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Panchine rosse per lavarci la coscienza, ma a Biancavilla ci sono vittime silenti

Se la donna è considerata “puttana”: al di là della retorica della giornata, restano radicate omertà e indifferenza

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© Foto Biancavilla Oggi

La “fatidica” giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Perché fatidica? Perché ogni 25 novembre, come ogni 8 marzo, come ogni festa della mamma, le donne vengono santificate, onorate, rispettate, ricordate se morte. E poi? E poi tutto torna alla normalità. Quella normalità fatta da commenti volgari e arcaici gridati per strada, da quella paura a camminare di sera da sole, sobbalzando se dietro di noi c’è qualcuno, da quegli stereotipi che portano a pensare (e a dire) che la donna, di dritto o di storto, è sempre puttana.

Lo si dice di una professionista scomoda: “Quella è una puttana”. Utilizzato come sinonimo di stronza, lo si dice dell’amica single della moglie santa: “Non frequentarla, è una puttana”. Lo si dice della vicina di casa fastidiosa: “Il cane di quella puttana abbaia”. Lo si dice di una politica: “Quella è una puttana, per questo è stata eletta”. E lo si urla dalla macchina: “Puttana! Non vedi che è rosso?”.  

Insomma, lo si dice e come se lo dice. Ma il 25 novembre, no! Il 25 novembre si sta tutti intorno alle panchine rosse a lavarsi la coscienza perché se la coscienza è pulita siamo tutti più contenti e ci sentiamo a posto fino all’8 marzo.

E a Biancavilla? Inutile dire cose trite e ritrite relative all’omertà, all’indifferenza, alla colpevolizzazione delle vittime. “Quella se l’è cercata”, “Suo marito la picchia? Eh ma lei gli ha messo le corna”. Lei lo ha denunciato? “Chissà come sono andati veramente i fatti, lui è una brava persona”. “Rimani con tuo marito, se no la gente cosa pensa”, “Ci parlo io, tranquilla, non ti picchierà più”. Sono state diffuse delle foto di una donna? “La colpa è sua perché è una puttana perché solo una puttana si scatta fotografie spogliata”.

A Biancavilla, come altrove, la donna è sempre puttana. L’uomo, invece, non è mai “puttano”. L’uomo è ganzo, macho, “spertu”, “spacchiusu”, “fimminaru”… Ci tengo a precisarlo: le donne non sono esenti da commenti del genere. Anche le donne usano appellare le altre donne come puttane. Che sia chiaro.

Ciò che mi rattrista è che a Biancavilla ci siano vittime silenti. Vittime ingabbiate nella mentalità del “devi rimanere con tuo marito”, vittime che sono vive ma che, in realtà, sono morte dentro. Vittime che sono fortunate se non subiscono violenza fisica ma che vengono massacrate “solo” psicologicamente. Mogli e compagne di uomini narcisisti, sadici, manipolatori che hanno provato a sganciarsene ma che, poi, non ce l’hanno fatta. E non ce l’hanno fatta perché quello che vive la vittima di un manipolatore lo capisce solo la vittima del manipolatore.

Quella palla di ansia che si fa sentire fortissima quando il manipolatore mente, quando mistifica, quando imbroglia, quando una cosa bianca la fa sembrare nera, solo chi l’ha vissuta la capisce. Quella disperazione di sentire il manipolatore negare l’evidenza, anche quando l’evidenza è schiacciante, solo chi l’ha vissuta la capisce. Quella stanchezza, quello svuotamento che la vittima della manipolazione sente dopo anni di battaglie perse per assecondare che il compagno violento cambi, solo chi li ha vissuti li capisce.  

Facciamo un patto?

A Biancavilla ce ne sono di donne che dopo uno slancio verso la liberazione, sono tornate indietro perché ciò che c’è dietro è ciò che è conosciuto mentre andare avanti significa andare verso qualcosa di troppo grande e troppo bello da ritenerlo impossibile. Donne rassegnate alla dipendenza, al silenzio, alla apparenza. Donne rassegnate al nulla.

Ogni tanto fanno capolino nelle mie chat e accennano una richiesta di aiuto, ma poi spariscono perché impaurite, perché plagiate, perché “plasmate”, come di recente ho sentito dire ad una specie di energumeno biancavillese: “Io l’ho plasmata, l’ho creata, lei era una paesana, io l’ho fatta studiare”. Che affarone, verrebbe da dire.

