Cultura
Nello Sciacca e Giuseppe Viaggio, i Bianchi ricordano due illustri cittadini


Foto d’archivio su una cerimonia di vestizione dell’Arciconfraternita dei Bianchi
Il primo fu magistrato, scrittore e pubblicista. L’altro fu avvocato, esponete politico, oltre che governatore della confraternita, oggi guidata da Salvuccio Furnari.
di Vittorio Fiorenza
Assemblea annuale dell’Arciconfraternita dei Bianchi per trarre un bilancio dell’attività svolta e programmare quella del nuovo anno. Un’attività che per il 2016 punterà anche a ricordare due illustri biancavillesi, che hanno fatto parte della congregazione religiosa con sede nella chiesa del Purgatorio di Biancavilla. Si tratta di Nello Sciacca, di cui ricorre il centenario della nascita, e di Giuseppe Viaggio, nato 135 anni fa.
Sciacca, morto nel 1998, svolse l’attività di magistrato per 45 anni, dedicandosi pure all’attività di scrittore e pubblicista. Suoi articoli sul costume e i personaggi della realtà biancavillese furono spesso pubblicati nella terza pagina del quotidiano “La Sicilia” ed altri periodici, poi raccolti nel volume “Lungo i sentieri dei ricordi” delle Edizioni Greco.
Giuseppe Viaggio, avvocato, fu governatore dei Bianchi e, ad inizio del Novecento, fu consigliere comunale. Appassionato di storia patria, fu spesso responsabile dei festeggiamenti patronali in onore di San Placido. Il suo nome figura tra i promotore della storica modifica dello statuto che portò al passaggio del Casino dei civili in Circolo Castriota.
Due figure di rilievo, dunque, non soltanto per l’Arciconfraternita dei Bianchi, ma anche per la storia cittadina. Da qui, la decisione dell’assemblea dei confrati (presieduta dal governatore Salvuccio Furnari, alla presenza di padre Pino Salerno, in qualità di assistente spirituale) di volerli ricordare con incontri pubblici da programmare nel corso dell’anno.
Altre attività dei confrati riguarderanno gli impegni “ordinari” durante la Settimana Santa e, a settembre, per la celebrazione della Madonna Addolorata, la cui statua è custodita proprio dai Bianchi.
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Cultura
Smilzo, gracile, magro, insomma uno “smiçiaçiàtu”… di origine francese
Un aggettivo che trova “cittadinanza letteraria”, da Silvana Grasso a Maria Antonietta Musumarra


Ne L’arti di Giufà (1916) di Nino Martoglio, c’è un personaggio dal nome parlante, quasi un soprannome descrittivo dell’aspetto fisico, il Conte Smiciaciato «grande metteur en scene cinematografico». In precedenza, infatti, ne I civitoti in pretura (1903), Martoglio aveva usato lo stesso termine come aggettivo: «Ah, allura, mentri c’è ’ssu bonifatturi… Benchì ca ’st’avvucatu mi pari smiciaciàtu», dice l’imputato Masillara. In Cappiddazzu paga tuttu (1917), la commedia scritta insieme a Pirandello, Don Jacu dice: «Chi? Chi faciti? E chi sugnu allura ddu smiciaciatu di Don Sucasimula? Va, dati cca, e pigghiativi ’u vostru!».
Qual è dunque il significato di smiciaciatu o meglio smiçiaçiàtu, secondo la trascrizione ortografica del Vocabolario Siciliano? A Biancavilla e in tutta la provincia di Catania, ma anche in altre province dell’Isola, significa “mingherlino, molto magro”; “smilzo, gracile”; ma localmente vale anche “rachitico, stentato, che è poco sviluppato”, e si dice pure di un “bambino vestito di abiti sbrindellati”. Molto interessante, come vedremo, è l’espressione di area orientale si fa-mmòriri smiçiaçiàtu! in riferimento a chi lesina su tutto, privandosi persino del necessario.
L’espressività del nostro aggettivo non è passata inosservata alle nostre scrittrici e ai nostri scrittori, che l’adoperano nelle loro opere, come Silvana Grasso:
Aveva speso una fortuna nei casini, ma solo cosí aveva onorato il sacramento del matrimonio che uno era e uno doveva … anzi piuttosto incarcagnato bassino, aveva un’aria smisciasciàta, di uno che soffre di stomaco, di colite o una cute lucida rossellina, ed era calvo tranne che sulla nuca trapaniata da peluzzi (Pazza è la luna).
Oppure Mario Di Bella, in un racconto tratto da Il salone del barbiere:
Il tempo ce l’avevano, sia lui che il mastro, e il tempo, da perfetto galantuomo, insieme alla paglia e qualche scoppolone di sveglia, avrebbe saputo fare maturare le nespole anche su quell’albero smisciasciato e ’nzitato malamenti (Il parrucchiere Franco).
O ancora Maria Antonietta Musumarra (La collina del giorno dopo):
Ognuno diceva la sua, tutti d’accordo però nel trovare Antonio un bocciolo di rosa e me un po’ troppo “smiciaciata” e bruttina.
Quale sarà l’origine del nostro aggettivo, è ora il caso di chiederci? Alla base di smiçiaçiàtu c’è il siciliano antico (XIV sec.) misasiátu (pàsciri li poviri et li misasiati) e a sua volta dal francese antico mesaise “stato di malessere, di sofferenza, di sconforto” da cui miçiàçiu e smiçiàçiu “inedia”; “miseria”, usato in frasi come mòriri di miçiàçiu “morire d’inedia”; in area ragusana irisinni di miçiàçiu “di sostanze, in genere alimentari, che si consumano gradatamente”, fari i cosi a-mmiçiàçiu “abborracciare”. Per sfuggire alla censura, un soldato palermitano, durante la I guerra mondiale, scrisse così alla famiglia: «la salute discretamente, salvo una certa dose di miciacio con conseguente stitichezza».
La voce francese è formata dal suff. sottrattivo mes– + aise “benessere”. Ci potremmo fermare qui, ma l’ant. francese aise, attraverso uno sviluppo semantico con riscontri nella stessa Francia e nei dialetti meridionali, continuatore del latino adiacens (ad + iacio), è giunto come prestito nel siciliano àciu ‘latrina, cesso’ e nell’it. agio. Lascio immaginare ai lettori e alle lettrici quale benessere o agio (aise) si sarà potuto trarre in una latrina.
PER SAPERNE DI PIU’
“La Sicilia dei cento dialetti” di Alfio Lanaia
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