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L'Intervista

«Da Biancavilla a Capodistria, mio zio Salvatore ucciso e buttato nelle Foibe»

La testimonianza del parente di una vittima sottratta all’oblìo dopo 75 anni: «Di lui ci resta solo una foto»

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© Foto Biancavilla Oggi

Hanno saputo per una vita che il loro familiare era morto durante la guerra. Adesso, dopo oltre settant’anni, hanno la conferma di un destino ancora più atroce. Salvatore Furno, classe 1901, insegnante biancavillese, «pare vicino al Partito Fascista Repubblicano, fu prelevato il 25 maggio 1945 a Muggia (TS) e deportato a Capodistria». Soltanto nel 2019, attraverso un articolo del nostro giornale, il suo nome è stato associato al lungo elenco delle vittime delle Foibe.

Il prossimo “Giorno del ricordo”, così, una lapide commemorativa sarà affissa all’esterno di quella che fu la sua abitazione, in via Romagnosi (a pochi passi dalla chiesa di San Giuseppe). Una decisione deliberata dal sindaco Antonio Bonanno e dalla sua amministrazione comunale, dopo un lavoro istruttorio seguito da Davide Marino dell’Ufficio di Segreteria.

Franco Furno, uno dei nipoti, sfila da una bustina bianca la foto di quel Salvatore andato incontro ad una morte orrenda e la mostra a Biancavilla Oggi, accettando di dare la sua testimonianza.

Dopo oltre settant’anni viene ridata dignità storica alla morte di Salvatore Furno, fratello di suo nonno. Franco, cosa rappresenta questo gesto per la sua famiglia?

Per noi è un onore che Biancavilla ricordi un suo figlio, di cui si era saputo, in maniera vaga e generica, che fosse morto in guerra. Ora sappiamo un’altra verità: è stato vittima delle Foibe e quindi di una morte atroce. Sarò certamente presente e con orgoglio il giorno della scopertura della lapide, voluta dall’amministrazione comunale.

Per la prima volta, nel 2019, è stata Biancavilla Oggi a svelare il nome di Salvatore Furno tra le vittime delle Foibe. Poi una lettera dell’Unione istriana che ha sollecitato il sindaco Bonanno ad una commemorazione pubblica. Per voi è stato come riaprire un doloroso capitolo di storia familiare.

Un nuovo capitolo. Finalmente si viene a scoprire ufficialmente come è morto questo nostro zio. I nipoti diretti, come mio padre, non avevano alcuna conoscenza delle circostanze, ma la storia adesso riemerge, come è giusto che sia.

Nella sua famiglia cosa si raccontava di Salvatore Furno?

Si raccontava sempre di questo zio che faceva l’insegnante e che era morto in tempi di guerra, senza sapere come e in quale contesto.

Nessun indizio che la fine di Salvatore fosse legata al massacro delle Foibe? 

Nessuno dei miei familiari, nemmeno mio padre sapevano di questo dettaglio. Solo io, una decina di anni fa, fui contattato da una signora di Nizza, in provincia di Messina, che aveva fatto delle ricerche e che aveva avuto familiari coinvolti in quegli eventi. Mi informò della presenza del nome di mio zio tra le vittime delle Foibe. Ma allora non ho approfondito, anche se l’interesse c’è sempre stato da parte mia. Oggi è tutto più chiaro.

Ciò che vi resta di lui è solo una fotografia?

Sì, questa fotografia con la sua immagine e, dietro, la scritta “Zio Salvatore Furno, insegnante”. Non so se altri parenti più anziani conservino di lui qualcos’altro.

Dalle informazioni pubblicate dal nostro giornale, frutto di una ricerca di Placido A. Sangiorgio, si sa che «Furno, figlio di Mario, nato il 23/4/1901 (ma è un refuso perché in realtà è nato il 3 aprile, ndr), oltre ad essere insegnante, faceva pure il giornalista.

Mia mamma mi raccontava che, nell’immediato dopoguerra, quando la famiglia fu informata della morte, fu recapitata qui a Biancavilla una macchina da scrivere appartenuta a lui, presumibilmente strumento della sua attività giornalistica.

Da ulteriori verifiche di Salvuccio Furnari, incaricato dal sindaco Bonanno, sappiamo pure che Furno abitava vicino la chiesa di San Giuseppe, in via Collegio (oggi via Romagnosi). E lasciò Biancavilla nel 1933 per lavoro. La sua vicenda umana e politica da quel momento in poi è tutta da ricostruire.

Sicuramente è una vicenda che merita di essere approfondita per scoprire ulteriori dettagli.

Il “Giorno del ricordo” del 2021, per la prima volta, Biancavilla lo legherà anche ad una vittima biancavillese. Un dettaglio che rende la tragedia delle Foibe ancora più vicina a noi. Cosa auspica che diventi questa occasione?

Deve essere un monito costante perché le tragedie della storia –come quella delle Foibe, insabbiata per lunghi anni– non si ripetano. Il ricordo è doveroso. Spero sia un’occasione di riflessione per ognuno di noi.

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Cultura

Carmelo Bonanno: «Biancavilla e quel 2 giugno 1946, il ritorno alla democrazia»

L’autore di Nero su Bianco Edizioni:: «I valori dell’antifascismo e della libertà vanno difesi ogni giorno»

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La caduta del fascismo, la fine della guerra, le macerie materiali e morali. Un paese da ricostruire. Biancavilla vive gli eventi con una partecipazione corale per ricostituire i partiti e svolgere le prime consultazioni elettorali, dopo la dittatura ventennale di Benito Mussolini. Carmelo Bonanno racconta gli eventi dell’immediato dopoguerra nel volume “Biancavilla e Adrano agli albori della democrazia”, pubblicato da Nero su Bianco Edizioni. Una ricerca ricca di testimonianze, che in quel 2 giugno 1946 vede la data cruciale per costruire un futuro carico di speranza, nel segno della libertà e del progresso.

