Chiesa
All’Annunziata non un semplice grest: padre Nino e il bello delle piccole cose
Quasi un centinaio di partecipanti (dai 6 ai 14 anni), seguiti da 30 educatori e 20 giovani animatori
Si chiama “Ri-diamo significato” ed è il progetto educativo della parrocchia dell’Annunziata di Biancavilla, giunto alla conclusione presso l’Oratorio “Don Bosco”, riaperto un anno fa per volontà del parroco, padre Nino Tomasello. Una conclusione festosa e colorata.
L’iniziativa, con il sostegno ed il co-finanziamento del Comune di Biancavilla, non consiste in un semplice grest. Ma è un tempo dedicato ai ragazzi per far prendere loro consapevolezza dell’importanza delle piccole cose che quotidianamente facciamo. E che, durante il periodo del lockdown, sono mancate.
«Da più parti sentiamo dire che “niente sarà più come prima”, evocando un automatico cambiamento personale e sociale. L’augurio –dice padre Tomasello– è di assumere questa prospettiva di conversione a partire dalle piccole cose quotidiane. Realtà semplici su cui tornare a porre i nostri occhi dopo mesi di lontananza: per apprezzare il bello e ricostruirne il senso».
Ad animare le giornate, con musiche, bans, giochi e gli immancabili momenti di formazione e di preghiera, un team formato da 30 educatori (genitori, catechisti e animatori) e 20 giovani animatori, con la precipua mission di costruire un tempo per far ricaricare i ragazzi, al fine di poter guardare, con occhi nuovi, le cose di sempre, rintracciando in esse i segni di quanto accaduto.
«In queste giornate stiamo sperimentando che, nonostante una mascherina copra bocca e naso, i nostri occhi sono liberi e lo sguardo è il primo alleato nella ricostruzione e nella riappropriazione della realtà cui apparteniamo», sottolinea Salvo Cocina, uno dei responsabili della comunità educante della Parrocchia.
Il progetto, a cui hanno partecipato 98 ragazzi, di età compresa tra i 6 e i 14 anni, è iniziato lunedì 24 agosto. La conclusione, venerdì 11 settembre 2020, alla presenza del sindaco di Biancavilla, Antonio Bonanno.
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Chiesa
San Placido: la nostra identità cittadina tra fede, tradizioni e memorie secolari
La festa in onore del Patrono è esplosione di piacere collettivo, al quale tutti debbono partecipare
Un episodio della vita di san Placido, risalente ai primi anni della permanenza in monastero con san Benedetto ci tramanda che i monaci di alcuni monasteri avevano enormi difficoltà a reperire l’acqua, sicuramente per la lontananza con le fonti o per una persistente siccità. Allora angustiati chiesero all’abate di risolvere il problema. Il superiore non trovò altro rimedio se non la preghiera. Una notte, affinché la supplica fosse più efficace, svegliò il piccolo Placido, beatamente addormentato. Insieme si inoltrarono tra i monti e in un luogo remoto pregarono lungamente tutta la notte. Alla fine, poste tre pietre ad indicare il sito, se ne tornarono in monastero. Quando, su indicazione dell’abate, gli altri monaci andarono nel posto indicato tra quelle rocce videro uscire l’acqua tanto desiderata, prodigioso dono ancora oggi tangibile.
I santi commuovono il cuore di Dio. Lo dovremmo pensare quando tra le strade di basolato lavico della città passa solenne la statua del nostro san Placido. Quando le bombe assordanti, le strisce colorate, gli applausi dai balconi, le festose marce della banda accompagnano l’immagine di questo monaco andato in cielo – più di millecinquecento anni fa – a poco meno di trent’anni. I santi chiedono a Dio le grazie di cui noi abbiamo bisogno e ci indicano la giusta strada, già da loro percorsa.
Il segno dell’identità cittadina
In un mondo che sta cambiando troppo in fretta, in una società che ha modificato valori e ideali, portare tra le strade le statue dei nostri patroni assume un senso nuovo rispetto ai tempi andati.