Il mio pensiero va a queste donne e ai loro figli. Facciamo un patto? Oggi tutti intorno alle panchine rosse per lavarci la coscienza, ma da domani facciamo qualcosa di vero, di reale, di concreto. Facciamo qualcosa che abbia un significato per i nostri figli. Impegniamoci tutti a dire “un puttana” in meno.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Detto tra blog

Il centro anti-violenza Calypso e quei politicanti che volevano “sporcarlo”

Oggi tanti eventi ipocriti ma io sarò in Tribunale per una donna di Biancavilla, vittima di maltrattamenti

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Nel 2012, unitamente a due psicologhe di Catania fondavo l’Associazione Antiviolenza e Antistalking Calypso, la cui sede era ed è a Biancavilla. Ricordo che Sonya, Laura (questi i nomi delle due psicologhe) ed io eravamo spinte da forte motivazione, spirito di solidarietà e di aiuto a donne e bambini, vittime di violenza di genere. Ricordo l’inaugurazione dell’associazione, a Villa delle Favare, nel marzo del 2013. Ricordo l’attenzione che Calypso ha ingenerato nei politicanti di tutti gli schieramenti. Era di certo un bel bocconcino da strumentalizzare a proprio uso e consumo, ma avevano fatto i conti senza l’oste.

Eh sì, perché l’oste, cioè io, non ha mai consentito alcuna strumentalizzazione e non si è mai piegata ai vari avvicinamenti e alle tante promesse che le venivano dispensate con il solo fine di recuperare qualche voto all’interno dell’associazione. Che delusione, però, quando hanno capito che la maggior parte delle associate non era residente a Biancavilla e che quindi non aveva alcun significato politico alle elezioni locali. Che delusione quando hanno capito che l’associazione era autentica e per nulla interessata ai favori dei politici, ops, politicanti.

Noi volevamo solo una sede idonea ad accogliere le donne vittime di violenza. Non volevamo soldi, non volevamo incarichi. Nulla, se non mettere in campo la nostra professionalità per aiutare le donne vittime di quella violenza e di quel maschilismo che, vuoi o non vuoi, imperano e che in alcune forme sono così sottili, tanto da non essere riconosciuti e che, purtroppo, provengono anche dalle donne.

Cominciamo dalla lingua italiana

Questa è la verità e io la dico. Quelle donne, per esempio, a cui va bene che la cameriera sia chiamata cameriera, idem la segretaria, idem l’infermiera. Ma si rifiutano di essere chiamate avvocata, sindaca, assessora, la presidente e così via. Ciò in barba all’Accademia della Crusca e all’utilizzo della lingua italiana in forma corretta. E la motivazione a sostegno di tale rifiuto qual è? “Avvocata, magistrata, architetta…. non si può sentire”. Invece cameriera si può sentire. Se non è discriminazione questa (nei confronti delle cameriere e di tutte le donne), non so cos’altro lo sia.

Ho sempre pensato che la competizione tra donne e la mancanza di solidarietà di cui veniamo accusate sia frutto della mentalità maschilista e patriarcale da cui tutti (uomini e donne) siamo imbevuti sin da bambini. Ma più vedo e sento donne che si ribellano all’utilizzo corretto della lingua italiana, espressione di una giusta evoluzione non solo della lingua ma anche e soprattutto della società e della mentalità, e più faccio fatica a comprendere dove stia l’inghippo. Sulla mia carta di identità c’è scritto “avvocata”. Io l’ho chiesto, seppur abbia raccolto l’iniziale perplessità di alcuni dipendenti dell’Ufficio Anagrafe del Comune di Biancavilla, anche donne, ovviamente.

I “compitini” di Biancavilla e il calendario del perbenismo

D’altro canto, a Biancavilla come in tanti altri comuni (tutti?), i “compitini” sono corretti. Quote rosa rispettate, perché imposte dalla legge, altrimenti con il cavolo. Anche perché si sono resi conti che “questa cosa” delle quote rosa e del doppio voto uomo/donna è un ottimo strumento per duplicare i propri voti (degli uomini, ovviamente). E poi: assessore (plurale di assessora) alle Pari opportunità, rigorosamente donne perché le pari opportunità sono affari che riguardano solo le donne. E ancora: panchine rosse, scarpette rosse, scolaresche riunite in piazza il 25 novembre e l’8 marzo, alla presenza per lo più di donne.

A mia memoria, ai vari eventi imposti dal calendario del perbenismo, salvo qualche eccezione, i sindaci e gli assessori (uomini) non hanno mai partecipato. O in alcuni casi hanno fatto brevi apparizioni perché impegnati in affari ben più importanti rispetto ad iniziative ritenute forse affarucci da femminucce. D’altro canto, gli uomini si occupano di cose serie, mica di panchine e scolaresche.

