Cultura
Giuseppe Tamo, nuove scoperte su una saga familiare nella Biancavilla del ‘700
Serie di atti inediti sui legami del pittore: il destino di moglie e figli, gli intrecci con il notabilato locale

In occasione delle celebrazioni per il IV Centenario della fondazione della chiesa di Santa Maria Annunziata (1604-2004), il Comune di Biancavilla insieme alla Parrocchia si fecero promotori di svariati eventi culturali il cui proposito era quello di gettare luce sulle vicende dell’importante edificio sacro.
Tra i temi che ebbero maggiore fortuna vi fu senza dubbio quello riguardante lo studio delle vicende artistiche del pittore Giuseppe Tamo da Brescia, attivo a Biancavilla e ad Adrano nel decennio compreso tra il 1722 e il 1731.
Le indagini condotte da Luciano Anelli e soprattutto da Chiara Allegra, più di un decennio fa, hanno avuto il merito di chiarire le vicissitudini artistiche del quadraturista lombardo, giunto in un primo momento a Naro (in provincia di Agrigento) e trasferitosi in seguito a Biancavilla forse per interesse di frate Francesco Rametta.
I due studiosi hanno, così, rivelato le influenze artistiche della pittura del Tamo, attraverso accurate analisi portate avanti sui vasti cicli pittorici biancavillesi e sulle pale conservate ad Adrano.
Allegra ha pure ricostruito in parte le vicende della famiglia del pittore: sposatosi a Naro con Olimpia Bonavia, forse nel 1724, da lei il Tamo ebbe tre figli: il primogenito Giovanni, morto il 31 luglio 1726; la secondogenita Elisabetta Giovanna nata il 18 settembre dello stesso anno; e infine Carmelo, venuto alla luce il 17 marzo del 1731. Nove mesi dopo questa data, il 27 dicembre, Giuseppe Tamo morì nella propria casa di Biancavilla, venendo sepolto nella chiesa di Santa Maria Annunziata.
Il ritrovamento di questi atti nell’Archivio Parrocchiale di Biancavilla permise di ottenere non solo preziose informazioni sulla famiglia Tamo. Ma anche interessanti notizie sui legami che il pittore riuscì a costruire durante la seconda decade del Settecento. Legami con alcuni esponenti del notabilato locale, palesando il suo inserimento in seno agli strati più alti della società biancavillese.
A questo riguardo, i padrini di battesimo di Elisabetta Giovanna furono il Dr. Don Placido Piccione e Donna Rosana Piccione, moglie di Don Giovambattista, mentre del terzogenito Don Giacomo Cunsolo e Domenica Renda, moglie di Giuseppe.
La famiglia Piccione – alla quale era legato anche il sacerdote Giacomo Cunsolo – era senza dubbio uno dei casati più importanti dell’abitato etneo. Lo era sia per ragioni economiche sia perché il capostipite Don Francesco, a partire dalla seconda metà del Seicento, era riuscito a intessere relazioni parentali con influenti famiglie di Biancavilla, Adrano e Agira.
Giuseppe Tamo e i legami familiari
Lo studio sistematico condotto da chi scrive sui Registri di battesimo, matrimonio e morte dell’Archivio Parrocchiale di Biancavilla e dei comuni limitrofi ha permesso di identificare ulteriori documenti inediti – ora pubblicati da Biancavilla Oggi – che contribuiscono non solo a gettare maggiore luce sulla famiglia del pittore, ma anche a svelare, ancona volta, i legami intessuti da Giuseppe Tamo sia con personaggi appartenenti al ceto delle maestranze locali sia con personalità legate al casato Piccione.
In questo senso, interessante appare l’atto di battesimo di Vincenzo Prezzamà, figlio di Lorenzo – detto in un altro documento: «homo dipendente dall’abate Piccione» – del 3 ottobre 1724.

Il certificato, infatti, oltre a testimoniare l’intervento in qualità di madrina di Olimpia Bonavia, accanto all’autorevole notaio Mario Palazzolo, fornisce un termine per datare con più precisione il matrimonio del pittore. Matrimonio che dovette celebrarsi probabilmente a Naro prima di questa data. La stessa Olimpia, due anni dopo, fece da madrina ad Antonina Biondi, figlia di Ignazio e Anna Renda, insieme al sacerdote Giacomo Cunsolo.

Finalmente nel 1725, fu Giuseppe Tamo «civitatis Brexi» a intervenire in qualità di padrino al battesimo di Gaetano Portale, figlio di mastro Antonino nonché nonno del più celebre botanico Salvatore.

