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Cultura

“Calàricci a runna a unu”, ovvero avere il broncio (da Dante ai nostri giorni)

Un’espressione in uso a Biancavilla e, altrove, con le varianti grunna, grunda, runda, gurna, urna, grunnu

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Quando vediamo una persona che si mostra sdegnosa e taciturna, denotando fastidio e malumore nei confronti di chi ritiene, a torto o a ragione, di avere ricevuto un torto, diciamo che “ha il broncio”, “mette il broncio”, “tiene il broncio”. Questa sorta di risentimento e/o di perplessità nei confronti di qualcuno si manifesta fisicamente aggrottando i sopraccigli e corrugando la fronte.

Volendo ora esprimere gli stessi atteggiamenti nel volto e gli stessi stati d’animo, a Biancavilla usiamo la parola runna (oltre a runna in Sicilia si usano le varianti grunna, grunda, runda, gurna, urna, grunnu), in espressioni come calàricci a runna, aviri a runna, fari a runna, stari ccu-ttanta di runna ecc. tutte col significato di “venirgli, avere, tenere, fare il broncio”, “imbronciarsi” e localmente “adombrarsi” e “provare invidia”. Di seguito, alcuni esempi letterari, di Domenico Tempio il primo (da L’origini di lu matrimoniu):

Stava lu patri di l’umana proli

Vicinu ad Eva dumannannu scusa

Di ddu cauci, chi ancora si nni doli,

Datucci nella parti virgugnusa;

Pri cui si misi sutta la castagna

Ccu tri parmi di grunna, e ccu la ncagna,

di Santo Rapisarda l’altro (Raccolta di proverbj siciliani ridutti in canzuni):

Ora sì siccu e sempri ccu lu grunnu

Ca ti lassau la zzita ddoppu un annu.

Dal nome deriva l’agg. runnusu / grunnusu / urnusu “imbronciato; mesto”, “musone”. Ecco un esempio letterario, ancora da Tempio (L’està):

L’Asineddu non rinova

Li soi trippi, e non si strica;

Sta grunnusu, chi non trova

Refrigeriu a la fatica.

E un proverbio, dalla raccolta del Pitrè, Cani grunnusu e cavaddu allegru, viene così chiosato dall’autore: «Il cavallo con la prontezza dei moti o con la stessa vivacità dello sguardo annunzia il vigore e la bontà che egli ha in sè; laddove il cane vivace che troppo scorrazza, male serve il cacciatore (G. Capponi)».

Da grunna deriva anche il verbo aggrunnari(si) “corrucciarsi”, usato anche transitivamente in aggrunnari la frunti e aggrunnari li ggigghja “corrugare la fronte”, “aggrottare le ciglia”.

Il demologo e letterato Salvatore Salomone-Marino (Di alcuni luoghi difficili e controversi della Divina Commedia interpretati col volgare siciliano) inserisce grunna fra le parole siciliane che trovano corrispondenza nella Divina Commedia. Il riferimento è certamente il canto XXX del Paradiso, in cui Dante scrive (vv. 88-90):

 e sì come di lei bevve la gronda

 de le palpebre mie, così mi parve

 di sua lunghezza divenuta tonda.

Nella terzina dantesca la parola gronda in realtà ha il valore di “ciglio, sopracciglio”, ma è in un poeta della corte siciliana di Re Manfredi, il genovese Percivalle Doria (1195-1264), autore di composizioni in provenzale e in ‘siciliano’, che troviamo l’uso di gronda col valore di “cipiglio”, in un passo di una canzone, ispirato forse al poeta Semprebene da Bologna (XIII sec.):

che non è donna, che sia tanto bella,

che, s’ella mostra vista e gronda fella,

che non disdica.

Il Fanfani, d’altra parte (Vocabolario dell’uso toscano), registra l’espressione far la gronda “far broncio”, “far cipiglio”, come tipica dell’uso aretino e registrata dal Redi. L’italiano antico, infine, conosce anche il derivato aggrondare “rendere la pelle grinzosa per contrazione muscolare” e aggrondarsi “farsi cupo, accigliarsi”.

