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Sgargianti e sopra le righe? Vuol dire che si è troppo “sbrèchis” o “sbrex”

La parola furoreggiava negli anni ’70-’80 ed oggi sembra di assistere ad una sua reviviscenza

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La voce non è registrata da nessun vocabolario. Eppure, negli anni Settanta-Ottanta e oltre furoreggiava in ogni discussione amena che avesse per argomento un individuo particolare. Uomo o donna, non ha importanza, che per il suo abbigliamento, particolarmente vistoso o affettatamente alla moda, o per il suo atteggiamento un po’ troppo sopra le righe, attirasse l’attenzione degli altri. Nei 2000 inoltrati, a giudicare dalle testimonianze della rete, assistiamo a una reviviscenza e a un recupero di questa voce.

Se ancora state leggendo e vi state domandando di quale voce si tratti, la vostra curiosità sta per essere appagata. Si tratta di sbrex, aggettivo variamente declinato nelle diverse aree della Sicilia: sbreks, sbrechis, sbrèchisi, sbregs, sbrèghisi, sbrègghisi e persino sbrexy, com’era definita qualche anno nei social «Angela Favolosa Cubista, la nonna sbrexy», un fantastico incrocio tra sbrex e sexy.

Abbiamo detto che queste voci non sono registrate da nessun vocabolario. Questa affermazione continua a essere vera. Tuttavia, ci sono vocabolari sui generis che, se non hanno i crismi delle opere lessicografiche, hanno il pregio di sapere osservare le parole da angolature diverse, se non proprio inedite oltre che originali. Pensiamo, tanto per fare qualche nome, a Kermesse, poi Occhio di capra di Leonardo Sciascia, a Museo d’ombre di Gesualdo Bufalino, a Trenta e due ventotto di Renata Pucci di Benisichi. Queste opere, tuttavia, non registrano la nostra voce, ma una recente pubblicazione di Roberto Alajmo, Abbecedario siciliano (2023), una sorta di vocabolario sentimentale, oltre a registrare la voce, ci dà alcune interessanti informazioni:

Sbrèchis

La parola appartiene a un genere gergale piuttosto recente, maturato nel dopoguerra presso soprattutto la borghesia. Significa sgargiante, con una sfumatura di presa in giro:

 – Sei troppo sbrèchis!

Si dice di una persona vestita con ricercatezza sopra le righe. Ma vale anche per automobili, brani musicali, accessori in genere. Probabilmente all’origine della parola c’è la distorsione di un presunto anglicismo sbrex che tuttavia, dizionario alla mano, non vuol dire niente. Ammissibile è pure la variante sbrèchisi.

“Sbreghisi”, l’amante di Matteo Messina Denaro

Sbrex (e varianti), dunque, può essere riferito a un capo di abbigliamento, a una acconciatura, ma soprattutto a una persona che, ritenendo di essere alla moda, agli occhi degli altri appare in realtà esibizionista e appariscente, fino a rasentare la pacchianeria.

Come scrive Giuseppe Lorenti su “Il Venerdì di Repubblica” del 10 novembre 2023, «I napoletani possono essere sbafantielli, cioè azzimati, vanesi ed esibizionisti, i siciliani, talvolta, sono sbrèchis, appariscenti e abbigliati con una ricercatezza un po’ sopra le righe». Sapendo questo, confessiamo di essere curiosi di sapere il motivo per cui, come risulta dalle cronache recenti, l’ultima «amica» del boss Matteo Messina Denaro venisse «chiamata in codice Sbreghisi» dalla maestra Bonafede.

Oltre che da queste citazioni, la reviviscenza di sbrex si deve anche agli usi letterari, come in questi esempi:

Si appresentò alla facoltà di Lettere tutto sbrechis: il giubbotto di pelle quello buono, la maglietta americana, il jeans giusto, no quelli che mi accattavo io al corso Olivuzza, che erano l’imitazione dell’imitazione (Gaetano Savatteri, Gli uomini che non si voltano, 2006).

«E l’altra? Maruzza?» «Al negozio. Un negozio in via Etnea di quelli sbrex, dottoressa.» Poi, temendo di non essere stata chiara: «Voglio dire: fine assai, cose firmate, di prima qualità (Silvana La Spina, La bambina pericolosa, 2008).

Questo gli suscitava una diffusa antipatia in tutto il paese, particolarmente tra i suoi coetanei, che lo definivano sbrechisi e deridevano questa sua originalità (Giovanni Accardo, Il diavolo d’estate, 2016).