San Placido rappresenta l’identità cittadina, con tradizioni e memorie derivanti dallo stratificarsi del passato e dalle contaminazioni culturali che l’hanno arricchita e la rendono unica. La festa a sua volta è esplosione di piacere collettivo, al quale tutti debbono partecipare. Essa spezza la monotonia della quotidianità e attraverso la manifestazione esterna di sentimenti ed emozioni offre l’occasione di riscoprire le origini della comunità, recuperandone la storia, rifondandola periodicamente e trovando nella ritualità dei gesti compiuti all’unisono da tutti la propria ragione di essere.
Per i cristiani, la festa è anche culto, è manifestazione della gioia che deriva da Dio e a lui fa ritorno. Esattamente come il nostro “giru de’ santi”, che dalla Chiesa Madre prende inizio e lì ritorna, esorcizzando la concezione della vita. Una vita intesa non come fluire lineare, con un inizio e una fine, ma come un divenire ciclico di nascita, morte e rigenerazione. Esattamente come le stagioni.
Festa, fede e simbolismo
La festa è pure preghiera ed è riflessione sul destino dell’uomo. Placido è stato un uomo. Ha gioito e ha patito come ogni altro essere umano. Ha dato però degli obiettivi e delle priorità alla sua esistenza. Ha saputo fare dono di sé agli altri. Questo ci viene rivelato dalla statua, opera del biancavillese Placido Portal, scolpita agli inizi del Settecento. Essa, riproponendo la Santità del martire secondo i modelli classici del barocco siciliano, mostra un uomo imberbe, ancora molto giovane, con un’ampia cocolla nera, con la mano destra alzata per benedire chi gli si rivolge.
Il simbolismo aiuta a capire il messaggio solo se il fedele osserva l’opera con occhio attento. L’aureola d’argento, è uno degli attributi più antichi, indica quello come uomo di Dio, ammantato dall’aura splendente della luce divina. Il pastorale rappresenta la dignità di abate, padre e pastore della comunità monastica a lui affidata. Il libro della Regola afferma che il santo appartenne all’ordine Benedettino, i cui monaci dopo il crollo dell’Impero Romano compirono l’imponente opera di ristabilire l’equilibrio in una Europa sconquassata dalle invasioni barbariche. La palma è simbolo del martirio subito per testimoniare gli ideali cristiani. Le chiavi della città – consegnate ogni anno dal sindaco – indicano l’affidamento di Biancavilla al suo Patrono. Infine la croce pettorale, in argento e pietre preziose, è segno della fede in Cristo, stabile fino alla fine nel cuore di Placido.
Ai piedi del fercolo, dentro un’antichissima urna, sono conservate le reliquie, il braccio destro del santo che tante volte benedisse i fratelli e oggi continua a benedire i suoi devoti.
Il senso della festa oggi
Ecco cosa rappresenta quella effigie tirata dai fedeli, portata festosamente tra la gente, abbracciata da migliaia di biancavillesi. Ancora oggi, quel monaco di cui parlò Gregorio Magno, avvicinato dalla tradizione alla nostra Sicilia come martire, ci vuole parlare di pace in un mondo che, preso da interessi di parte sta conoscendo una triste era di conflitti; ci parla di ponti per unire individui appartenenti all’unica famiglia umana; ci parla di accoglienza e di interculturalità in una società chiamata a ricevere nuovi flussi migratori da terre povere e devastate concretizzati ogni giorno in nuovi vicini di casa, compagni di scuola, colleghi di lavoro; ci parla di lotta audace alle nuove mafie che attanagliano come tumori la nostra terra, la oltraggiano e la umiliano.
Una forte dose di coraggio, di presa di coscienza intelligente per far uscire la nostra società civile dall’individualismo imperante e dalla ricerca di profitti e interessi privati a scapito di quelli comuni. Una buona quantità di impegno e di forza di volontà per tirar fuori le nostre comunità ecclesiali – spesso annebbiate dai troppi fumi d’incenso – dai raccolti edifici sacri al mondo chiassoso e agitato. Accogliere le nuove sfide del nostro tempo e piantare semi di nuova speranza per tramutare il caos in cosmos: è questo che ci dice e ci chiede il nostro Santo Patrono in questo 2024? Forse, e non solo.
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