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Un intenso canto corale dell’anima nella poesia di Michele Mazzamuto

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È uscita pochi giorni fa, a distanza di appena un anno, “NaturAmore”, la seconda raccolta di versi di Michele Mazzamuto, che corona degnamente una precedente produzione uscita in sordina nel marzo 2015 col titolo “Versi…in tasca”: un insieme di circa 310 liriche.

Nelle intenzioni, l’amico Michele, a me noto come poeta dilettante solo da qualche anno, non intendeva irrompere come un fiume in piena nel mondo culturale biancavillese per farsi ripescare, con la sua malaugurata invadenza, all’interno della ristretta élite intellettuale cittadina; e, meno che mai, sovrapporsi a chi si è già fatto conoscere prima per aver gridato più forte.

No, non si è lasciato tentare dalle frivole manie esibizionistiche di qualcuno che continua a dettare a voce ciò che altri acriticamente scrivono, o di chi si propone scopiazzando, rimasticando e adulterando, talora con toni da incompetente, i lavori altrui!

La sua umbratile modestia ha meritato invece l’onore di una considerazione ben più gratificante! Ora che l’età pensionabile gli ha fatto scoprire la fertile utilità del tempo libero e la “vera beatitudo” generata dalla duttilità dell’”otium” domestico, ha pensato bene il nostro Autore, non avendo di meglio in termini di mezzi e di supporto, di affidare all’estimazione degli amici fidati quanto per lunghi anni ha vergato e limato del suo travaglio interiore tenendolo pudicamente in serbo nel cassetto.

Altro che presunzioni! Sì, perché, di ambedue i testi prodotti, a scanso di equivoci ha deciso con suo sacrificio di autofinanziarsi piccole tirature per il piacere di donarne una copia alle persone la cui serietà garantisce, a suo dire, almeno una lettura attenta di quei contenuti a lui sì cari. Una finalità lodevole nella sua modestia, visto, ripeto, lo spazio esiguo che le risorse degli enti locali riservano ormai alla creatività individuale!

La produzione che si dovrebbe qui recensire in maniera più degna è davvero imponente – se si considera il lungo periodo di tempo in cui è stata spalmata – e di non facile classificazione, vista la fecondità e la varietà dell’ispirazione, dei temi, dello stile, dei riferimenti al mondo classico cui Egli attinge come per trovarvi conforto. Prova ne è, di quanto qui affermo, il riscontro che emerge in maniera autorevole dall’ampia analisi che, in ambedue i volumi, è stata dottamente operata dal prof. Alfio Bisicchia nelle rispettive presentazioni di prima pagina.

Le notevoli capacità di osservazione dell’Autore, coniugate con le sue innate tendenze contemplative della Natura e delle cose, del mondo e dell’animo umano, trasportano subito il lettore in insolite sfere celesti, dove tutto, per incanto, diventa davvero puro, sublime, di un’altezza emotiva che travalica senza fatica la monotonia della miseria quotidiana.

Privilegiata in lui, perché efficace, è l’attenzione di volta in volta prestata alle visioni solitarie della sua anima errante, ora rincorrendo le molteplici voci della vita, comprese anche quelle che fluiscono nel nulla insieme ai ricordi che si spengono, ora carpendo ad un’improvvisa folata di vento gli echi di lontani richiami, ora rincorrendo sensazioni pazze e perentorie che riaffiorano nella sua immaginazione con la stessa prepotenza di un femmineo bacio inatteso, ora imprigionando in un sospiro liberatorio la percezione di aver vissuto – finalmente – il proprio attimo fuggente come una breve aurea eternità che ha lasciato nel cuore la sua mite eppur indelebile impronta.

Tutta la poesia di Mazzamuto è ovunque un dolce lirismo che si rigenera con le note sommesse di un canto corale! Ovvio, allora, che tanto navigare non può escludere dalla poetica di Mazzamuto la centralità dell’anima femminile, tenera divinità onnipresente, elevata a vera padrona, signora indiscussa dei risvolti esistenziali dell’uomo. Grazie a lei, musa insistentemente cercata negli anfratti più pericolosi e reconditi dell’intimo, egli riesce a librarsi là dove per amore mai è stato prima, avendo recuperato, come già in Leopardi, la facoltà non comune di saper “vedere oltre la siepe”, ben oltre la banalità del quotidiano: ovvero di annientarsi nell’infinito delle proprie esclusive emozioni.