Calypso, realtà preziosa e onesta

Comprendo che sarebbe più popolare scrivere che tutto vada bene e che sono tutti belli e bravi. Io, però, sono ormai disillusa dal paese in cui pensavo di investire professionalmente e umanamente. E donare ad esso il mio entusiasmo e i miei valori di uguaglianza, parità e solidarietà verso il prossimo. Mi sono enormemente rotta le scatole, perché allinearmi non è nel mio “mood”, come direbbero i ragazzi di oggi.

Tutto ciò non solo a Biancavilla, ma Biancavilla è certamente colpevole di non avere accolto una realtà preziosa, onesta e autentica quale è Calypso. Perché? Perché la sua presidente (la presidente e non il presidente) che sono io, ha notoriamente la lingua troppo lunga.

Indimenticabile quando nel 2013 una persona vicina all’attuale sindaco (all’epoca non ancora sindaco e che, peraltro, io sostenevo, sbagliando) mi disse che ero troppo scomoda e che «non avrei fatto strada in politica». In effetti, così è stato perché sono fuggita a gambe levate. Altrettanto indimenticabile quando un sindaco ricandidato di un colore diverso di quello sopra nominato si è permesso di strumentalizzare il mio nome e indirettamente quello della mia associazione durante un comizio. Mi costrinse a prendere parola e a dire che nel capodanno precedente, quando una ragazza di Biancavilla era stata sequestrata dal suo convivente, io ero in piena operatività insieme alla famiglia e ai carabinieri, mentre lui era a casa a mangiare le lenticchie.

Certa politica sporca tutto

Ma si sa, certa politica sporca tutto. Calypso, però, non l’ho fatta sporcare. Meglio rimanere una piccola realtà autogestita e autofinanziata che impelagarsi con schifezze varie. Tante belle parole ma nulla di concreto a Biancavilla. Città che, essendo in buona compagnia, probabilmente si autoassolve dalle responsabilità che incombono sulla sua testa e su quella dei suoi capoccioni.

Oggi, 25 novembre, io non parteciperò ad alcun evento, così come ormai faccio da anni. Sarò in Tribunale a discutere il processo di una donna di Biancavilla. Una donna che, se non avesse trovato il sostegno dei figli e del genero e, senza volere fare autoreferenzialità, della sottoscritta, forse sarebbe stata uccisa.

Gli altri, anzi, le altre, le cosiddette assessore (plurale di assessora) che si firmano “assessore” (al singolare), perché non hanno la consapevolezza che, in questo caso, la forma è sostanza o se ne hanno la consapevolezza non hanno il coraggio di sostenere il cambiamento, si lavino le coscienze con le panchine rosse e con le scarpette rosse e con le cazzate demagogiche da cui i nostri ragazzi vengono riempiti da adulti ciechi rispetto alle responsabilità di una società sempre più violenta (basti bazzicare i social).

Panchine e scarpette rosse come il sangue delle donne uccise per mano degli uomini violenti e per mano di una società fatta di uomini e donne complici. Rosse come la carne dei bambini vittime di violenza diretta e assistita, compresa quella delle false denunce, fenomeno dilagante e sempre più preoccupante che vede vittime uomini e bambini.

Femminismo non è fanatismo

Per onestà intellettuale si deve dire anche questo e si deve parlare anche di questo perché strumentalizzare le denunce, anche coinvolgendo i bambini, per scopi vendicativi ed economici null’altro è che violenza. Ed è un oltraggio nei confronti delle donne che davvero sono vittime di violenza, oltre a costituire un oneroso dispendio economico per lo Stato.

Ringrazio Biancavilla Oggi e il suo femminismo che dà speranza a un paese cieco e muto. Cecità e mutismo che, è utile ribadirlo sempre, ho provato sulla mia pelle quando ho subito la violenta rapina in pieno centro e in pieno giorno, nota a tutti, evento rispetto al quale, a parte questo giornale e il suo direttore Vittorio Fiorenza, tanti, tanti, tanti, ma davvero tanti, mi mostrano solidarietà e complicità dietro il sipario, perché farlo sul palcoscenico… “chi me lo fa fare?”.

Eh va beh… se lo specchio non si rompe quando vi guardate la mattina evidentemente è ipocrita e pusillanime quanto voi. A proposito, femminismo non è sinonimo di fanatismo e non è neanche sinonimo di odio nei confronti degli uomini ma magari ne parleremo un’altra volta. Buon 25 novembre, buona lavata di coscienza a tutti.

*Presidente del cento Calypso – Biancavilla

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