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Una bambina negli occhi: ecco perché la pupilla la chiamiamo “vavaredda”

Un termine, diffuso in Sicilia con diverse varianti , che sul piano formale deriva da “vava”

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© Collezione Stefano Finauri

Nell’ottavo libro dell’Iliade, Ettore, avendo visto che Diomede, convinto da Nestore, si era dato alla fuga, gli rinfaccia che per quel gesto i Greci lo disprezzeranno perché ai loro occhi si sarebbe comportato da donnicciola, e rincara la dose, apostrofandolo (v. 164) κακὴ γλήνη “vile pupazzo” o, nella traduzione di Paduano, “bambola sciocca”. La parola γλήνη (glēnē) significa, in primo luogo, “occhio” e “pupilla dell’occhio”, secondo un processo metaforico inverso rispetto all’altro nome greco della “pupilla”, cioè κόρη (kórē), che dal significato di “ragazza, fanciulla”, passa a quello di “pupilla”, come nel verso euripideo (Oreste, 389) in cui Menelao si rivolge a Oreste: δεινὸν δὲ λεύσσεις ὀμμάτων, ξηραῖς κόραις (deinòn dè leússeis ommátōn, xēraîs kórais) “terribile è il tuo sguardo, aride hai le pupille” (κόραις). Dal greco kórē è stato tratto il confisso moderno (o prefissoide) core-, usato per formare parole composte della terminologia medica, come corectopia “anormale posizione eccentrica del foro pupillare” o corelisi “distacco chirurgico delle aderenze patologiche tra iride e cristallino”. In alcuni termini assume la forma coreo-, ad esempio coreoplastica “ricostruzione chirurgica della pupilla”.

Anche nel latino classico il processo metaforico va da “bambina”, “bambola” a “pupilla”. In latino, infatti, la “pupilla” veniva chiamata pupŭla oppure pupilla, alla lettera “bambina, fanciulla”, entrambi diminutivi di pupa “bambina”, “giovinetta” e “bambola”.

Se l’italiano non conosce altro nome che pupilla per indicare “l’orifizio circolare situato al centro dell’iride”, i dialetti italiani offrono, invece, decine di tipi lessicali. Rinviando, per chi volesse approfondire, agli studi di Carlo Tagliavini (Di alcune denominazioni della “pupilla”) e di Rita Caprini e Rosa Ronzitti (Studio iconomastico dei nomi della “pupilla” nelle lingue indoeuropee e nei dialetti romanzi), mi limiterò a indicare alcuni nomi siciliani, partendo da quello conosciuto a Biancavilla, vavareḍḍa.

Si tratta del nome più diffuso in Sicilia con diverse varianti (varvareḍḍa, vavaièḍḍa, caraveḍḍa, il maschile vavareḍḍu ecc.): sul piano formale è un derivato di vava, col significato di “bambina” e poi di “pupilla”, di origine affettiva (fonosimbolica). Da vava derivano anche vaveḍḍa e vavina, sempre “pupilla”. Come termine di paragone troviamo questo nome nel modo di dire vuliri bbeni quantu a vavareḍḍê l’occhji “volere bene come la cosa più preziosa” oppure vuliri cchjù beni dâ vavareḍḍê l’occhji.

La motivazione che si dà per spiegare questi nomi è «per la piccola immagine che vi si vede riflessa». Come scrive, infatti, Innocenzio Fulci (Lezioni filologiche della lingua siciliana, 1855): «la vava = un bambino simile, originata da va pianto bambinesco, donde vagire, e poscia si adattò alla bambola e vavaredda = pupilla, perché nel guardare l’interno dell’altrui occhio vi si scorge una effigie». A questa motivazione “razionale” va aggiunto, come dice Caprini, che questi vezzeggiativi sono spesso dati ad animaletti ritenuti portatori di poteri magici, come la coccinella. «Il potere fascinatorio, quindi pericoloso, dello sguardo è cosa notissima: vien dunque da chiedersi se il prevalere di forme morfologicamente femminili per la pupilla non sia da attribuire a una remota motivazione magico-religiosa». Ad avvalorare questa ipotesi contribuiscono due denominazioni della pupilla: la prima è papuzza a Capo d’Orlando, che è anche e soprattutto uno dei nomi della coccinella; l’altra è santuzza, diminutivo di santa a Cerami.

Con la stessa motivazione troviamo altri nomi di origine fonosimbolica, come ninna a Pantelleria, tipo molto diffuso in Puglia, e nannaredda a Castel di Lucio, nel Messinese, simile alla ninnarella di Monte Romano, nel Viterbese.

Oltre ai nomi che designano propriamente la bambina, per indicare la pupilla troviamo il tipo “fidanzatina” nelle varianti zzìtula a Malfa, nelle Eolie, e zzituzza a Frazzanò, ma non manca la signuredda di Galati Mamertino, simile al tipo “signorina”, nel Salernitano.

