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Biancavilla e il terremoto del 1693: così San Placido divenne patrono

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L’11 gennaio 1693, il più terribile terremoto mai registrato in epoca storica colpiva la Sicilia orientale con una intensità superiore all’XI grado della Scala Mercalli.

La prima forte scossa allora arrivò la sera del venerdì 9 gennaio, alle ore 21 circa. Il giorno dopo, il sabato, passò senza notevoli scosse, così da far credere alla gente che tutto fosse finito. La domenica, 11 gennaio, si ebbe una nuova forte scossa ed un’altra a distanza di un’ora. Poi, alle 13.30, la scossa più forte provocò la grande distruzione. I piccoli centri pedemontani furono rasi al suolo, tutti i centri di importanza economica gravemente colpiti, si formarono numerose spaccature nel terreno dalle quali usciva gas.

In questa atmosfera apocalittica, Biancavilla subì danni veramente lievi. La Chiesa Madre riportò delle lesioni e forse ci fu anche qualche crollo, ma non si ebbero danni strutturali rilevanti e, soprattutto, non fu segnalata alcuna vittima. Il periodo sismico si protrasse a lungo: le repliche furono avvertite fino al 1696, mettendo a dura prova le capacità emotive e le forze dei sopravvissuti.

Mons. Riggio, il vescovo della ricostruzione, vide e toccò i disastri di una calamità così potente e, assieme agli abitanti di questa terra, giudicò miracoloso il fatto che a Biancavilla non si ebbero morti, quando invece aveva causato la distruzione di 45 centri abitati, 16mila vittime nella sola Catania, a Paternò 60, ad Adrano 2, per un totale di circa 60.000 in tutta l’Isola.

Da quella calamità, come la mitica fenice, la Sicilia si risollevò piano piano. Furono attuati piani di prevenzione concretizzati nella costruzione di edifici a un solo piano o al massino due, le volte delle case furono rigorosamente realizzate con pietra pomice e canne, le vie urbane dovettero essere larghe e prevedere degli spazi che per consentire il deflusso dei cittadini. Per i grandi palazzi, chiese, monasteri, edifici pubblici, furono progettate fondamenta secondo norme innovative capaci di sopportare le sollecitazioni e i movimenti tellurici (valga per tutti l’esempio del monastero dei benedettini di Catania progettato dal Vaccarini).

Negli anni successivi, Biancavilla fu scelta come meta per i tanti che erano rimasti senza tetto. La popolazione aumentò quasi del doppio. La cappella di San Placido, che custodiva le reliquie del Santo, e che costituisce la parte più antica della Matrice, era rimasta indenne, divenendo luogo privilegiato di preghiera.

Nell’archivio della Chiesa Madre di Biancavilla esiste un antico documento, datato 23 settembre 1709, e firmato dal vescovo di Catania. Il documento, ingiallito dal tempo, afferma tra l’altro:

Noi, D. Andrea Riggio […] vogliamo […] elevare come Patrono della citata Terra e Protettore il Divino Placido […] affinché la predetta terra non fosse distrutta dall’eccidio del terremoto […]  proviamo, non senza grandissima paura di tutti, che sussultano […]  di essere sfuggiti alla crudele strage del terremoto […] istituiamo, dichiariamo, scegliamo e facciamo il predetto Inclito San Placido […], Patrono e Protettore della predetta Terra di Albavilla e di tutti i fedeli che abitano qui. Esortando tutti […] a non lasciare di celebrare la solennità nel giorno festivo del menzionato Divino Placido con singolare pompa e singolare devozione degli animi […]

Il terremoto che aveva stravolto la Sicilia, cambiando la struttura dei centri urbani e soprattutto gli animi dei sopravvissuti, a Biancavilla avviò quell’ultimo e decisivo processo di cambiamento che eclissò il rito greco portato dagli albanesi e instaurò definitivamente il rito latino e da allora, il nostro San Placido, patrono e protettore della Terra di Biancavilla, ci ricorda che ogni uomo è nelle mani di Dio, suo creatore.

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Cultura

1° Maggio a Biancavilla, l’occupazione delle terre e quelle lotte per i diritti

Il ruolo della Sinistra e del sindacato: memorie storiche da custodire con grandissima cura

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Anche Biancavilla vanta una ricca memoria storica sul 1 maggio. Nel nostro comprensorio non sono mancate, nel secolo scorso, iniziative e manifestazioni di lotta per i diritti dei lavoratori.

Spiccano su tutte l’occupazione delle terre e la riforma agraria di cui ci parla Carmelo Bonanno nel recente libro “Biancavilla e Adrano agli albori della democrazia. La ricostruzione dei partiti, le prime elezioni e i protagonisti politici dopo la caduta del fascismo”.

Il volume, edito da Nero su Bianco, raccoglie le testimonianze di alcuni dei protagonisti della vita politica e sindacale locale del Novecento, evidenziando le numerose iniziative volte a spazzare via i residui del sistema feudale di organizzazione delle terre e ad ottenere la loro redistribuzione.

Il mezzo principale per raggiungere tale obiettivo fu l’occupazione delle terre ad opera di un folto gruppo di contadini e braccianti. Tra questi, Giovanbattista e Giosuè Zappalà, Nino Salomone, Placido Gioco, Antonino Ferro, Alfio Grasso, Vincenzo Russo. A spalleggiarli anche diversi operai. Tra loro, Carmelo Barbagallo, Vincenzo Aiello, Domenico Torrisi, Salvatore Russo. Ma anche intellettuali come Francesco Portale, Nello Iannaci e Salvatore Nicotra.

Così, ad essere presi di mira furono anzitutto i terreni del Cavaliere Cultraro in contrada Pietralunga, nel 1948. Più di 400 persone li occuparono per cinque giorni e desistettero soltanto per l’arrivo della polizia, che sgomberò le proprietà.

A questa occupazione ne seguirono altre, tutte sostenute dai partiti della Sinistra dell’epoca (Pci e Psi in testa) e dalla Camera del Lavoro, e col supporto delle cooperative agricole di sinistra.

Le parole del “compagno” Zappalà

Significativa la testimonianza, riportata nel libro di Bonanno, del “compagno” Giosuè Zappalà: «Gli insediamenti furono vissuti con grande entusiasmo e costituirono per noi protagonisti dei veri e propri giorni di festa in cui potevamo manifestare la libertà che per tanti anni ci era stata negata. Le terre, i cui proprietari erano ricchi borghesi e aristocratici, spesso si trovavano in condizioni precarie, erano difficilmente produttive e necessitavano di grandi lavori di aratura, semina e manutenzione. Noi braccianti, perciò, con grande impegno e dedizione, spinti, oltre che dalla passione per il nostro lavoro, anche e soprattutto dalle condizioni di vita misere di quei tempi, ci occupammo, fin quando ci fu concesso, dell’opera di bonifica. Erano terre che di fatto costituivano per moltissimi l’unica fonte di reddito disponibile».

Tali iniziative, innestatesi nel corso del processo di riforma agraria che portò al superamento del sistema di governo delle terre sino ad allora vigente, condussero però a risultati contraddittori, poiché alcuni contadini ottennero terre produttive mentre altri terre scadenti. Ciò acuì il clima di invidia e inimicizia tra i protagonisti di quelle lotte e condusse alla rottura definitiva della coesione e della solidarietà della categoria.

Ciò non toglie che queste iniziative e manifestazioni segnarono un passaggio molto importante nella storia politica, socio-economica e sindacale locale e posero le basi per la “conquista” del palazzo municipale nel 1956 con l’elezione di Peppino Pace, primo sindaco comunista di Biancavilla.

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