Cultura
Le virtù di Gerardo Sangiorgio nella tesi di laurea di Maria Rita Neri




Maria Rita Neri
Ricerca di una studentessa di Lettere classiche dedicata all’intellettuale cattolico antifascista con l’analisi della sua produzione poetica, individuando virtù e valori che hanno contraddistinto la sua vita.
di Vittorio Fiorenza
«Estri e virtù di un letterato di provincia». Una tesi di laurea dedicata a Gerardo Sangiorgio, illustre biancavillese, appassionato letterata e poeta, esempio civile per avere inculcato ai suoi alunni i più alti valori di libertà e tolleranza, portando la testimonianza della sua disumana esperienza vissuta da giovane nei campi di sterminio nazisti. Cattolico ed antifascista, al punto da essersi rifiutato di aderire alla Repubblica di Salò e per questo destinato ai lager, Sangiorgio, scomparso nel 1993, è stato omaggiato con una tesi di Maria Rita Neri, a conclusione del suo percorso di studi in Lettere classiche dell’Università di Catania con relatore il prof. Rosario Castelli.
«L’interesse per la figura di quest’uomo in me viene fuori –spiega Maria Rita– dal racconto di persone a me care, quali i miei genitori, che hanno avuto la fortuna di conoscere personalmente Gerardo Sangiorgio, la moglie Maria Cuscunà e i loro due figli, Placido e Rita. In particolar modo mio padre, costruttore edile di fiducia della famiglia Sangiorgio, ha trasmesso in me il desiderio di scavare a fondo tra gli scritti del poeta per scoprirne, oltre al talento letterario, le doti umane e cristiane che lo caratterizzavano».
Lo studio della Neri, attraverso l’analisi di diverse produzioni poetiche di Sangiorgio, evidenzia il profondo senso religioso dell’uomo e del letterata, l’adesione ad un’impalcatura valoriale altamente cristiana che si fa azione civile nella sua vita di cittadino, di marito e genitore, di educatore e di intellettuale.


Gerardo Sangiorgio
«Leggendo le sue poesie, raccolte dai figli, da Vincenzo Petralia e Salvatore Silvano Nigro, pubblicate dal Comune di Biancavilla nel testo “Quando l’algente vero…”, si è acceso in me il desiderio di mettere in luce il pensiero del poeta sul tema dei valori e delle virtù dai lui cantate e vissute», specifica Neri.
Ecco, quindi, l’articolata analisi sulle virtù umane nella produzione di Sangiorgio (la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza), su quelle spirituali (la fede, la speranza e la carità) e sui suoi valori (la memoria, la famiglia, l’educazione, la natura, l’onestà e la libertà).
«Gerardo Sangiorgio –evidenzia Maria Rita Neri– era un uomo, a dire di molti, riservato e taciturno, ma con una spiccata sensibilità e nobiltà d’animo. Un uomo sobrio, umile, che amava “ciò che è bello e nobile”, che credeva in tanti valori della vita, che si sforzava di vivere in modo corretto. Era, perciò, stimato dagli uomini del suo tempo che, ancora oggi, ne mantengono vivo il ricordo».
Ricordi vivi sono quelli dei suoi studenti, per esempio. «Fu un docente esemplare –viene messo in luce nella tesi– nel senso del dovere, preparato, rispettoso dei suoi allievi, di cui si faceva “compagno di viaggio”, portandoli alla scoperta di mondi affascinanti. Nelle sue risposte agli studenti, come ricorda un suo allievo, innescava la curiosità ed il gusto per la scoperta di nuove risposte a nuove domande. Tensione morale e ispirazione ideale animavano le sue lezioni. Nel suo insegnamento particolare cura riservava all’educazione civica ed ai temi della libertà, della tolleranza, della responsabilità, dell’uguaglianza, della dignità umana, della salute, dell’educazione stradale…».
Biancavilla Oggi ha spesso dedicato la propria attenzione nei confronti della figura di Gerardo Sangiorgio, anche con contributi inediti, soprattutto in coincidenza della Giornata della memoria. Qui di seguito una breve rassegna per eventuali approfondimenti.
APPROFONDIMENTI
►Il dramma di Gerardo Sangiorgio e l’incancellabile impronta dei lager
►L’illusione della fine del fascismo: Gerardo Sangiorgio nei lager nazisti
►Disse “no” al fascismo e finì nei lager: il sorriso di uomo giusto
►Gerardo Sangiorgio, l’umanesimo che cura le piaghe della Storia
►Gli omaggi (inediti) a Sangiorgio di Bloom, De Luca e De Mauro
►Per Gerardo Sangiorgio l’omaggio del grande poeta Yves Bonnefoy
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Cultura
Anche il ministro della Cultura Sangiuliano si prende la “stagghjata”
Il termina indica un compito da svolgere, ma a Biancavilla è pure il nome di una contrada