Questa famiglia, presente a Biancavilla a partire già dagli anni Novanta del Cinquecento, vantava al suo interno maestranze altamente specializzate. Tra queste, l’intagliatore Placido e il pittore Giacomo, autore della pala Il Martirio di Santa Lucia. Opera commissionata da Don Vincenzo Raspagliesi per la chiesa di SantOrsola (oggi nella Basilica di Santa Maria dell’Elemosina).
Il 27 dicembre 1731 Giuseppe Tamo, all’apice della sua carriera, morì improvvisamente a Biancavilla, all’incirca all’età di quarantaquattro anni. Il pittore lasciava la moglie, insieme alla figlia Giovanna di cinque anni e al figlio Carmelo di appena nove mesi.
La scomparsa del quadraturista lombardo aveva fatto ipotizzare agli studiosi che si sono occupati del Tamo che Olimpia avesse lasciato Biancavilla per fare immediato ritorno a Naro.
Lo studio sistematico dei Registri Parrocchiali conservati nella Basilica Collegiata di Santa Maria dell’Elemosina ha permesso, tuttavia, di rintracciare l’atto di matrimonio. Atto con il quale il 26 febbraio 1732 Olimpia sposava mastro Angelo Patania, figlio di mastro Placido e Anna Cunsolo.


Non è stato possibile, però, sapere se Anna e Don Giacomo Cunsolo fossero legati da rapporti parentali. Qualora il dato fosse confermato, allora si potrebbe ipotizzare un intervento da parte del sacerdote per soccorrere la vedova di Giuseppe Tamo.
L’ anno dopo il matrimonio con mastro Angelo, Olimpia ebbe un parto gemellare.


I padrini di Anna Maria e Giuseppa Antonina furono il Marchese Don Pietro Maria Puglisi, la moglie di questi, Donna Anna, e il Dr. Don Santo Rametta e Puglisi. Si trattava di certo dei personaggi più influenti del notabilato biancavillese del Settecento. Alla pari degli esponenti della famiglia Piccione, i quali erano già intervenuti in occasione del battesimo di Elisabetta Giovanna Tamo. Il 10 febbraio 1735, purtroppo, moriva anche Patania.

In questa maniera, Olimpia rimaneva vedova per la seconda volta, gravata dalla responsabilità di allevare da sola quattro figli. Le relazioni intessute negli anni precedenti da Giuseppe Tamo le avevano permesso probabilmente di ottenere aiuti preziosi. Ma il bisogno di sgravarsi dal peso dei propri figli sembra emergere prepotentemente nel gennaio del 1740. A quella data, infatti, Elisabetta Giovanna, all’età di tredici anni, sposò a Paternò mastro Stefano Infantino.


Della famiglia dello sposo non si possiede alcuna notizia: si sa soltanto che, durante gli anni Cinquanta del Settecento, Infantino non era più sposato. Nel Rivelo di Paternò del 1753, infatti, Stefano dichiarò di vivere da solo. E anche di non possedere alcun bene e di essere alloggiato momentaneamente nella Venerabile chiesa Madre di Biancavilla.

È presumibile che Elisabetta Giovanna avesse abbandonato il proprio sposo: i registri dei morti di Paternò e di Biancavilla non riportano, infatti, alcun atto che possa provare la sua dipartita.
Le ulteriori indagini condotte sui libri parrocchiali degli altri centri abitati etnei non tradiscono certificati che si riferiscano ai Tamo, né tanto meno ai Bonavia e ai Patania.
Per cui appare probabile che Olimpia, insieme ai propri figli, in una data di poco antecedente al 1753, dovette lasciare Biancavilla. Attualmente l’unico dato sicuro, poiché fondato su prove documentali, è che la famiglia Tamo residente oggi in provincia di Messina non discenda dal pittore bresciano. Che Olimpia dunque avesse fatto ritorno a Naro? Per il momento questa rimane solo una supposizione.
Soltanto lo studio delle fonti documentarie potrà rispondere al quesito. Soltanto la ricerca potrà contribuire a ricostruire il particolare del grande affresco della storia, il quale è modellato sulla base degli avvenimenti realmente capitati. D’altro canto è pur vero – per riprendere le parole del noto storico siciliano Rosario Gregorio – che «senza fatti non accade di ragionare».
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Chiesa
Nella chiesa dell’Annunziata restauri in corso sui preziosi affreschi del ‘700
Interventi sulle opere di Giuseppe Tamo, il parroco Giosuè Messina: «Ripristiniamo l’originaria bellezza»

