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Coco, genio creativo biancavillese Etna Comics gli intitola un premio

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Un Premio intitolato a Giuseppe Coco: l’indimenticato cartoonist e illustratore biancavillese scomparso nel 2012 all’età di 76 anni. Un riconoscimento che verrà “incastonato” all’interno di Etna Comics, il Festival internazionale del fumetto e della cultura Pop, giunto alla sua nona edizione e che si celebrerà alle Ciminiere di Catania dal 6 al 9 giugno prossimi. Per l’occasione, 17 delle opere custodite a Villa delle Favare e donate dall’artista all’epoca dell’amministrazione Cantarella saranno esposte all’importante manifestazione.

Il Premio, istituito con il patrocinio del Comune di Biancavilla, è un tributo ad un artista che per quarant’anni ha incarnato uno humour surreale e che ha trovato estimatori in tutta Italia (e non solo) attraverso le preziose collaborazioni con il Corriere della Sera, L’Espresso, La Repubblica, Famiglia Cristiana, Paris Match e Stern, tanto per citarne alcuni.

Al palazzo municipale la conferenza stampa di presentazione dell’iniziativa: un’unione di intenti che ha visto lavorare assieme il Comune, la direzione di Etna Comics rappresentata da Antonio Mannino e dal produttore Giuseppe Scrivano, la Pro Loco di Biancavilla con il presidente Francesco Di Mauro e l’associazione “Coco Comics” con Placido Lavenia.

«Coco rappresenta un’eccellenza fuori dagli schemi, per me è l’Andy Warhol italiano –ha detto Mannino– purtroppo è stato sottovalutato e nel corso della sua carriera non ha avuto il giusto riconoscimento. Attraverso il premio dedicato a Coco faremo un’operazione promozionale chirurgica. Sarà un premio permanente, proseguirà negli anni e per la giuria abbiamo invitato esperti e giornalisti di testate che si occupano di fumetti».

Presenti alla presentazione anche i nipoti del Maestro Coco: Gabriele, Francesco e Daniele.

«Siamo orgogliosi e onorati di potere far apprezzare l’opera ed il talento di un biancavillese illustre come Giuseppe Coco che ci richiama alla nostra identità e appartenenza – ha spiegato il sindaco Antonio Bonanno affiancato dall’assessore Daniela Russo –. Da oggi il Maestro Coco trova la sua collocazione: quella di una memoria che dev’essere tramandata anche alle nuove generazioni che ne apprezzeranno l’ingegno e l’ironia mai banale. Un ringraziamento particolare ad Etna Comics, alla Pro Loco ed all’associazione Coco Comics, godiamoci l’istituzione di un Premio destinato ad essere apprezzato anno dopo anno».

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Cultura

Smilzo, gracile, magro, insomma uno “smiçiaçiàtu”… di origine francese

Un aggettivo che trova “cittadinanza letteraria”, da Silvana Grasso a Maria Antonietta Musumarra

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Ne L’arti di Giufà (1916) di Nino Martoglio, c’è un personaggio dal nome parlante, quasi un soprannome descrittivo dell’aspetto fisico, il Conte Smiciaciato «grande metteur en scene cinematografico». In precedenza, infatti, ne I civitoti in pretura (1903), Martoglio aveva usato lo stesso termine come aggettivo: «Ah, allura, mentri c’è ’ssu bonifatturi… Benchì ca ’st’avvucatu mi pari smiciaciàtu», dice l’imputato Masillara. In Cappiddazzu paga tuttu (1917), la commedia scritta insieme a Pirandello, Don Jacu dice: «Chi? Chi faciti? E chi sugnu allura ddu smiciaciatu di Don Sucasimula? Va, dati cca, e pigghiativi ’u vostru!».

Qual è dunque il significato di smiciaciatu o meglio smiçiaçiàtu, secondo la trascrizione ortografica del Vocabolario Siciliano? A Biancavilla e in tutta la provincia di Catania, ma anche in altre province dell’Isola, significa “mingherlino, molto magro”; “smilzo, gracile”; ma localmente vale anche “rachitico, stentato, che è poco sviluppato”, e si dice pure di un “bambino vestito di abiti sbrindellati”. Molto interessante, come vedremo, è l’espressione di area orientale si fa-mmòriri smiçiaçiàtu! in riferimento a chi lesina su tutto, privandosi persino del necessario.

L’espressività del nostro aggettivo non è passata inosservata alle nostre scrittrici e ai nostri scrittori, che l’adoperano nelle loro opere, come Silvana Grasso:

Aveva speso una fortuna nei casini, ma solo cosí aveva onorato il sacramento del matrimonio che uno era e uno doveva … anzi piuttosto incarcagnato bassino, aveva un’aria smisciasciàta, di uno che soffre di stomaco, di colite o una cute lucida rossellina, ed era calvo tranne che sulla nuca trapaniata da peluzzi (Pazza è la luna).

Oppure Mario Di Bella, in un racconto tratto da Il salone del barbiere:

Il tempo ce l’avevano, sia lui che il mastro, e il tempo, da perfetto galantuomo, insieme alla paglia e qualche scoppolone di sveglia, avrebbe saputo fare maturare le nespole anche su quell’albero smisciasciato e ’nzitato malamenti (Il parrucchiere Franco).

O ancora Maria Antonietta Musumarra (La collina del giorno dopo):

Ognuno diceva la sua, tutti d’accordo però nel trovare Antonio un bocciolo di rosa e me un po’ troppo “smiciaciata” e bruttina.

Quale sarà l’origine del nostro aggettivo, è ora il caso di chiederci? Alla base di smiçiaçiàtu c’è il siciliano antico (XIV sec.) misasiátu (pàsciri li poviri et li misasiati) e a sua volta dal francese antico mesaise “stato di malessere, di sofferenza, di sconforto” da cui miçiàçiu e smiçiàçiu “inedia”; “miseria”, usato in frasi come mòriri di miçiàçiu “morire d’inedia”; in area ragusana irisinni di miçiàçiu “di sostanze, in genere alimentari, che si consumano gradatamente”, fari i cosi a-mmiçiàçiu “abborracciare”. Per sfuggire alla censura, un soldato palermitano, durante la I guerra mondiale, scrisse così alla famiglia: «la salute discretamente, salvo una certa dose di miciacio con conseguente stitichezza».

La voce francese è formata dal suff. sottrattivo mes– + aise “benessere”. Ci potremmo fermare qui, ma l’ant. francese aise, attraverso uno sviluppo semantico con riscontri nella stessa Francia e nei dialetti meridionali, continuatore del latino adiacens (ad + iacio), è giunto come prestito nel siciliano àciu ‘latrina, cesso’ e nell’it. agio. Lascio immaginare ai lettori e alle lettrici quale benessere o agio (aise) si sarà potuto trarre in una latrina.

PER SAPERNE DI PIU’

“La Sicilia dei cento dialetti” di Alfio Lanaia

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