Cultura
Nuove scoperte su alcuni aspetti della storia di Biancavilla


Un convegno su una pagina di storia sconosciuta su Biancavilla ed il suo comprensorio. A promuoverlo sono stati la nuova sezione dell’associazione SiciliAntica ed il Circolo Castriota, presieduta rispettivamente da Enzo Meccia e Giosuè Greco.
Tre i relatori chiamati nella sala conferenze del Centro riabilitativo “Calaciura” di contrada Croce al vallone.
Marcello Cantone, cultore di storia locale, si è soffermato sulla «ascesa della famiglia Moncada e la disgregazione del suo stato».
Antonio Mursia del Dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università di Catania ha presentato «nuovi dati sul territorio di Biancavilla in epoca medievale dalle pergamene di S. Maria de Robore grosso».
Infine, alcuni «aspetti dell’incidenza benedettina sulla storia di Biancavilla» sono stati trattati da Gino Sanfilippo, docente a contratto dell’Università di Catania.
Per la sezione biancavillese di SiciliAntica si tratta della seconda iniziativa nell’arco di poche settimane. Di recente, l’associazione ha promosso un tour alla scoperta dei mulini ad acqua di Biancavilla e dei cippi di confine del nostro territorio.
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Cultura
È sempre così: per ogni mamma, i figli sono la “curinedda” del nostro cuore
Il termine esprime tenerezza e amore: deriva dal greco con il significato di “germoglio”




Fra le parole che le mamme usavano a Biancavilla per esprimere amore e tenerezza verso i figli e le figlie c’è curina, variamente declinato in espressioni come curineḍḍa!, curina dô ma cori!, curineḍḍa dâ mamma! ecc., tutte col significato di “amore mio!”, “cuore mio!”, “gioia dell’anima mia!” e sim.
Con questo tipo di significati la nostra parola è usata nei romanzi e racconti di Silvana Grasso, di cui diamo qualche esempio:
Ah Sasà! che hai combinato figlio mio?! Ah Sasà curina del mio cuore! E come ti salvo io?! …Recitava muto Cornelio (L’albero di Giuda, 1997).
Il Paradiso era per lui sentire il fischio d’un treno e un altro e un altro ancora nella curìna dell’anima (Disìo, 2005).
Le tasche delle sue giacche sciauriàvano di zagara anche dopo il bucato o forse era tutt’uno col naso quell’odore, tale intramato nella sua pelle, nella curìna dell’anima che nulla ci poteva, nemmeno il bagno nella vasca d’alluminio quando, una volta al mese, la signorina Anselma gli faceva la doccia calandogli di sopra alcuni secchi d’acqua calda. (dalla raccolta La ddraunàra, 2020).
Ma prima di assumere questo significato traslato (metaforico), la curina indica “la parte più interna e più tenera del cesto di una pianta”, in una parola “il garzuolo, il grumolo”, ad esempio della lattuga, la parte più interna e tenera che si preferisce per le insalate.
Estendendo l’indagine ad altre parti della Sicilia, troviamo che curina può indicare il “germoglio appena spuntato dal terreno”, le “foglie della palma nana, quelle più tenere e bianche” che nel Trapanese vengono tagliate, pulite dalle spine e fatte essiccare nella stagione estiva. Con esse si creano delle corde che gli artigiani locali intrecciano per la realizzazione di scope, ventagli, tappeti e borse (Custonaciweb). Per estensione indica la “treccia di capelli di una ragazza”. In area etnea orientale curina di parma si dice di una “ragazza buona, dal carattere mite”.
Altri significati figurati registrati qua e là in Sicilia considerano curina la “parte migliore di qualunque cosa”. Gli sbergi di curina sono, quindi, le “nocepesche di migliore qualità” e la frase èssiri di la curina può significare, a secondo delle località e delle fonti, a) “essere il preferito”, b) “essere molto scaltro, malizioso”, c) “essere uno dei principali esponenti della combriccola”. Arriviamo, per questa strada, infine, a un significato del tutto negativo con la locuzione laṭṛu di curina “ladro matricolato”.
Dal nome deriva (per parasintesi) il verbo scurinari. Usato transitivamente significa “togliere la parte più interna e più tenera, ad es. a una lattuga, a un finocchio ecc.”; negli usi intransitivi il verbo vale “germogliare delle piante a fusto non legnoso” e “crescere ben diritto, del castagno”. Dal verbo derivano l’agg. scurinatu “di castagno perfettamente diritto” e il nome scurinata “farina separata dal fiore”
Oltre che in Sicilia, curina o una var. è diffuso in Calabria, dove indica il “grumolo di lattiga o cavolo”, il “garzuolo”, il “cuore di una pianta” o la “cima di un monte”; in Basilicata dove il “lino pettinato”; il deriv, napoletano corìnola è la “roccata di lino”. Nella Calabria sett. troviamo ancora scurinare “cimare le piante” e il deriv. scurinatu “senza cima”, “disgraziato”.
Per chi si voglia cimentare, infine, nella ricerca dell’origine della parola, è certamente forte la tentazione di fare derivare curina da cori “cuore”. In realtà, la nostra voce deriva dal greco κορύνη (korýnē), usato da Teofrasto (371-278 a.C.) nel De historia plantarum col significato di “germoglio”.
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