Gliel’hanno detto chi l’ha mandato quello in coma, per esempio? Si sentono tutti sbrechisi e sono buoni solo a (Marilina Giaquinta, Non rompere niente, 2020).

Nessuno studio sulle origini della parola

Sull’origine della voce, non ci sono, ovviamente, studi, dal momento che, come accennato, essa non è registrata dalla lessicografia. Alajmo, pur accennando al «presunto anglicismo sbrex», dice che questa non vuol dire niente, intendendo probabilmente che si tratta di una voce inesistente. E in effetti, pur avendo la parola le caratteristiche di una parola straniera, cioè di un prestito, compulsando i vocabolari inglesi, non si trovano parole inizianti con sbr-. Stessi risultati si hanno se si cercano parole in francese o in tedesco con le stesse iniziali.

Senza avere la pretesa di avere trovato la soluzione definitiva, si può invocare per questa voce e le sue varianti un’origine ludica di ambito gergale. Una voce con cui si tenta di imitare una forma straniera, come testimonia la parte finale in -x.

D’altra parte, se sbrex è conosciuto nel Catanese e nel Palermitano, a Messina è sconosciuto e al suo posto è usato sguàin, pressoché con gli stessi significati, come in questo titolo del giornale satirico “La Gazzella del Sud” del 23 febbraio 2021: «Messina, cambia il codice della strada: Niente casco per gli zalli che hanno il taglio di capelli sguain». Anche il suono di questo aggettivo, inesistente, richiama paradigmaticamente una voce straniera, inglese in questo caso, come wine, swine, twine ecc.

PER SAPERNE DI PIU’

“La Sicilia dei cento dialetti” di Alfio Lanaia

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Cultura

Premiata la biancavillese Elena Cantarella per un saggio su Pippo Fava

Importante riconoscimento per l’artista, nota per il suo talento nella lavorazione della cartapesta

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Importante riconoscimento per l’artista biancavillese Elena Cantarella, maestra della lavorazione della cartapesta nella bottega catanese “Cartura”, fondata da Alfredo Guglielmino nel 1998.

Al Piccolo Teatro di Catania, Elena Cantarella ha ricevuto il premio storico-artistico della Fondazione Giuseppe Fava di Catania “Giovanna Berenice Mori”. Un premio intitolato alla compianta storica dell’arte e al suo appassionato lavoro di studio e ricerca dell’opera pittorica di Giuseppe Fava, giornalista ucciso dalla mafia a Catania nel 1984.

Cantarella ha vinto scrivendo un saggio dal titolo “Giuseppe Fava. Oltre il segno”. «L’arte per Fava – scrive Cantarella – è testimonianza della continuità tra la sua attività di giornalista e quella di artista, non è solo uno sfogo, ma un’ineluttabile esigenza comunicativa, espressione concreta degli aspetti più profondi della sua anima».

«Il mezzo artistico – prosegue Cantarella – realizza la sua necessità di tradurre la realtà attraverso uno strumento che rispetto alla parola possa avere un linguaggio universale, senza abbandonare la sua intimità di significato: nelle immagini, nel colore, nel segno i suoi sentimenti si mescolano con quelli degli uomini e delle donne su cui posa lo sguardo».

Ad assegnarle il premio la commissione composta dal presidente della Fondazione Fava, da un rappresentante della famiglia Fava e da due docenti dell’Accademia di belle arti di Catania.

Una lettura innovativa sull’arte di Fava

Cantarella, secondo la motivazione, ha «presentato in modo puntuale e preciso, asciutto e piano il lavoro artistico di Giuseppe Fava, coniugandolo con le principali intenzioni artistiche, antropologiche e culturali dell’autore». E ha anche intercettato «l’ironica denuncia caricaturale che Fava mette continuamente in atto» attraverso «l’introspezione, il doppio, lo studio sui volti» e promuovendo una lettura innovativa e un «valido approfondimento dell’opera faviana».

All’intermezzo musicale curato da un quartetto d’archi dell’orchestra “MusicaInsieme” di Librino è seguita la cerimonia di premiazione del concorso giornalistico Giuseppe Fava “Apri la finestra sulla tua città e raccontaci dove vedi la mafia, l’illegalità, le ingiustizie”.  Tra i vincitori di quest’ultimo concorso, una scuola del quartiere Zia Lisa di Catania, che ha realizzato una video-inchiesta molto coraggiosa, e un ragazzo di Giarre.

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