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Cronaca

Mafia a Biancavilla, Pippo “u pipi” e i suoi picciotti tutti rinviati a giudizio

Droga, pizzo e trasporto merci: per l’operazione “Ultimo atto” in 13 scelgono l’abbreviato e 6 l’ordinario

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© Foto Biancavilla Oggi

Tutti rinviati a giudizio. Saranno processati in 18 per fatti di mafia, traffico di droga, estorsioni e monopolio del trasporto merci su strada. Sono Giuseppe “Pippo” Mancari u pipi assieme ai suoi picciotti coinvolti nell’operazione “Ultimo atto”, compiuta nel settembre 2023.

In 13 hanno scelto il rito abbreviato (con udienza fissata il 24 settembre): oltre a Mancari, figurano Giovanni Gioco, Salvatore Manuel Amato, Placido Galvagno, Piero Licciardello, Mario Venia, Alfio Muscia, Carmelo Vercoco, Fabrizio Distefano, Nunzio Margaglio, Cristian Lo Cicero, Marco Toscano. Con loro, pure Vincenzo Pellegriti, che ha avuto un ruolo chiave nell’inchiesta in quanto collaboratore di giustizia, oggi seguito dal Servizio Centrale di Protezione.

Altri sei seguiranno il rito ordinario: sono Carmelo Militello, Nicola Minissale, Ferdinando Palermo, Alfredo Cavallaro, Maurizio Mancari e Francesco Restivo. La prima udienza dibattimentale, davanti alla prima sezione collegiale, è fissata per il 1 ottobre.

Sono costituiti come parti civili, il Comune di Biancavilla per decisione deliberata dalla Giunta del sindaco Antonio Bonanno e l’associazione antiracket e antiusura “Libera Impresa”.

Il clan mafioso ricostituito

L’inchiesta della Dda di Catania era culminata con il blitz nella notte del 13 settembre 2023: uno spiegamento di un centinaio di carabinieri per eseguire 13 ordinanze di custodia cautelare in carcere. Le 800 pagine firmate dal Gip evidenzieranno il ruolo centrale di Giuseppe Mancari, il vecchio esponente del clan di Biancavilla, il cui curriculum rimanda agli anni ’80, quando ancora comandava Placido Gurgone.

Lo zio Pippo, nonostante la condanna per omicidio, dal carcere era uscito nel 2009 per l’indulto e altri benefici e il 2 novembre 2015 era sfuggito ad un agguato nel viale Europa, a pochi passi da casa sua. Eppure, approfittando della terra bruciata fatta da precedenti blitz e dell’uscita di scena dei fratelli Pippo e Vito Amoroso e di Alfio Monforte, aveva usato il suo carisma per ricostituire una propria organizzazione. «Comu dici vossia zu Pippu…», è il tono delle intercettazioni dei colloqui con l’anziano reggente.

Al suo fianco – documentano i magistrati – c’è Giovanni Gioco. Con loro due, nel banco degli imputati per il reato di associazione mafiosa, ci sono Salvatore Manuel Amato, Placido Galvagno, Piero Licciardello, Carmelo Militello, Ferdinando Palermo e Mario Venia. «E chi c’è a Biancavilla, tutta la pasta antica, c’è megghiu? Zio Pippo, Giovanni, noi altri… minchia cu c’è a Biancavilla»: mostrava così tutto il suo entusiasmo uno degli associati, ignaro di essere intercettato.

A svelare le mansioni di ognuno e gli affari illeciti contribuiscono alcuni pentiti. Oltre a Vincenzo Pellegriti, che ha fatto parte dell’organizzazione per poi saltare il fosso («Collaboro con la giustizia per dare un futuro ai miei figli…»), l’inchiesta si avvale delle dichiarazioni di Giovanni La Rosa, Graziano Pellegriti e Salvatore Giarrizzo.

Una “agenzia” milionaria

Tra i canali che danno maggiore ossigeno al clan, secondo le carte dell’inchiesta, c’è certamente quello della cosiddetta “agenzia”. È l’attività di trasporto merci su camion, imposta di fatto come monopolista nel comprensorio con la pacifica intesa tra le famiglie mafiose del territorio (i biancavillesi con gli Scalisi e i Santangelo di Adrano).

In concreto, due società, la “MM Logistic” di Adrano e la “MN Trasporti” di Biancavilla, sottoposte a sequestro preventivo (finalizzato alla confisca) ed ora affidate ad un amministratore giudiziario. Un valore complessivo di diversi milioni di euro. Uomini-chiave della “agenzia” sono Camelo Militello e Ferdinando Palermo.

«Questa agenzia – ha svelato La Rosa – sostanzialmente controlla tutti i trasporti su camion a Biancavilla e… ogni camionista deve pagare per ogni bancale trasportato ed è obbligato a farlo. Dunque, l’agenzia altro non è che una forma di estorsione ai danni dei camionisti, ai quali viene imposto di pagare un dazio se vogliono lavorare a Biancavilla».

