’Aci e l’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale del Consiglio Nazionale delle Ricerche.
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Cultura
La “volta” ritrovata: l’arcivescovo “svela” gli affreschi settecenteschi restaurati
Prezioso patrimonio di Biancavilla: nella chiesa dell’Annunziata risplendono le opere di Giuseppe Tamo

Un’opera restituita alla luce, memoria risvegliata, un segno di bellezza che attraversa il tempo: così Biancavilla ha accolto la presentazione ufficiale del restauro degli affreschi della Chiesa dell’Annunziata.
La cerimonia si è aperta con la celebrazione eucaristica presieduta da Mons. Luigi Renna, arcivescovo di Catania, seguita dalla conferenza di presentazione dei lavori della volta: un’opera ora visibilmente più luminosa, liberata dalla patina del tempo, da ritocchi dissonanti e dai cedimenti che avevano compromesso la sua integrità visiva e strutturale.
Un gioiello dentro uno scrigno
A introdurre e presentare l’incontro Dino Laudani, presidente della Confederazione diocesana delle confraternite, che ha ricordato come la Chiesa dell’Annunziata – autentico monumento cittadino – sia stata oggetto, negli ultimi decenni, di molteplici interventi conservativi. «Un gioiello dentro uno scrigno di fede e di arte», ha detto Laudani, sottolineando la continuità di un impegno collettivo nel custodire la bellezza.
Il parroco, don Giosuè Messina, ha ricostruito le origini dell’attuale restauro: «Tutto è iniziato nell’ottobre 2021. Dopo una pioggia battente, della polvere iniziò a cadere da una fessura, aperta dal terremoto del 2018. Fu un segnale. Da lì, con prudenza e speranza, partì il lungo iter verso il restauro». Un cammino reso possibile dal lascito testamentario della signora Maria Zammataro (39mila euro), dai 10mila euro di residui del fondo messo a disposizione della parrocchia da padre Placido Brancato (per quasi cinquant’anni parroco) e dalla generosità dei fedeli (poco più di 4mila euro). Il preventivo iniziale di 73.800 euro è salito a 82mila, coperto in gran parte da questi fondi.
Il sindaco Antonio Bonanno, presente all’incontro, ha annunciato lo stanziamento di 20.000 euro da parte del Comune per contribuire al saldo delle spese residue per un’opera che valorizza e impreziosisce la nostra città.

Una storia mai del tutto scritta
Il professor Antonio Mursia ha arricchito la conferenza con un’ampia contestualizzazione storica. Un documento del 1872 del Prefetto di Catania chiedeva una copia dell’atto di fondazione della chiesa: ma nemmeno allora, il prevosto fu in grado di fornirne una. Solo agli inizi del Novecento, lo storico Placido Bucolo riesce a ricostruire la storia della chiesa. A volerne la costruzione fu alla fine del Cinquecento Dimitri Lu Iocu, giurato della Terra di Biancavilla: un’iniziativa non solo religiosa, ma anche civile e politica. Nel 1714, grazie a un lascito di Maria Carace, si avviò l’ampliamento della chiesa, su progetto del magister Longobardus, figura di spicco nella progettazione ecclesiastica della diocesi.
Il restauratore: «Sobrietà e impatto visivo»
Il momento più tecnico dell’incontro è stato l’intervento del restauratore Giuseppe Calvagna. Gli affreschi della volta, realizzati nel Settecento da Giuseppe Tamo, erano stati eseguiti con la tecnica della pittura a secco, scelta versatile ma fragile nel tempo. Le infiltrazioni d’acqua, i terremoti e restauri maldestri effettuati tra Ottocento e Novecento – alcuni con latte di calce – avevano offuscato l’opera originale, coprendone i tratti e minacciandone la stabilità.
Il lavoro di restauro ha richiesto interventi strutturali complessi: consolidamento dell’intonaco con resine, fissaggio del colore per fermarne il distacco, rimozione di croste dure e sedimentazioni. Si è poi proceduto alla ricostruzione morfologica delle lacune e infine alla reintegrazione pittorica con colori ad acquerello, rispettando le tecniche conservative. «In alcune parti non abbiamo trovato tracce originarie – ha spiegato Calvagna – ma l’obiettivo è stato restituire leggibilità e armonia. Il risultato è un’opera sobria, equilibrata e di forte impatto visivo».
L’architetto Antonio Caruso, che ha diretto e mediato tra i diversi professionisti coinvolti, ha posto l’accento sull’importanza della manutenzione ordinaria. «Le opere architettoniche e decorative non sono eterne: richiedono attenzione costante, altrimenti rischiano danni irreversibili».
Il vescovo: «Immagini che toccano il cuore»
A chiudere, l’intervento dell’Arcivescovo Renna, che ha dato al restauro un significato teologico profondo: «Queste immagini non sono semplici rappresentazioni. Esse raccontano la fede: dalle antiche profezie che parlano di Maria, fino agli Evangelisti, immagini mariane e cristologiche che ci introducono al mistero della salvezza e che parlano fino ai nostri giorni restituendoci significati profondi. Come la simbologia dei fiori e della natura che fiorisce, segno più bello della redenzione dell’uomo. Nel ciclo possiamo trovare patristica, teologia, dogmatica, in un racconto che tocca ancora oggi il cuore dei fedeli.
Oggi, tra le volte luminose dell’Annunziata, quegli affreschi sembrano custodire una memoria silenziosa. Non parlano solo del passato, ma anche del presente e del futuro. Restano lì, tra luce e ombra, a ricordarci che ogni bellezza custodita è anche una forma di resistenza – contro l’oblio, contro il tempo, contro l’indifferenza.
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FOCUS
Cultura
Il Corpus Domini a Biancavilla: festa del pane, della terra e… dei nuovi immigrati
Non solo rito religioso, ma anche memoria agricola e ponte tra passato contadino e presente multiculturale