Questa infelicissima e tristissima dichiarazione del ministro della Cultura (sic!) è di qualche settimana fa: «Mi sono autoimposto di leggere un libro al mese. Un fatto di disciplina, come andare a messa». La lettura come sacrificio ed espiazione, dunque: una sorta di cilicio. C’è l’aspetto politico, pedagogico e culturale della dichiarazione. Ma anche religioso (ridurre l’andare a messa a un mero dovere, se non a un sacrificio, non è proprio il massimo per un credente). A noi che ci occupiamo di lingue e di dialetti, tutto ciò, però, ha fatto pensare a un modo di dire usato a Biancavilla.
Un modo che ci sembra calzante: pigghjàrisi a stagghjata, cioè “assumere l’incarico di portare a termine un lavoro entro un lasso di tempo stabilito” (exempli gratia «leggere un libro al mese»). La stagghjata era cioè “il compito, il lavoro da svolgere in un tempo determinato, spesso nell’arco di una giornata”. Dari a stagghjata a unu equivaleva ad “assegnare a qualcuno un lavoro da compiere in un tempo stabilito dopo di che potrà cessare per quel giorno il proprio servizio”.
In altre parti della Sicilia la stagghjata può indicare il “cottimo”. Ad esempio: ṭṛavagghjari ccâ / a la stagghjata “lavorare a cottimo”; “la quantità di olive da spremere in una giornata”; “la fine della giornata, il tramonto: ṭṛavagghjari finu â stagghjata lavorare fino al tramonto”; “sospensione da lavoro”, “slattamento, svezzamento”.
Con l’illusione di finire prima un lavoro, ancora negli anni ’80 del secolo scorso si sfruttavano i braccianti e gli operai dell’edilizia, soprattutto i manovali, i ragazzi minorenni. Ecco una testimonianza tratta da La speranza della cicogna di Filippo Reginella:
Tale lavoro si sviluppava quasi interamente con metodi manuali e magari con la promessa della famosa “stagghiata” che consisteva nel lavorare di continuo fino al completamento della struttura in corso di realizzazione e poi andare a casa qualsiasi ora fosse, come se potesse capitare di finire prima dell’orario ordinario: mai successo! Solo illusione!
Toponimo in zona Vigne
Il nome ricorre anche nella toponomastica del territorio di Biancavilla. Le carte dell’Istituto geografico militare (IGMI 261 II) ricordano il toponimo Stagghjata che indica dei vigneti a Nord del Castagneto Ciancio.
Anche il Saggio di toponomastica siciliana di Corrado Avolio (1937) ricorda i stagghiati di Biancavilla, col significato probabile di “terre date in affitto”.
Alle origini del termine
Cercando di risalire all’origine della nostra voce, ricordiamo, innanzitutto, che stagghjata deriva da stagghjari, un verbo dai molti significati. Tra questi ricordiamo i seguenti: “tagliare, troncare”, “fermare, interrompere il flusso di un liquido” (cfr. stagghjasangu “matita emostatica usata dai barbieri”), “delimitare, circoscrivere, da parte di più cacciatori, un tratto di terreno in cui si trova la selvaggina”; “convogliare i tonni verso la camera della morte della tonnara”; “sospendere momentaneamente il lavoro che si sta facendo”; “venir meno di una determinata condizione fisica: a frevi mi stagghjau non ho più la febbre”.
Fra i modi di dire citiamo stagghjàricci a tussi a unu “ridurre qualcuno al silenzio”, stagghjari la vìa “impedire il passaggio”, stagghjari l’acqua di n-ciùmi “deviare l’acqua di un fiume”. Fra i composti con stagghjari, oltre al citato stagghjasangu, ricordiamo stagghjafocu a) “ostacolo per impedire che il fuoco si propaghi ai campi vicini quando bruciano le stoppie” e b) “striscia di terreno liberata da ogni vegetazione per circoscrivere un incendio”; stagghjacubbu “silenzio profondo”, negli usi gergali; stagghjapassu nella loc. iri a stagghjapassu “prendere scorciatoie per raggiungere qualcuno, tagliandogli la strada”.
Il verbo deriva a sua volta da stagghju “cottimo, lavoro a cottimo”, “interruzione, sosta, riposo dopo un lavoro”, “canone d’affitto”, “scorciatoia” ecc. C’è anche il femm. stagghja “quantità di lavoro assegnato”. Scrive il Pitrè che i bambini usavano l’escl. stagghja! per interrompere improvvisamente e momentaneamente il gioco. Varianti sono stagghjarrè! e stagghjunè!
Da ultimo stagghju, documentato sin dal 1349, nella forma extali, deriva da un latino giuridico *EXTALIUM, derivato di TALIARE “tagliare”.
Concludiamo questa carrellata di parole con un uso letterario di stagghjari nel romanzo Il conto delle minne di Giuseppina Torregrossa:
Ninetta, la vecchia tata, è diventata così grassa che non si vede più i piedi da molto tempo, ma ha acquisito un’aura di saggezza che la fa assomigliare a una vecchia sciamana, dirime controversie, compone liti, stagghia malocchio, dispensa consigli, cura malattie.
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