Il pizzo: 10 vittime silenziose

La richiesta di pizzo non può mancare negli affari del clan. Devono rispondere di estorsione pluriaggravata Salvatore Manuel Amato, Placido Galvagno, Piero Licciardello, Mario Venia, Alfio Muscia, Carmelo Vercoco, Vincenzo Pellegriti.

L’inchiesta “Ultimo atto” ha documentato sei episodi: dalle forniture edili al gommista, dall’edicola al bar e al pub… le persone offese individuate sono 10, ma nessuna ha presentato denuncia né si è costituita parte civile. «Non ho avuto minacce, ma avevo trovato un bigliettino nella buca delle lettere del negozio con scritto che mi dovevo trovare un amico, per paura non ho denunciato l’episodio», ha detto una delle vittime. E un’altra conferma: «No, non sono stai mai minacciato, ma non c’era bisogno di un atto intimidatorio, in quando conoscevo l’andamento malavitoso locale…».

Le quote imposte ad imprenditori e commercianti erano in genere di 500 euro a Pasqua, a Natale e ad ottobre, in coincidenza delle festività di San Placido.

Le celebrazioni per il patrono di Biancavilla erano un’occasione imperdibile per il clan. La loro imposizione si allargava ai venditori delle bancarelle: «Chi voleva montare una bancarella – svela Pellegriti – era costretto a comprare la carne di cavallo per il tramite del clan mafioso… ad un prezzo molto maggiorato. Se qualcuno si rifiutava… veniva minacciato e poi gli danneggiavamo la bancarella, anche dandole fuoco».

Il pizzo chiesto persino ai titolari delle giostre, costretti a pagare 400-500 euro ma anche «a dare circa 100 blocchetti da circa 20 biglietti gratuiti per i figli dei detenuti». Un giro omaggio in giostra: offriva il clan.

La droga: affare sempre “verde”

Immancabile nell’inchiesta “Ultimo atto” è poi il capitolo della droga, in particolare marijuana. Sono in otto gli imputati di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Placido Galvagno è descritto dagli inquirenti come il capo dell’organizzazione «in quanto assumeva tutte le decisioni rilevanti del gruppo e stabiliva il prezzo di acquisto e di cessione dello stupefacente». Vincenzo Pellegriti (fino al suo arresto, nel settembre 2019) e Mario Venia, invece, «ricoprivano il ruolo di organizzatori, provvedendo al reperimento in via diretta o tramite gli altri consociati della sostanza stupefacente che poi consegnavano agli altri con l’incarico di cederla a terzi».

Lo spaccio – sostiene l’accusa – era affidato a Fabrizio Distefano, Piero Licciardello, Salvatore Manuel Amato, Nicola Minissal e Nunzio Margaglio. Di traffico di sostanza stupefacente rispondono anche Francesco Restivo, Maurizio Mancari, Alfredo Cavallaro, Marco Toscano e Cristian Lo Cicero (quest’ultimo collegamento con gli adraniti).

L’approvvigionamento della droga passava da accordi con Adrano (coinvolti pure i “caminanti), ma in qualche occasione i canali erano catanesi: dal clan Laudani alla “fossa dei leoni”, piazza di spaccio dei Cappello.

«Siamo nella strada per rischiare dalla mattina alla sera»: erano tutti consapevoli di possibili blitz, come effettivamente avvenuto, con la scoperta di 300 piante di canapa indiana o il sequestro nel febbraio 2020, in via Albania, di 1 kg di marijuana.

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In auto contro lo scooter: non è stato un incidente, ma un atto di “vendetta”

Diciottenne di Biancavilla denunciato per lesioni e atti persecutori ai danni di un coetaneo di Adrano

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Ha provocato un incidente stradale con l’intento di “vendicarsi” di un acceso diverbio avvenuto nei mesi scorsi. Un biancavillese di 18 anni è stato così denunciato dalla Polizia di Stato. Il giovane ha architettato il piano perché non si era rassegnato alla lite per futili motivi con una ragazzo 17enne di Adrano.

Il minorenne stava percorrendo in scooter via della Regione, ad Adrano. Proprio nei pressi della sede del Commissariato di Polizia era stato tamponato dall’auto guidata dal 18enne, finendo a terra, con una gamba bloccata sotto il peso dello scooter. Per tutta risposta, il giovane biancavillese, anziché prestare soccorso, è sceso dall’auto e, dopo una rincorsa, ha sferrato un violento calcio contro il ragazzino.

Una pattuglia di poliziotti ha assistito alla scena e ha fermato l’aggressione ancora in corso, bloccando il 18enne e prestando le prime cure al minorenne. Dopo qualche minuto, è arrivato il padre della vittima, accompagnata poi al pronto soccorso dell’ospedale “Maria Santissima Addolorata” di Biancavilla. La prognosi è stata indicata in sette giorni.

I poliziotti del Commissariato hanno compiuto dettagliati accertamenti per ricostruire la dinamica dei fatti e, dopo le attività di indagine, sono risaliti alle reali cause dell’aggressione.

