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Da padre Consoli ai “12 volenterosi”: le origini della chiesa “Cristo Re”

Memorie del quartiere “Casina”, quando non c’era ancora la parrocchia (istituita poi nel 1952)

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Il 70° anniversario dell’istituzione della parrocchia “Cristo Re”, ricordato con una serie di appuntamenti (l’ultimo, una messa presieduta dall’arcivescovo Luigi Renna), è stato un’occasione di rievocazione storica. Memorie ecclesiastiche quasi perdute o sconosciute ai più che riemergono.

Proprio all’inizio della celebrazione con il vescovo, sono state ricordate le vicende che hanno condotto alla nascita, nel quartiere “Casina”, della chiesa. E con essa, tutte le attività collaterali connesse alla sua presenza nel territorio.

L’espansione dell’abitato di Biancavilla ad est, iniziata nei primi del ‘900, “allontanava” gli abitanti del nuovo borgo dalle chiese allora esistenti. Ciò rendeva più difficile la loro educazione cristiana e il loro accostamento ai sacramenti.

Nel novembre 1931, don Giuseppe Consoli, che soggiornava nel Piccolo seminario biancavillese per ragioni di salute, attraversò il rione. Rimase colpito dalla presenza dei tanti giovani che lì vivevano.

Appurata la loro ignoranza religiosa, padre Consoli iniziò subito una capillare opera di catechesi.

L’iniziativa incontrò sin da subito l’entusiasmo di quegli stessi ragazzi e l’incoraggiamento dei genitori e degli abitanti del quartiere, che chiesero al sacerdote di non interrompere l’opera di evangelizzazione avviata.

Il “comitato dei 12 volenterosi”

Si fece così strada l’idea che dovesse trovarsi in quel luogo un locale idoneo per il catechismo e le pie pratiche. A seguito di alcune ricerche, fu trovata una stanzetta. Dopo la supplica di un comitato di 12 volenterosi, il prevosto dell’epoca approvò l’iniziativa e chiese al vescovo di Catania l’autorizzazione a celebrare in quei locali anche la messa.

Il vescovo accordò il permesso e così, il 6 gennaio 1932, il prevosto Vito Piccione benedì la cappellina e celebrò l’Eucaristia in mezzo ad una folla di fedeli, molti dei quali dovettero assistere dalla strada.

Reperiti i relativi fondi, si pervenne così all’acquisto del terreno finalizzato alla costruzione della nuova chiesa, che ebbe inizio nel giugno 1936. Nel novembre dello stesso anno fu celebrata la prima messa in una sezione della nuova costruzione adibita a chiesa provvisoria.

Nel settembre 1937, padre Consoli, che ne aveva sino a quel momento officiato il culto, dovette tornare a Catania. Ne seguì un periodo di transizione nel quale il parroco della Chiesa Madre inviava un sacerdote per la messa domenicale. Per l’elevazione a parrocchia si dovrà attendere il 1952, stesso anno di nascita delle parrocchie Idria e Annunziata.

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Cultura

È sempre così: per ogni mamma, i figli sono la “curinedda” del nostro cuore

Il termine esprime tenerezza e amore: deriva dal greco con il significato di “germoglio”

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Fra le parole che le mamme usavano a Biancavilla per esprimere amore e tenerezza verso i figli e le figlie c’è curina, variamente declinato in espressioni come curineḍḍa!, curina dô ma cori!, curineḍḍa dâ mamma! ecc., tutte col significato di “amore mio!”, “cuore mio!”, “gioia dell’anima mia!” e sim.

Con questo tipo di significati la nostra parola è usata nei romanzi e racconti di Silvana Grasso, di cui diamo qualche esempio:

Ah Sasà! che hai combinato figlio mio?! Ah Sasà curina del mio cuore! E come ti salvo io?! …Recitava muto Cornelio (L’albero di Giuda, 1997).

Il Paradiso era per lui sentire il fischio d’un treno e un altro e un altro ancora nella curìna dell’anima (Disìo, 2005).

Le tasche delle sue giacche sciauriàvano di zagara anche dopo il bucato o forse era tutt’uno col naso quell’odore, tale intramato nella sua pelle, nella curìna dell’anima che nulla ci poteva, nemmeno il bagno nella vasca d’alluminio quando, una volta al mese, la signorina Anselma gli faceva la doccia calandogli di sopra alcuni secchi d’acqua calda. (dalla raccolta La ddraunàra, 2020).

Ma prima di assumere questo significato traslato (metaforico), la curina indica “la parte più interna e più tenera del cesto di una pianta”, in una parola “il garzuolo, il grumolo”, ad esempio della lattuga, la parte più interna e tenera che si preferisce per le insalate.

Estendendo l’indagine ad altre parti della Sicilia, troviamo che curina può indicare il “germoglio appena spuntato dal terreno”, le “foglie della palma nana, quelle più tenere e bianche” che nel Trapanese vengono tagliate, pulite dalle spine e fatte essiccare nella stagione estiva. Con esse si creano delle corde che gli artigiani locali intrecciano per la realizzazione di scope, ventagli, tappeti e borse (Custonaciweb). Per estensione indica la “treccia di capelli di una ragazza”. In area etnea orientale curina di parma si dice di una “ragazza buona, dal carattere mite”.

Altri significati figurati registrati qua e là in Sicilia considerano curina la “parte migliore di qualunque cosa”. Gli sbergi di curina sono, quindi, le “nocepesche di migliore qualità” e la frase èssiri di la curina può significare, a secondo delle località e delle fonti, a) “essere il preferito”, b) “essere molto scaltro, malizioso”, c) “essere uno dei principali esponenti della combriccola”. Arriviamo, per questa strada, infine, a un significato del tutto negativo con la locuzione laṭṛu di curina “ladro matricolato”.

Dal nome deriva (per parasintesi) il verbo scurinari. Usato transitivamente significa “togliere la parte più interna e più tenera, ad es. a una lattuga, a un finocchio ecc.”; negli usi intransitivi il verbo vale “germogliare delle piante a fusto non legnoso” e “crescere ben diritto, del castagno”. Dal verbo derivano l’agg. scurinatu “di castagno perfettamente diritto” e il nome scurinata “farina separata dal fiore”

Oltre che in Sicilia, curina o una var. è diffuso in Calabria, dove indica il “grumolo di lattiga o cavolo”, il “garzuolo”, il “cuore di una pianta” o la “cima di un monte”; in Basilicata dove il “lino pettinato”; il deriv, napoletano corìnola è la “roccata di lino”. Nella Calabria sett. troviamo ancora scurinare “cimare le piante” e il deriv. scurinatu “senza cima”, “disgraziato”.

Per chi si voglia cimentare, infine, nella ricerca dell’origine della parola, è certamente forte la tentazione di fare derivare curina da cori “cuore”. In realtà, la nostra voce deriva dal greco κορύνη (korýnē), usato da Teofrasto (371-278 a.C.) nel De historia plantarum col significato di “germoglio”.

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