L’etimo… ai margini del tetto

Quanto all’etimo, bisogna innanzitutto superare il pessimismo di Pippo Ventura che in un suo sapido libro del 2015 (Così parlò biancavillotu mio nonno, pp. 132-133), a proposito di runna, scrive: «Una parola misteriosa che non sento più in circolazione, e in questi casi mi sorge il dubbio se veramente io l’abbia usata o sentita usare nel secolo ormai passato, o non la stia inventando in questi momenti, teso come sono, a scavare nei ricordi, alla ricerca di termini che debbono suonare per lo meno strampalati agli orecchi di chi dialoga con un fantasma, lungo le vie della città, tenendosi una mano appoggiata al padiglione auricolare o via internet».

E subito dopo aggiunge: «Ma tale [cioè misteriosa] non appariva ai nonni che non si ponevano certamente problemi di natura strettamente … etimologica; si diceva e basta. Si capiva e ciò lasciava tutti tranquilli. Quando tutto era chiaro, perché chiedersi perché?».

Noi, invece, ce lo siamo chiesti “perché” e ci è sembrato lecito supporre che le nostre voci, runna e varianti, derivano dal latino tardo “grunda”, attestato nelle glosse. Si tratta un’estensione metaforica di gronda “il margine del tetto, sporgente dal muro esterno di un edificio”. I sopraccigli aggrottati e la fronte corrugata sono dunque associati a un elemento architettonico aggettante. Il lat. tardo “grunda”, che è un tecnicismo dell’architettura, continua, a sua volta, il lat. classico suggrunda “cornicione”.

PER SAPERNE DI PIU’

“La Sicilia dei cento dialetti” di Alfio Lanaia

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Cultura

Premiata la biancavillese Elena Cantarella per un saggio su Pippo Fava

Importante riconoscimento per l’artista, nota per il suo talento nella lavorazione della cartapesta

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Importante riconoscimento per l’artista biancavillese Elena Cantarella, maestra della lavorazione della cartapesta nella bottega catanese “Cartura”, fondata da Alfredo Guglielmino nel 1998.

Al Piccolo Teatro di Catania, Elena Cantarella ha ricevuto il premio storico-artistico della Fondazione Giuseppe Fava di Catania “Giovanna Berenice Mori”. Un premio intitolato alla compianta storica dell’arte e al suo appassionato lavoro di studio e ricerca dell’opera pittorica di Giuseppe Fava, giornalista ucciso dalla mafia a Catania nel 1984.

Cantarella ha vinto scrivendo un saggio dal titolo “Giuseppe Fava. Oltre il segno”. «L’arte per Fava – scrive Cantarella – è testimonianza della continuità tra la sua attività di giornalista e quella di artista, non è solo uno sfogo, ma un’ineluttabile esigenza comunicativa, espressione concreta degli aspetti più profondi della sua anima».

«Il mezzo artistico – prosegue Cantarella – realizza la sua necessità di tradurre la realtà attraverso uno strumento che rispetto alla parola possa avere un linguaggio universale, senza abbandonare la sua intimità di significato: nelle immagini, nel colore, nel segno i suoi sentimenti si mescolano con quelli degli uomini e delle donne su cui posa lo sguardo».

Ad assegnarle il premio la commissione composta dal presidente della Fondazione Fava, da un rappresentante della famiglia Fava e da due docenti dell’Accademia di belle arti di Catania.

Una lettura innovativa sull’arte di Fava

Cantarella, secondo la motivazione, ha «presentato in modo puntuale e preciso, asciutto e piano il lavoro artistico di Giuseppe Fava, coniugandolo con le principali intenzioni artistiche, antropologiche e culturali dell’autore». E ha anche intercettato «l’ironica denuncia caricaturale che Fava mette continuamente in atto» attraverso «l’introspezione, il doppio, lo studio sui volti» e promuovendo una lettura innovativa e un «valido approfondimento dell’opera faviana».

All’intermezzo musicale curato da un quartetto d’archi dell’orchestra “MusicaInsieme” di Librino è seguita la cerimonia di premiazione del concorso giornalistico Giuseppe Fava “Apri la finestra sulla tua città e raccontaci dove vedi la mafia, l’illegalità, le ingiustizie”.  Tra i vincitori di quest’ultimo concorso, una scuola del quartiere Zia Lisa di Catania, che ha realizzato una video-inchiesta molto coraggiosa, e un ragazzo di Giarre.

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