L’origine dei rapporti conflittuali tra i due sembra essere legata ad un alterco avvenuto per futili motivi qualche mese addietro, con il 18enne che, in più occasioni, avrebbe tentato di “vendicarsi dell’affronto patito”. Il giovane è stato denunciato, in stato di libertà, per lesioni pluriaggravate ed atti persecutori.

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Così i dipendenti venivano intimoriti: «Attenti, il filo si può spezzare»

Lo sfruttamento dei lavoratori del supermercato, i retroscena di un’inchiesta avviata nel 2023

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«Un quadro inquietante di sfruttamento lavorativo». Dietro i volti gentili e sorridenti di banconisti, cassieri, addetti agli scaffali e magazzinieri si celava una realtà ben diversa. Nell’ordinanza con cui il Gip del Tribunale di Catania, Maria Ivana Cardillo, ha disposto le misure cautelari, vengono messi in evidenza gli elementi che hanno portato all’arresto di Luca Bonomo e Vincenzo Strano, rispettivamente titolare e direttore commerciale del supermercato di via Arti e Mestieri, a Biancavilla. Il marchio è Decò, ma la gestione è autonoma e indipendente dal Gruppo Arena. L’indagine, eseguita dalla Guardia di finanza di Paternò, è culminata anche con il sequestro preventivo dell’azienda e la nomina di un amministratore giudiziario.

Dalle quindici pagine dell’atto emergono – come è in grado di raccontare Biancavilla Oggi – episodi di sfruttamento: ferie e straordinari non pagati, stipendi da fame, in alcuni casi persino inferiori a 2 euro l’ora. Evidenziato anche lo stato di profondo bisogno in cui versavano i dipendenti, costretti ad accettare orari e retribuzioni falsificati. E poi, una forte sudditanza psicologica. Secondo il Gip, non si tratta di «una mera inosservanza di singole disposizioni normative, bensì… di un disegno criminoso».

Quando le verifiche amministrative e i controlli dei militari si sono intensificati, le due figure apicali hanno “avvertito” i dipendenti. Una lavoratrice ha riferito le indicazioni impartite da Strano: «Mi ha incalzata dicendomi che, se tenevo al mio lavoro, già sapevo cosa avrei dovuto rispondere… mi sono sentita sotto pressione». Stesso avvertimento sarebbe stato rivolto a tutto il personale, convocato per una riunione. Indicazioni ribadite poi da Bonomo: «Ci disse che, a seconda delle dichiarazioni rilasciate da noi dipendenti, il filo si sarebbe potuto spezzare».

Il filo, in realtà, si era spezzato già nel momento in cui le Fiamme Gialle avevano messo piede nel supermercato. Tutto era partito non da una denuncia, ma da un semplice controllo amministrativo dei finanzieri paternesi, nel novembre 2023. Già in quell’occasione erano emerse violazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Da lì, la necessità di ulteriori approfondimenti su retribuzioni, orari, straordinari e altri aspetti contrattuali. Nella prima fase era stato sentito il commercialista e consulente del lavoro dell’azienda.

L’inchiesta si era quindi concentrata sul legale rappresentante della società per «evidenti indizi di sfruttamento lavorativo desumibili da erogazioni di retribuzioni evidentemente difformi rispetto alle ore lavorate». Il lavoro investigativo era proseguito con l’audizione dei dipendenti. Tra questi, il ruolo chiave era quello del direttore del punto vendita, definito dagli inquirenti la “longa manus” del titolare. Una persona – secondo la Procura – perfettamente consapevole delle condizioni lavorative offerte al personale. Anzi, durante i colloqui con chi aspirava ad un’assunzione, l’uomo metteva subito in chiaro i vincoli a cui bisognava sottostare.

«Lo stato di bisogno – ha sottolineato il procuratore Francesco Curcio – ha inciso sulla libertà di autodeterminazione, inducendo i lavoratori ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose e illecite, non riconosciute né dalla contrattazione collettiva né dalla normativa giuslavoristica».

Secondo la Guardia di finanza, la mancata regolarizzazione delle retribuzioni ha permesso al punto vendita di ottenere un risparmio illecito di oltre 2,7 milioni di euro, tra stipendi non versati e contributi omessi.

I due indagati – scrive ora il Gip – potrebbero avvicinare i dipendenti, sfruttando la loro vulnerabilità, per indurli a tacere o a fornire versioni alterate dei fatti. C’è, dunque, il rischio di reiterazione del reato e inquinamento delle prove. Da qui, l’applicazione degli arresti domiciliari, con pesanti contestazioni: intermediazione illecita, sfruttamento del lavoro e autoriciclaggio.

Il supermercato, comunque, rimane aperto. L’attività va avanti. La presenza dell’amministratore giudiziario, il dott. Luciano Modica, nominato dall’autorità giudiziaria, rappresenta la garanzia massima per il pieno rispetto, d’ora in avanti, dei diritti dei lavoratori.


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