Detto tra blog
Abusivismo commerciale, il trionfo dell’illegalità è sotto gli occhi di tutti
Bancarelle improvvisate sui marciapiedi e sulle panchine di via Vittorio Emanuele, viale dei Fiori “sotto assedio”, passanti costretti a fare la gincana tra un venditore ambulante e l’altro di fronte l’ospedale.
Dal centro di piazza Roma a piazza Sgriccio a via Innessa e viale dei fiori, lo spettacolo è sempre lo stesso: piccoli ombrelloni o una macchina con il cofano aperto che si improvvisa ambulante e furgoncini di ogni genere. Merce di ogni tipo: dalle cianfrusaglie all’ortofrutta. A rimetterci, come al solito, non è solo il decoro della città ma soprattutto i commercianti biancavillesi onesti che nulla da soli possono fare contro l’abusivismo commerciale.
A Biancavilla, il fenomeno sta assumendo ormai dimensioni sempre più gravi e preoccupanti. Oggi ho fatto un tour per le vie del centro, ho trovato purtroppo che tutte le zone a maggiore vocazione commerciale sono letteralmente invase da ambulanti abusivi che non solo procurano un danno a chi rispetta la legalità, ma costituiscono un degrado visivo per i pedoni e i tanti passanti che attraversano queste vie.
È impossibile che l’assessore al Commercio (cioè Glorioso stesso, che detiene in prima persona questa specifica delega, ndr) non conosca il problema dell’abusivismo commerciale (la piaga non è certo una novità della giunta dell’attuale sindaco). Non risparmio una critica diretta al sindaco, che secondo molti «dimostra di non essere in grado di garantire la legalità né di voler tutelare il commercio, che rappresenta una importante realtà dell’economia biancavillese ed è un fondamentale settore per la città dal punto di vista sociale e culturale».
È necessario che il sindaco intervenga immediatamente per riportare la legalità e restituire ai cittadini una città che non sia invasa da venditori abusivi che vendono paccottiglia di poco valore persino al centro di piazza Roma.
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Detto tra blog
Mafia a Biancavilla, quei fallimenti educativi al di là della cronaca
Il processo “Ultimo atto” e gli spunti di riflessione sui “buoni” e i “cattivi” che vivono a fianco
Una comunità di persone vive anche di queste informazioni, ossia illustrare le attività investigative delle proprie agenzie di controllo. «Blitz “Ultimo atto”, la Procura chiede 125 anni di carcere per 13 imputati», è l’articolo con cui Biancavilla Oggi ci aggiorna sul «rito abbreviato per Pippo Mancari “u pipi” e i suoi picciotti, accusati di mafia, droga ed estorsioni». Normalmente è così: si parla dell’organo che ha indagato, del reato, possibilmente con le ipotesi del guadagno illecito, le attività criminose, i comportamenti, le vittime, spesso senza nome, o soltanto alcune di quelle che in realtà hanno subito. Poi si passa ai criminali, le facce, gli anni di galera previsti, l’attesa del giudizio. Tutto in una sequenza che sembra esaustiva e completa. Poi vedremo le condanne, la sentenza, l’appello, etc.
Questo ci basta? Ci basta questo per sentirci a posto come cittadini? Sembra di assistere ad un canovaccio uguale e distante da noi, anche se stiamo parlando di persone e gente che incontriamo ogni giorno. Mi chiedo: questa operazione di polizia e la sua divulgazione ci bastano per la nostra idea di comunità? Non c’è forse un tratto di vita tra carnefici e vittime che ci potrebbe interessare di più? La frattura al contratto sociale si ricompone da sola? Mi chiedo. Loro sono i cattivi, o quelli che hanno sbagliato – e si vede dalle facce – e noi siamo i buoni? È proprio così?
In realtà nelle strade e nelle piazze siamo lì, insieme, ognuno per la propria vita, ma tutti accanto l’uno all’altro. Questo tipo di notizie, che diventano solo cronaca, non sono fin troppo indifferenti alla vita di chi ha sbagliato e di chi ha subito il torto.
Come possiamo fare per capire ciò che potremmo fare in termini comunitari? Perché si continua a chiedere il pizzo e si continua a spacciare, nonostante le pene previste? Parlo ovviamente in termini generali e non su questo caso specifico.
Io penso che dove si commette un reato di questa portata, qualcosa non ha funzionato anche prima ed anche in tutti noi. In questa comunità di persone c’è stato un fallimento. Reati del genere coinvolgono molte più persone, atteggiamenti, comportamenti, amicizie, conoscenze. Un mare di persone. E molto tempo prima ha lasciato che le cose sfuggissero di mano. Reati del genere parlano di fallimenti educativi in primis, poi di tante altre cose. C’è il momento della condanna, dopo le indagini, ma il momento per comprendere come siamo arrivati, un’altra volta a queste situazioni quando? Quando comprenderemo di quali passaggi è fatto un percorso di comunità in questa direzione?
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