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“Ma vie”, il sogno in musica e a ritmo di jazz realizzato da Carmen Toscano

Pubblicato l’album dell’artista biancavillese: «Un’esperienza straordinaria che appaga ogni mia sensibilità»

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È su tutte le piattaforme digitali Ma vie, il brano che dà il titolo all’album, che comprende la cover As time goes by e undici composizioni (in italiano, francese e inglese) della biancavillese Carmen Toscano. C’è un filo conduttore, quello della libertà, affrontato in particolare nel testo You don’t love: «Tu non mi vuoi bene ché dietro il grido di dolore di un uccellino in gabbia, che seppur dorata desidera poter volare in alto nel cielo, si nasconde la più grande aspirazione dell’uomo: la libertà…».

Il tema della composizione d’apertura, Ma vie, nasce invece «dalle considerazioni e dalle riflessioni riguardanti gli eventi salienti della mia vita, che ho fatto – spiega la compositrice – mentre camminavo un pomeriggio, che mi ricordo piovoso e con un venticello che mi scompigliava i capelli».

Ad accompagnarla in questa avventura artistica, alcuni tra i migliori musicisti jazz del comprensorio etneo. L’arrangiamento dei brani è curata dal pianista Mario Pappalardo.

«Ho realizzato un sogno che ho tenuto nel cassetto per parecchi anni. Ho incominciato a lavorarci – racconta Carmen Toscano a Biancavilla Oggi – circa 10 anni fa scrivendo i testi e un difficile lavoro di adattamento alle musiche che man mano pensavo per esse. Quando ho ritenuto che tutto fosse pronto non ho resistito un istante a realizzarlo con l’aiuto di un arrangiatore straordinario come Mario Pappalardo e di eccellenti musicisti nella sala di registrazione Lam di Gravina di Catania. Il risultato mi soddisfa molto e, a prescindere dagli esiti, è stata un’esperienza straordinaria che appaga ogni mia sensibilità artistica».

Tra musica, teatro e letteratura

Carmen Toscano, già docente di lingue straniere al liceo classico “Tonolli” di Verbania-Pallanza e poi alla scuola media “Luigi Sturzo” di Biancavilla, coltiva la sua passione per la musica sin da bambina e, dopo gli studi musicali da autodidatta, inizia a cantare saltuariamente in un club di Domodossola frequentato da Paolo Conte con un’orchestra romagnola della famiglia Casadei. 

Rientrata a Biancavilla, si unisce alla Jazz Band “The Evergreen”. Dieci anni più tardi, dopo lo scioglimento del gruppo, fonda il sodalizio artistico chitarra, basso e voce “Duo Kouros” nel cui repertorio primeggia la Bossa Nova, con le composizioni di Antonio Carlos Jobim, tra cui predilige Meditaςao e Falando de amor.

Dopo aver aderito all’associazione musicale Euro Jazz Club, partecipa alla sua rifondazione sotto la nuova denominazione Etna Jazz Club, di cui è presidente e direttore artistico.

Canta anche nella corale polifonica di Belpasso Canticum Vitae diretta dal maestro Salvatore Signorello, partecipando come componente del coro cantante e recitante all’opera teatrale La Lupa al teatro Martoglio. Col pianista Gino Castro e il sassofonista Agatino Cacciato costituisce il trio “The Swing’s Lovers”. Tra le sue opere vi sono anche pubblicazioni letterarie di vario genere.

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Ficurìnnia nustrali, trunzara o bastarduna ma sempre da “scuzzulari”

Dalle varietà del succoso frutto alle varianti dialettali, tra tipi lessicali e significati metaforici

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Se c’è una pianta che contrassegna fisicamente il paesaggio della Sicilia e la simboleggia culturalmente, questa è il fico d’India o, nella forma graficamente unita, ficodindia (Opuntia ficus-indica). Pur trattandosi infatti di una pianta esotica, originaria, come sappiamo, dell’America centrale e meridionale, essa si è adattata e diffusa capillarmente in tutto il territorio e i suoi frutti raggiungono le tavole di tutti gli italiani e non solo. A Biancavilla, la pianta e il frutto si chiamano ficurìnnia, ma in Sicilia si usano molte varianti, dalla più diffusa ficudìnnia a quelle locali, come ficadìnnia, ficalinna, ficarigna, fucurìnnia, ficutìnnia, cufulìnia ecc. Atri tipi lessicali sono ficupala, ficumora, mulineḍḍu.