Il nostro valente Concittadino, devo riconoscerlo, ha scritto davvero per pochi privilegiati, non per tutti: intendo, coloro la cui sensibilità non esula mai dagli intimi affetti a cui il cuore si aggrappa. Leggendo qua e là, ho avuto la percezione di trovarmi di fronte ad un corpus poetico complicato, dotato di membra – le tematiche – solo in apparenza distinte le une dalle altre.

In realtà, a lettura ultimata, esse appaiono invece quanto mai coese, libere da grovigli di sorta, addirittura necessarie alla definitiva comprensione: utili come dei confusi ingranaggi di un orologio stipati dal loro accorto fattore entro spazi incredibilmente ristretti, come a soffocare il fluire inesorabile del tempo segnato, eppure assunti, nella loro funzione finale, a perfetti misuratori della motivazione di ciascuno a vivere fino in fondo la propria esperienza esistenziale.

È ora che Biancavilla dia il proprio convinto benvenuto a queste due belle, belle pubblicazioni: anche loro meritano da tutti amore e rispetto!

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Cultura

1° Maggio a Biancavilla, l’occupazione delle terre e quelle lotte per i diritti

Il ruolo della Sinistra e del sindacato: memorie storiche da custodire con grandissima cura

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Anche Biancavilla vanta una ricca memoria storica sul 1 maggio. Nel nostro comprensorio non sono mancate, nel secolo scorso, iniziative e manifestazioni di lotta per i diritti dei lavoratori.

Spiccano su tutte l’occupazione delle terre e la riforma agraria di cui ci parla Carmelo Bonanno nel recente libro “Biancavilla e Adrano agli albori della democrazia. La ricostruzione dei partiti, le prime elezioni e i protagonisti politici dopo la caduta del fascismo”.

Il volume, edito da Nero su Bianco, raccoglie le testimonianze di alcuni dei protagonisti della vita politica e sindacale locale del Novecento, evidenziando le numerose iniziative volte a spazzare via i residui del sistema feudale di organizzazione delle terre e ad ottenere la loro redistribuzione.

Il mezzo principale per raggiungere tale obiettivo fu l’occupazione delle terre ad opera di un folto gruppo di contadini e braccianti. Tra questi, Giovanbattista e Giosuè Zappalà, Nino Salomone, Placido Gioco, Antonino Ferro, Alfio Grasso, Vincenzo Russo. A spalleggiarli anche diversi operai. Tra loro, Carmelo Barbagallo, Vincenzo Aiello, Domenico Torrisi, Salvatore Russo. Ma anche intellettuali come Francesco Portale, Nello Iannaci e Salvatore Nicotra.

Così, ad essere presi di mira furono anzitutto i terreni del Cavaliere Cultraro in contrada Pietralunga, nel 1948. Più di 400 persone li occuparono per cinque giorni e desistettero soltanto per l’arrivo della polizia, che sgomberò le proprietà.

A questa occupazione ne seguirono altre, tutte sostenute dai partiti della Sinistra dell’epoca (Pci e Psi in testa) e dalla Camera del Lavoro, e col supporto delle cooperative agricole di sinistra.

Le parole del “compagno” Zappalà

Significativa la testimonianza, riportata nel libro di Bonanno, del “compagno” Giosuè Zappalà: «Gli insediamenti furono vissuti con grande entusiasmo e costituirono per noi protagonisti dei veri e propri giorni di festa in cui potevamo manifestare la libertà che per tanti anni ci era stata negata. Le terre, i cui proprietari erano ricchi borghesi e aristocratici, spesso si trovavano in condizioni precarie, erano difficilmente produttive e necessitavano di grandi lavori di aratura, semina e manutenzione. Noi braccianti, perciò, con grande impegno e dedizione, spinti, oltre che dalla passione per il nostro lavoro, anche e soprattutto dalle condizioni di vita misere di quei tempi, ci occupammo, fin quando ci fu concesso, dell’opera di bonifica. Erano terre che di fatto costituivano per moltissimi l’unica fonte di reddito disponibile».

Tali iniziative, innestatesi nel corso del processo di riforma agraria che portò al superamento del sistema di governo delle terre sino ad allora vigente, condussero però a risultati contraddittori, poiché alcuni contadini ottennero terre produttive mentre altri terre scadenti. Ciò acuì il clima di invidia e inimicizia tra i protagonisti di quelle lotte e condusse alla rottura definitiva della coesione e della solidarietà della categoria.

Ciò non toglie che queste iniziative e manifestazioni segnarono un passaggio molto importante nella storia politica, socio-economica e sindacale locale e posero le basi per la “conquista” del palazzo municipale nel 1956 con l’elezione di Peppino Pace, primo sindaco comunista di Biancavilla.

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