Cultura
Carmelo Bonanno: «Biancavilla e quel 2 giugno 1946, il ritorno alla democrazia»
L’autore di Nero su Bianco Edizioni:: «I valori dell’antifascismo e della libertà vanno difesi ogni giorno»
La caduta del fascismo, la fine della guerra, le macerie materiali e morali. Un paese da ricostruire. Biancavilla vive gli eventi con una partecipazione corale per ricostituire i partiti e svolgere le prime consultazioni elettorali, dopo la dittatura ventennale di Benito Mussolini. Carmelo Bonanno racconta gli eventi dell’immediato dopoguerra nel volume “Biancavilla e Adrano agli albori della democrazia”, pubblicato da Nero su Bianco Edizioni. Una ricerca ricca di testimonianze, che in quel 2 giugno 1946 vede la data cruciale per costruire un futuro carico di speranza, nel segno della libertà e del progresso.
Bonanno, quello è un giorno che ci restituisce la democrazia. Biancavilla come arrivò alle prime elezioni e al referendum del ‘46?
Biancavilla, a differenza dei comuni limitrofi, non conobbe la devastazione del suo territorio perché non subì i pesanti bombardamenti alleati di fine seconda guerra mondiale. Secondo i democristiani dell’epoca il merito fu di padre Antonino Arcidiacono e di altri due suoi amici carissimi che andarono a Piano Rinazze, dove erano stanziati gli Alleati, e mediarono con loro affinché Biancavilla fosse risparmiata. Secondo i comunisti del tempo, invece, furono i tedeschi che, notata la forte opposizione di Biancavilla, preferirono abbandonarla per evitare di rallentare la fuga dalle truppe alleate. Non sappiamo quale delle due versioni corrisponda a verità, magari in entrambe c’è del vero. Resta il fatto che Biancavilla arriva all’appuntamento elettorale in un quadro di maggiore “stabilità”.
Oggi ricorre anche l’anniversario del referendum istituzionale nel quale gli italiani si espressero a favore della Repubblica come forma di governo, anche se a Biancavilla – come in tutto il Mezzogiorno – la maggioranza scelse la Monarchia…
Sì, ma è anche vero che il risultato repubblicano a Biancavilla fu notevole perché la media siciliana di voti per la Repubblica era del 35% mentre a Biancavilla ottenne quasi il 49%.
Alle Amministrative dell’aprile 1946, a Biancavilla, la Democrazia Cristiana dominò conquistando 24 seggi su 30 in Consiglio Comunale ed eleggendo il farmacista Salvatore Uccellatore come sindaco, confermando poi il netto vantaggio sugli altri partiti anche alle elezioni dell’Assemblea Costituente del 2 giugno successivo. Biancavilla era (ed è) democristiana?
Sì, certo, Eccezion fatta per la parentesi comunista di Peppino Pace, la Dc seppe sempre rigenerarsi e governare, di fatto fino alla fine della cosiddetta Prima Repubblica.
Oltre a padre Arcidiacono e a Salvatore Uccellatore quali furono le altre personalità di spicco della Dc locale in quegli anni iniziali dell’Italia repubblicana?
Ebbero un ruolo importante Filippo Leocata, medico, e Alfio Minissale, ingegnere, impegnato nella formazione della classe dirigente giovanile dello Scudocrociato.
Che ruolo ebbero il clero e la Chiesa nel successo democristiano?
Un ruolo fondamentale. Esercitato anche attraverso la costituzione di iniziative associative quali quelle dell’Azione Cattolica, degli Uomini Cattolici e delle Donne Cattoliche. E di un comitato in cui ebbero un ruolo di prim’ordine padre Giosuè Calaciura e Salvatore Uccellatore, prodigatisi per venire incontro ai bisogni dei biancavillesi.
E le donne, appunto, che per la prima volta ebbero diritto di voto?
Le donne giocarono un ruolo importante già durante il periodo della guerra: diedero sostegno economico e sociale, anche tramite la Chiesa, ai bisognosi e alle vedove di guerra. La loro azione politica fu funzionale alle loro opere di carità e assistenza, poi ricambiate in voti per la Democrazia Cristiana. Fornirono spesso un contributo decisivo, convincendo le donne a votare Dc in contrapposizione al Pci.
La sinistra biancavillese, “minoritaria” ma comunque con un consenso significativo, percorse una strada ben più accidentata. Perché?
Perché, tra le altre cose, ci fu una “scissione” tra la corrente dibenedettiana e il resto del partito. E i comunisti, scomunicati, subirono una notevole pressione “interna” ed “esterna”. Lo stesso Di Benedetto, di professione riparatore e noleggiatore di biciclette e allora segretario della Camera del lavoro locale, fu accusato – secondo le testimonianze dell’epoca – di aver rubato parte degli pneumatici inviati dal sindacato provinciale. Pneumatici all’epoca utilizzati non solo per le bici ma anche e soprattutto per creare le suole delle scarpe. Da lì capì che era stato preso di mira e che fosse un capro espiatorio e si allontanò dal partito, che di fatto si “riunificò”.
