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Cultura

Di buon mattino, pronti per andare al lavoro in campagna: quando si “sbilava”

Un termine che, da una metafora presente in ambito marinaresco, approda… in quello “terrestre”

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A Biancavilla i braccianti sbìlunu, cioè vanno di buon mattino a lavorare nelle campagne, tanto che sbilari è in qualche modo sinonimo di ṭṛavagghjari: dumani è festa e nan-zi sbila “domani è festa e non si va a lavorare”. Quando si andava nelle campagne della piana di Catania per i lavori agricoli stagionali che richiedevano molto tempo (ad esempio per la mietitura), si diceva che si sbilava â chjana ppi-cchìnnici iònna. Ma anche i pastori sbilàunu, portavano, cioè, le pecore al pascolo, oppure si allontanavano dall’ovile. Questi significati di sbilari che abbiamo visto sono circoscritti a un’area della Sicilia che comprende i dialetti etnei occidentali e quelli ennesi e messinesi confinanti.

In altre località il verbo vale genericamente a) “uscire, andar fuori di casa”, ad es. per sbrigare una qualsiasi incombenza; b) “uscire di fretta, senza una meta precisa”; c) “uscire furtivamente, detto di un ragazzo”; d) “andar via di casa per sfuggire a una situazione spiacevole”. Ma può significare anche “incamminarsi rapidamente verso un certo luogo”, “partire, affrontare un viaggio più o meno lungo”, oppure “emigrare dal paese in cerca di lavoro”: sbilò ppâ Ggermània “è partito/partì per la Germania in cerca di lavoro”. Il verbo, infine, può essere riferito agli animali, alle pecore che sfilano e vanno al pascolo.

Varianti della nostra voce sono sbirari, attestato a Bronte, bbilari a Capizzi, dove ha assunto il significato di “dirigersi a velocità verso un luogo” e dove è registrato il modo di dire, probabilmente di origine scherzosa, bbilari ccû furcuni “andare a caccia col fucile”. A Naso, nel Messinese, vi è, infine, la var. svilari “incamminarsi velocemente verso un luogo”.

Fra i derivati troviamo sbilata “gita, sfilata, corsa” e bbilata, nella rase fari na bbilata “fare una passeggiata o una gita a caccia”.

La metafora della nave a vele spiegate

Le fonti lessicografiche più antiche, meno attente al mondo del lavoro, sono avare di informazioni, però ci mettono, almeno in questo caso, sulla strada giusta per comprenderne l’origine e la motivazione. Ecco cosa scrive il Pasqualino nel suo Vocabolario etimologico siciliano italiano e latino (1785-1795): «*Sbilari metaforicam. vale, fuggire con prestezza, e nascostamente, svignare. solum vertere, tolta la similitudine delle vele della nave, che corre a vele gonfie».

Analizzando, dunque, il nostro verbo, diciamo subito che si tratta di un derivato del nome vila (dal lat.vēla, pl. di vēlum «vela», passato a femm. sing. nel latino parlato) “vela della nave” col prefisso s-, come in sbampari “prendere fuoco” (da vampa “fiamma, fuoco”) sbaniḍḍari “uscire, venir fuori da un vicolo” (da vaneḍḍa “via, strada”), sbintari “mandare fuori fiato, vapori, aria e sim.” (da ventu “vento, aria”), ecc. Sul piano semantico si può osservare che si tratta di una metafora che dall’ambito marinaresco, “*uscire a vele spiegate”, approda, è il caso di dire, in quello terrestre, in generale, dove conserva il tratto della “velocità”, e in quello agricolo e pastorale, in particolare.

PER SAPERNE DI PIU’

“La Sicilia dei cento dialetti” di Alfio Lanaia

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Cultura

1° Maggio a Biancavilla, l’occupazione delle terre e quelle lotte per i diritti

Il ruolo della Sinistra e del sindacato: memorie storiche da custodire con grandissima cura

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Anche Biancavilla vanta una ricca memoria storica sul 1 maggio. Nel nostro comprensorio non sono mancate, nel secolo scorso, iniziative e manifestazioni di lotta per i diritti dei lavoratori.

Spiccano su tutte l’occupazione delle terre e la riforma agraria di cui ci parla Carmelo Bonanno nel recente libro “Biancavilla e Adrano agli albori della democrazia. La ricostruzione dei partiti, le prime elezioni e i protagonisti politici dopo la caduta del fascismo”.

Il volume, edito da Nero su Bianco, raccoglie le testimonianze di alcuni dei protagonisti della vita politica e sindacale locale del Novecento, evidenziando le numerose iniziative volte a spazzare via i residui del sistema feudale di organizzazione delle terre e ad ottenere la loro redistribuzione.

Il mezzo principale per raggiungere tale obiettivo fu l’occupazione delle terre ad opera di un folto gruppo di contadini e braccianti. Tra questi, Giovanbattista e Giosuè Zappalà, Nino Salomone, Placido Gioco, Antonino Ferro, Alfio Grasso, Vincenzo Russo. A spalleggiarli anche diversi operai. Tra loro, Carmelo Barbagallo, Vincenzo Aiello, Domenico Torrisi, Salvatore Russo. Ma anche intellettuali come Francesco Portale, Nello Iannaci e Salvatore Nicotra.

Così, ad essere presi di mira furono anzitutto i terreni del Cavaliere Cultraro in contrada Pietralunga, nel 1948. Più di 400 persone li occuparono per cinque giorni e desistettero soltanto per l’arrivo della polizia, che sgomberò le proprietà.

A questa occupazione ne seguirono altre, tutte sostenute dai partiti della Sinistra dell’epoca (Pci e Psi in testa) e dalla Camera del Lavoro, e col supporto delle cooperative agricole di sinistra.

Le parole del “compagno” Zappalà

Significativa la testimonianza, riportata nel libro di Bonanno, del “compagno” Giosuè Zappalà: «Gli insediamenti furono vissuti con grande entusiasmo e costituirono per noi protagonisti dei veri e propri giorni di festa in cui potevamo manifestare la libertà che per tanti anni ci era stata negata. Le terre, i cui proprietari erano ricchi borghesi e aristocratici, spesso si trovavano in condizioni precarie, erano difficilmente produttive e necessitavano di grandi lavori di aratura, semina e manutenzione. Noi braccianti, perciò, con grande impegno e dedizione, spinti, oltre che dalla passione per il nostro lavoro, anche e soprattutto dalle condizioni di vita misere di quei tempi, ci occupammo, fin quando ci fu concesso, dell’opera di bonifica. Erano terre che di fatto costituivano per moltissimi l’unica fonte di reddito disponibile».

Tali iniziative, innestatesi nel corso del processo di riforma agraria che portò al superamento del sistema di governo delle terre sino ad allora vigente, condussero però a risultati contraddittori, poiché alcuni contadini ottennero terre produttive mentre altri terre scadenti. Ciò acuì il clima di invidia e inimicizia tra i protagonisti di quelle lotte e condusse alla rottura definitiva della coesione e della solidarietà della categoria.

Ciò non toglie che queste iniziative e manifestazioni segnarono un passaggio molto importante nella storia politica, socio-economica e sindacale locale e posero le basi per la “conquista” del palazzo municipale nel 1956 con l’elezione di Peppino Pace, primo sindaco comunista di Biancavilla.

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