Esistono inoltre specie non addomesticate, come l’Opuntia amyclaea, con spine molto pronunciate, sia nei cladodi sia nei frutti, poco commestibili, e usate principalmente come siepi a difesa dei fondi rustici. In Sicilia, questa si può chiamare, secondo le località, ficudìnnia sarvàggia, ficudìnnia spinusa, ficudìnnia di sipala, ficudìnnia masculina, ficudìnnia tincirrussu. Per distinguerla dalla specie ‘selvatica’, quella addomesticata è in Sicilia la ficurìnnia manza, di cui esistono varietà a frutto giallo (ficurìnnia surfarina o surfarigna), varietà a frutto bianco (ficurìnnia ianca, muscareḍḍa o sciannarina [< (li)sciannarina lett. “alessandrina”]), varietà a frutto rosso (ficurìnnia rrussa o sagnigna), varietà senza semi (ficudìnnia senza arìḍḍari, nel Palermitano). I frutti pieni di semi si dicono piriḍḍari, quelli eccessivamente maturi mpuḍḍicinati o mpuḍḍiciniḍḍati, quelli primaticci o tardivi di infima qualità sono i ficurìnnia mussuti (altrove culi rrussi).

In una commedia di Martoglio (Capitan Seniu), il protagonista, Seniu, rivolto a Rachela, dice:

Almenu ti stassi muta, chiappa di ficudinnia mussuta, almenu ti stassi muta! … Hai ‘u curaggiu di parrari tu, ca facisti spavintari ‘dda picciridda, dícennucci ca persi l’onuri?

Come è noto il frutto del ficodindia matura nel mese di agosto, ma questi frutti, chiamati (ficurìnnia) nuṣṭṛali a Biancavilla, anche se di buona qualità, fra cui sono da annoverare i fichidindia ṭṛunzari o ṭṛunzara, in genere bianche, che si distinguono per la compattezza del frutto, non sono certo i migliori. Quelli di qualità superiore, per resistenza e sapidità, sono i bbastardoli, o, altrove, bbastarduna. Questi maturano tardivamente (a partire dalla seconda metà di ottobre) per effetto di una seconda fioritura, provocata asportando la prima, attraverso lo scoccolamento o scoccolatura, una pratica agricola che consiste nell’eliminazione, nel mese di maggio, delle bacche fiorite della pianta, che verranno sostituite da altre in una seconda fioritura. A Biancavilla e in altre parti della Sicilia si dice scuzzulari i ficurìnnia.

Per inciso, scuzzulari significa, da una parte, “togliere la crosta, scrostare”, dall’altra, “staccare i frutti dal ramo”. Dal primo significato deriva quello metaforico e ironico di “strapazzarsi”, in riferimento a persona leziosamente ed eccessivamente delicata, come nelle frasi staccura ca ti scòzzuli!, quantu isàu m-panareḍḍu, si scuzzulàu tuttu, u figghju! Così “di chi ha fatto una cosa trascurabile e pretende di aver fatto molto e di essersi perfino affaticato”. Inoltre, èssiri nam-mi tuccati ca mi scòzzulu si dice “di una persona assai gracile” oppure “di una persona molto suscettibile e permalosa”. Il verbo, infine, deriva da còzzula “crosta”, dal latino COCHLEA “chiocciola”.

Ritornando ai fichidindia, sono ovviamente noti gli usi culinari, la mostarda, il “vino cotto”, quelli dei cladodi, le pale, nella cosmesi o ancora nell’artigianato per realizzare borse di pelle vegan, ma essi, o meglio alcuni loro sottoprodotti, sono stati anche, in certi periodi, simboli di povertà. Quando, infatti, si faceva la mostarda, i semi di scarto venivano riutilizzati, ammassati in panetti e conservati. Si trattava di un prodotto povero di valori nutrizionali e dal sapore non certo gradevole come la mostarda. Si chiamava ficurìnnia sicca, locuzione divenuta proverbiale a volere indicare non solo un cibo scadente ma perfino la mancanza di cibo. Cchi cc’è oggi di manciàri?Ficurìnnia sicca! Cioè “niente!”

PER SAPERNE DI PIU’

“La Sicilia dei cento dialetti” di Alfio Lanaia

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