All’interno della chiesa dell’Annunziata di Biancavilla sono in corso i lavori di restauro del ciclo di affreschi della navata centrale, della cornice e dei pilastri. Ciclo pittorico di Giuseppe Tamo da Brescia, morto il 27 dicembre 1731 e sepolto proprio nell’edificio sacro.
Gli interventi, cominciati a febbraio, dovrebbero concludersi a giugno, ad opera dei maestri Calvagna di San Gregorio di Catania, che ben conoscono hanno operato all’Annunziata per diversi restauri negli ultimi 30 anni.
Il direttore dei lavori è l’arch. Antonio Caruso, il coordinatore per la sicurezza l’ing. Carmelo Caruso. Si procede sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza ai Beni culturali e ambientali di Agrigento.
«Quest’anno la Pasqua è accompagnata da un elemento che è il ponteggio all’interno della chiesa. Il ponteggio – dice il parroco Giosuè Messina – permette il restauro della navata centrale e delle pareti, per consolidare l’aspetto strutturale della volta e ripristinare la bellezza originaria dell’apparato decorativo. Chiaramente questo ha comportato una rivisitazione del luogo, soprattutto con l’adeguamento dello spazio per permettere ai fedeli la partecipazione alla santa messa».
«In questa rivisitazione dei luoghi liturgici, l’Addolorata – prosegue padre Messina – quest’anno non ha fatto ingresso all’interno della chiesa a seguito degli spazi limitati, ma abbiamo preparato l’accoglienza in piazza Annunziata, esponendo anche esternamente la statua dell’Ecce Homo. La comunità, insieme ai piccoli, ha preparato un canto e poi il mio messaggio alla piazza. Un messaggio di speranza: le lacrime di Maria sono lacrime di speranza».
I parrocchiani dell’Annunziata stanno sostenendo le spese del restauro, attraverso piccoli lasciti e piccole offerte, per ridare bellezza a questo luogo di culto, tra i più antichi di Biancavilla.
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Cultura
Il Venerdì santo del ’68: l’Addolorata in processione nel mondo in rivolta
Uno scatto inedito ritrae i fedeli in via San Placido: la devozione popolare in quell’anno turbolento

L’immagine in bianco e nero, qui sopra a destra, che per la prima volta viene staccata da un album di famiglia e trova collocazione su Biancavilla Oggi, ci restituisce il frammento di una processione della Madonna Addolorata. Il corteo avanza compatto in via San Placido, a pochi passi dall’ingresso del “Cenacolo Cristo Re”. Sullo sfondo, il monastero “Santa Chiara”, dalla cui chiesa il simulacro è appena uscito. Donne eleganti nei loro tailleur, borsette al braccio, volti composti, sorrisi accennati. Uomini in abito scuro, qualcuno in cravatta, qualche altro con la coppola.
Non è un anno qualsiasi: è il Sessantotto. È il 12 aprile 1968: quella mattina del Venerdì Santo, a Biancavilla la storia aveva un sottofondo diverso. Lo scatto fotografico dell’affollata processione, che qui pubblichiamo, coglie un istante di vita di provincia, mentre il mondo era in rivolta.
Otto giorni prima, a Memphis, Martin Luther King veniva assassinato. Negli Stati Uniti, le fiamme delle proteste bruciavano il sogno della nonviolenza. In Italia, gli studenti occupavano le università, lanciando un’ondata di contestazione che avrebbe investito scuole, fabbriche e palazzi del potere. La primavera di Praga era nell’aria, prima che le speranze di libertà finissero sotto i carri armati sovietici. A Parigi, il Maggio francese era pronto a farsi sentire in tutto il suo fragore. E in Vietnam, la guerra e il napalm trucidavano vite e coscienze.
Ma a Biancavilla, in quel venerdì di aprile, la processione dell’Addolorata si muoveva lenta e composta, come ogni anno da secoli. La scena è cristallizzata. Nessuna spettacolarizzazione, nessuna teatralità: soltanto un popolo di fedeli che cammina, che prega, che resta unito nel dolore di Maria. Come se quel dolore universale della Madre che ha perso il Figlio, bastasse a rappresentare anche le inquietudini del presente. Come se, nella liturgia popolare, ci fosse spazio per elaborare anche i drammi collettivi del mondo.
È una Biancavilla ancora intima e raccolta. Ma non per questo isolata del tutto. È semmai una Biancavilla che custodisce le sue radici quando tutto corre verso il cambiamento, necessario e inevitabile. In quella processione religiosa, c’è forse un senso di continuità che si oppone all’instabilità: un tentativo di conservare la tradizione nell’impellenza della modernità.
Riguardare oggi questa fotografia, dunque, non è affatto un esercizio di nostalgia. È un atto di lettura storica e culturale, in un accostamento tra quotidianità locale (racchiusa in quell’istantanea di via San Placido) e narrazione globale (come nell’iconica ragazza col pugno chiuso tra le vie parigine). È vedere come una comunità, anche in quell’anno turbolento, sceglieva di riconoscersi nei propri riti. Non per chiudersi al mondo, ma per affrontarlo con una dichiarazione silenziosa di identità: «Noi siamo ancora qui. Insieme. Anche se il mondo cambia. Anche se tutto sembra franare».
Non è distacco o indifferenza. Il vento del Sessantotto, con la sua carica rivoluzionaria e il sovvertimento di canoni sociali e tabù familiari, in qualche modo, arriverà poi (finalmente) pure a Biancavilla, minando le fondamenta del patriarcato, della sudditanza femminile, della cappa clericale e di tutte le altre incrostazioni e arretratezze. Una battaglia di civiltà e progresso ancora aperta, da rendere viva e riadattare anche oggi, in questo Venerdì santo 2025, nel quale movenze e itinerari dell’Addolorata si riproporranno intatti e immutati.
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