Quello che ha tutta l’aria di essere un prestito è prunedda, di area messinese ed ennese, ma documentato anche in Calabria. Si tratta, infatti, del tipo galloromanzo prunelle “piccola prugna”. Se è possibile pensare che queste denominazioni alludano al colore scuro della pupilla, è certo invece per quelle di area agrigentina, nìuru e del pantesco nìviru di l’òcciu. Per alludere, infine, al colore scuro e al tempo testo brillante della pupilla, troviamo pirneḍḍa “perla nera”, conservatoci dalla lessicografia e da una raccolta poetica del Seicento, nota come Muse Siciliane:

A la pirnedda mia vògghiu prigari,

Chi quandu dintra li vostri occhi veni,

 Segretamenti vi vògghia avisari

Ch”ìu moru…

[lett. “La pupilla mia voglio pregare, / Che quando dentro i vostri occhi viene, / Segretamente vi voglia avvisare / Che io muoio…].

PER SAPERNE DI PIU’

“La Sicilia dei cento dialetti” di Alfio Lanaia

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Cultura

1° Maggio a Biancavilla, l’occupazione delle terre e quelle lotte per i diritti

Il ruolo della Sinistra e del sindacato: memorie storiche da custodire con grandissima cura

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Anche Biancavilla vanta una ricca memoria storica sul 1 maggio. Nel nostro comprensorio non sono mancate, nel secolo scorso, iniziative e manifestazioni di lotta per i diritti dei lavoratori.

Spiccano su tutte l’occupazione delle terre e la riforma agraria di cui ci parla Carmelo Bonanno nel recente libro “Biancavilla e Adrano agli albori della democrazia. La ricostruzione dei partiti, le prime elezioni e i protagonisti politici dopo la caduta del fascismo”.

Il volume, edito da Nero su Bianco, raccoglie le testimonianze di alcuni dei protagonisti della vita politica e sindacale locale del Novecento, evidenziando le numerose iniziative volte a spazzare via i residui del sistema feudale di organizzazione delle terre e ad ottenere la loro redistribuzione.

Il mezzo principale per raggiungere tale obiettivo fu l’occupazione delle terre ad opera di un folto gruppo di contadini e braccianti. Tra questi, Giovanbattista e Giosuè Zappalà, Nino Salomone, Placido Gioco, Antonino Ferro, Alfio Grasso, Vincenzo Russo. A spalleggiarli anche diversi operai. Tra loro, Carmelo Barbagallo, Vincenzo Aiello, Domenico Torrisi, Salvatore Russo. Ma anche intellettuali come Francesco Portale, Nello Iannaci e Salvatore Nicotra.

Così, ad essere presi di mira furono anzitutto i terreni del Cavaliere Cultraro in contrada Pietralunga, nel 1948. Più di 400 persone li occuparono per cinque giorni e desistettero soltanto per l’arrivo della polizia, che sgomberò le proprietà.

A questa occupazione ne seguirono altre, tutte sostenute dai partiti della Sinistra dell’epoca (Pci e Psi in testa) e dalla Camera del Lavoro, e col supporto delle cooperative agricole di sinistra.

Le parole del “compagno” Zappalà

Significativa la testimonianza, riportata nel libro di Bonanno, del “compagno” Giosuè Zappalà: «Gli insediamenti furono vissuti con grande entusiasmo e costituirono per noi protagonisti dei veri e propri giorni di festa in cui potevamo manifestare la libertà che per tanti anni ci era stata negata. Le terre, i cui proprietari erano ricchi borghesi e aristocratici, spesso si trovavano in condizioni precarie, erano difficilmente produttive e necessitavano di grandi lavori di aratura, semina e manutenzione. Noi braccianti, perciò, con grande impegno e dedizione, spinti, oltre che dalla passione per il nostro lavoro, anche e soprattutto dalle condizioni di vita misere di quei tempi, ci occupammo, fin quando ci fu concesso, dell’opera di bonifica. Erano terre che di fatto costituivano per moltissimi l’unica fonte di reddito disponibile».

Tali iniziative, innestatesi nel corso del processo di riforma agraria che portò al superamento del sistema di governo delle terre sino ad allora vigente, condussero però a risultati contraddittori, poiché alcuni contadini ottennero terre produttive mentre altri terre scadenti. Ciò acuì il clima di invidia e inimicizia tra i protagonisti di quelle lotte e condusse alla rottura definitiva della coesione e della solidarietà della categoria.

Ciò non toglie che queste iniziative e manifestazioni segnarono un passaggio molto importante nella storia politica, socio-economica e sindacale locale e posero le basi per la “conquista” del palazzo municipale nel 1956 con l’elezione di Peppino Pace, primo sindaco comunista di Biancavilla.

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