Mentre la sfera del sole raggiunge il suo punto più alto nel cielo, riscaldando le giornate della Piana di Catania, a Biancavilla comincia un rituale antico, scandito dal ritmo della natura: è il tempo della mietitura del grano. Un tempo, questo, che significava benessere e sostentamento per l’intera comunità. La terra, scura e generosa alle pendici dell’Etna, restituiva mesi di attesa e di lavoro con il frumento dorato, simbolo di ricchezza e sopravvivenza.
Il grano dava da mangiare a tutti: non solo ai proprietari dei campi, ma anche e soprattutto alle centinaia di braccianti impiegati a mietere, trebbiare e mondare i preziosi chicchi. In tempi difficili, segnati dalla miseria e dalla fame, l’abbondanza di un raccolto costituiva motivo di festa: la fatica era ripagata dalla certezza che per un altro anno si sarebbe avuto pane sulla tavola.
“U Signuri” e i quartieri in festa
In questo stesso mese di giugno, che prelude all’estate, Biancavilla celebra una delle sue feste più sentite: u Signuri. Una festa che unisce il sacro al quotidiano, il cielo e la terra, e che parla proprio del pane spezzato, dell’Eucaristia che diventa presenza divina tra la gente.
Il caldo estivo fa uscire di casa anche i più restii, e “a chiazza” si anima di voci, volti, incontri. È davvero la festa dei quartieri, della cooperazione tra vicini di casa che si traduce in bellezza.
Cominciando dalla Chiesa Madre, per un’intera settimana ha luogo, a turno in tutte le parrocchie, la processione d’a Sfera: il SS. Sacramento racchiuso dentro l’ostensorio che coi suoi raggi dorati richiama quelli del sole luminoso, generoso e forte.
Gli altarini con le lenzuala bianche
Un tempo, quando esisteva una sola parrocchia — la Chiesa Madre — era da lì che partiva l’unica processione. Ma dopo il 1952, con la nascita delle nuove parrocchie, ciascuna ha iniziato a organizzare la propria, coinvolgendo fedeli e volontari nel proprio territorio. E così ogni sera, tra le strade dei quartieri, si visitano sette, otto, anche dieci altarini preparati con cura e devozione agli incroci: strutture semplici, realizzate con assi di ferro o di legno, ricoperte di lenzuola bianche e ornate di fiori, cuscini, candele e luci.
Il sacerdote si ferma a ogni altarino per impartire la benedizione. Subito dopo esplodono le note della banda musicale – prima molto più diffuso, negli ultimi anni un po’ più raramente – e lo sparo di qualche mortaretto che echeggia in tutto il paese, mentre dai balconi piovono petali di fiori e si alzano i canti e le preghiere. Gli stendardi delle confraternite e i bambini, vestiti con gli abiti della Prima Comunione, aprono la strada a questo corteo sacro e gioioso, che celebra il pane spirituale ma anche, implicitamente, quello materiale, frutto della terra e del sudore dell’uomo, simbolo della prosperità che si spera per l’anno a venire.
Il pane che unisce: dalla terra ai nuovi immigrati
Non solo rito religioso, la festa del Corpus Domini è memoria agricola, è gesto collettivo, è riflesso simbolico del dono ricevuto dalla terra: il grano triturato, impastato e cotto diventa pane da condividere.
Oggi, mentre molti rimangono indifferenti, nelle piazze e tra le strade a osservare da lontano questa tradizione, ci sono anche nuovi abitanti, nuovi vicini di casa: marocchini, rumeni, albanesi, tunisini arrivati a Biancavilla in cerca di lavoro e di futuro. Molti di loro lavorano nei campi, partecipano alla mietitura, apprendono il valore della terra di Sicilia e, a poco a poco, si integrano nel tessuto vivo del paese.
Anche se le differenze religiose o culturali restano, sono sempre più frequenti i segni di partecipazione condivisa. Pure se spesso guardano stupiti perché qualcuno di quei gesti rimane incomprensibile e strano, molti si fermano a osservare in silenzio le processioni, riconoscendo nella devozione di quelle persone che sfilano, qualcosa di familiare, che parla anche a loro, nei loro linguaggi, nelle loro fedi.
Il pane, allora, torna ad essere simbolo universale: spezzato, condiviso, celebrato. È un ponte tra generazioni e culture, tra passato contadino e presente multiculturale.
Tradizione che si rinnova
Nel clima pomeridiano di questo bel periodo dell’anno, Biancavilla si racconta attraverso la festa del Corpus Domini: una tradizione che si rinnova, che accoglie e che tiene insieme. Il mistero del pane e della presenza divina ci parla anche del lavoro dei campi e della forza della comunità, in un rituale che unisce il sacro e l’umano, il locale e il globale, il passato e il futuro e si riscopre non solo paese agricolo ma comunità che accoglie, che ascolta e che vuole evolversi senza dimenticare.
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