La lotta di classe nel nostro territorio portò anche all’occupazione delle terre. Che risultati ottenne?
Contraddittori. Perché, a seguito dell’assegnazione seguita alla riforma agraria, alcuni ricevettero terre proficue e redditizie. Altri, terre aride e cretose.
Una Biancavilla a maggioranza democristiana ma geograficamente divisa tra il centro “biancofiore” e la periferia comunista. Guidata da personalità carismatiche. Persino con un primato: prima città italiana a rivoltarsi contro i fascisti nella sommossa del 23 dicembre 1923. Una memoria sconosciuta ai più, che oggi ignorano le radici storiche della ricostruzione democratica locale. Che lezione dovremmo trarne a quasi un secolo di distanza?
Non dobbiamo dimenticare da dove proveniamo. Dobbiamo conoscere il nostro passato. Siamo figli della nostra storia. E la storia ci insegna che ci sono dei valori condivisi – l’antifascismo, la libertà, la democrazia – che noi oggi diamo per scontati ma che non lo sono affatto. E la storia serve a ricordarci che queste conquiste vanno difese ogni giorno.
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Cultura
Memorie della famiglia Piccione: uno squarcio nella storia di Biancavilla
Nel libro di Giosuè Salomone una ricostruzione accurata con aneddoti e una ricca documentazione
Le pagine iniziano con la trascrizione dell’audio della voce di nonna Concettina, classe 1877, che, ignara di essere registrata, narra episodi riguardanti i suoi stessi nonni e quindi arrivando a fatti risalenti al XVIII secolo. Prende il via così un viaggio che, attraverso le storie e mediante la puntuale ricostruzione narrativa di luoghi e situazioni riportate da Giosuè Salomone, con la precisione di un matematico e con la passione di chi si sente parte viva e attiva di ciò che scrive, ci fa scoprire e riscoprire la storia del nostro paese, ci fa rivivere la realtà della nostra comunità fin quasi alle origini stesse, facendo parlare i documenti.
Il suo ultimo lavoro di ricerca è intitolato “Per sé e per la delizia degli amici, la famiglia Piccione di Biancavilla” (Giuseppe Maimone Editore, 180 pagg.).
Il capostipite Thomas Piccione si stabilisce a Biancavilla tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento, probabilmente inviato dai Moncada, signori della contea di Adernò, di cui Biancavilla faceva parte. Nei decenni successivi i discendenti, che come il padre, probabilmente svolgevano il mestiere delle armi al servizio del loro signore, assumono un ruolo fondamentale nella società paesana.
Francesco viene investito del titolo di barone di Grassura e del Mulino d’Immenzo, e i suoi discendenti si dedicano alla costruzione di un mulino, di alcune chiese, ne restaurano e abbelliscono altre. Furono i principali mecenati del pittore Giuseppe Tamo. Acquistano terreni e, mediante matrimoni e padrinati nei battesimi, riescono a stringere relazioni con altre famiglie aristocratiche del circondario, accrescendo in importanza e prestigio.
Un viaggio lungo i secoli
Tra i vari racconti di nonni, bisnonni, zii e prozii, approfonditi e corroborati da atti notarili e testamenti, lettere, fogli di famiglia e altre carte, si riesce a desumere uno spaccato della società biancavillese durante i secoli, anche quelli più oscuri e incerti del Seicento e degli inizi del Settecento. E si arriva al Risorgimento, ai moti patriottici, all’Unità d’Italia e al periodo turbolento che la seguì (la storia di Piccolo Tanto – Ferdinando Piccione – è veramente emblematica e suggestiva).
Fanno da sfondo il palazzo Piccione, lo scrigno che ha custodito eventi e, come è naturale che sia, circostanze intime e quotidiane per ben dieci generazioni a partire da Giosafat Piccione, rappresentando un continuum nella storia di famiglia. E poi u giardineddu do’ spasimu, un appezzamento di terreno a sud del centro abitato voluto da Salvator Piccione «per sé e per la delizia degli amici» (frase incisa in latino sull’arco d’ingresso del podere). Il quartiere di san Giuseppe dove sorge quella che fu la cappella presso la corte di palazzo.
Tra le pagine emergono anche i tratti psicologici e caratteriali di molti personaggi del casato ma, di rimando, pure quelli di molti compaesani del tempo ormai passato. Affiora perfino un certo lessico familiare che varca i decenni e, attraverso aneddoti e storielle, perpetua le memorie di famiglia.
Nella seconda parte del volume, diverse appendici, allargano la ricerca di Giosuè Salomone, e la arricchiscono con svariati contributi: cartine topografiche, piantine e alberi genealogici che, quando saranno approfonditi dai lettori, riveleranno indubbiamente tantissime curiosità e chissà, permetteranno a ogni appassionato di rivedersi in qualcuno dei personaggi o ritrovarsi, magari con la sola fantasia, in una delle vicende descritte…
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