Bonanno, quello è un giorno che ci restituisce la democrazia. Biancavilla come arrivò alle prime elezioni e al referendum del ‘46?

Biancavilla, a differenza dei comuni limitrofi, non conobbe la devastazione del suo territorio perché non subì i pesanti bombardamenti alleati di fine seconda guerra mondiale. Secondo i democristiani dell’epoca il merito fu di padre Antonino Arcidiacono e di altri due suoi amici carissimi che andarono a Piano Rinazze, dove erano stanziati gli Alleati, e mediarono con loro affinché Biancavilla fosse risparmiata. Secondo i comunisti del tempo, invece, furono i tedeschi che, notata la forte opposizione di Biancavilla, preferirono abbandonarla per evitare di rallentare la fuga dalle truppe alleate. Non sappiamo quale delle due versioni corrisponda a verità, magari in entrambe c’è del vero. Resta il fatto che Biancavilla arriva all’appuntamento elettorale in un quadro di maggiore “stabilità”.

Oggi ricorre anche l’anniversario del referendum istituzionale nel quale gli italiani si espressero a favore della Repubblica come forma di governo, anche se a Biancavilla – come in tutto il Mezzogiorno – la maggioranza scelse la Monarchia…

Sì, ma è anche vero che il risultato repubblicano a Biancavilla fu notevole perché la media siciliana di voti per la Repubblica era del 35% mentre a Biancavilla ottenne quasi il 49%.

Alle Amministrative dell’aprile 1946, a Biancavilla, la Democrazia Cristiana dominò conquistando 24 seggi su 30 in Consiglio Comunale ed eleggendo il farmacista Salvatore Uccellatore come sindaco, confermando poi il netto vantaggio sugli altri partiti anche alle elezioni dell’Assemblea Costituente del 2 giugno successivo. Biancavilla era (ed è) democristiana?

Sì, certo, Eccezion fatta per la parentesi comunista di Peppino Pace, la Dc seppe sempre rigenerarsi e governare, di fatto fino alla fine della cosiddetta Prima Repubblica.

Oltre a padre Arcidiacono e a Salvatore Uccellatore quali furono le altre personalità di spicco della Dc locale in quegli anni iniziali dell’Italia repubblicana?

Ebbero un ruolo importante Filippo Leocata, medico, e Alfio Minissale, ingegnere, impegnato nella formazione della classe dirigente giovanile dello Scudocrociato. 

Che ruolo ebbero il clero e la Chiesa nel successo democristiano?

Un ruolo fondamentale. Esercitato anche attraverso la costituzione di iniziative associative quali quelle dell’Azione Cattolica, degli Uomini Cattolici e delle Donne Cattoliche. E di un comitato in cui ebbero un ruolo di prim’ordine padre Giosuè Calaciura e Salvatore Uccellatore, prodigatisi per venire incontro ai bisogni dei biancavillesi.

E le donne, appunto, che per la prima volta ebbero diritto di voto?

Le donne giocarono un ruolo importante già durante il periodo della guerra: diedero sostegno economico e sociale, anche tramite la Chiesa, ai bisognosi e alle vedove di guerra. La loro azione politica fu funzionale alle loro opere di carità e assistenza, poi ricambiate in voti per la Democrazia Cristiana. Fornirono spesso un contributo decisivo, convincendo le donne a votare Dc in contrapposizione al Pci.

La sinistra biancavillese, “minoritaria” ma comunque con un consenso significativo, percorse una strada ben più accidentata. Perché?

Perché, tra le altre cose, ci fu una “scissione” tra la corrente dibenedettiana e il resto del partito. E i comunisti, scomunicati, subirono una notevole pressione “interna” ed “esterna”. Lo stesso Di Benedetto, di professione riparatore e noleggiatore di biciclette e allora segretario della Camera del lavoro locale, fu accusato – secondo le testimonianze dell’epoca – di aver rubato parte degli pneumatici inviati dal sindacato provinciale. Pneumatici all’epoca utilizzati non solo per le bici ma anche e soprattutto per creare le suole delle scarpe. Da lì capì che era stato preso di mira e che fosse un capro espiatorio e si allontanò dal partito, che di fatto si “riunificò”.

La lotta di classe nel nostro territorio portò anche all’occupazione delle terre. Che risultati ottenne?

Contraddittori. Perché, a seguito dell’assegnazione seguita alla riforma agraria, alcuni ricevettero terre proficue e redditizie. Altri, terre aride e cretose.

Una Biancavilla a maggioranza democristiana ma geograficamente divisa tra il centro “biancofiore” e la periferia comunista. Guidata da personalità carismatiche. Persino con un primato: prima città italiana a rivoltarsi contro i fascisti nella sommossa del 23 dicembre 1923. Una memoria sconosciuta ai più, che oggi ignorano le radici storiche della ricostruzione democratica locale. Che lezione dovremmo trarne a quasi un secolo di distanza?

Non dobbiamo dimenticare da dove proveniamo. Dobbiamo conoscere il nostro passato. Siamo figli della nostra storia. E la storia ci insegna che ci sono dei valori condivisi – l’antifascismo, la libertà, la democrazia – che noi oggi diamo per scontati ma che non lo sono affatto. E la storia serve a ricordarci che queste conquiste vanno difese ogni giorno.

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