Cultura
Nino Milazzo, addio ad un grande giornalista: era nato a Biancavilla
Raggiunse i vertici del Corriere della Sera, divenendone vice direttore: è morto a 91 anni


La madre era di Biancavilla e lui era nato nella nostra città, il 16 gennaio 1930. Se ne è andato all’età di 91 anni, Nino Milazzo, giornalista di razza, che nella sua carriera aveva raggiunto i vertici del Corriere della Sera. Per il quotidiano di via Solferino era stato vice direttore.
Aveva lavorato anche per L’Europeo, L’Indipendente ed Il Sole 24 Ore. Aveva affiancato Enzo Biagi, suo amico, in diversi programmi di approfondimento televisivo.
Il suo ritorno a Catania per “La Sicilia” e poi per la direzione del tg dell’emittente Telecolor, dal 2000 al 2006. È stato pure presidente del Teatro stabile di Catania.
Il suo legame con Biancavilla lo aveva portato pure a curare l’Annuario dei beni culturali del Comune. Milazzo figurava, inoltre, tra i soci onorari del Circolo “Castriota”. Titolo conferitogli sotto la presidenza dell’avv. Pietro D’Orto, su proposta di due soci, il prof. Vincenzo Spoto (suo amico d’infanzia) e Andrea Laudani.
A Biancavilla Oggi ricordiamo con particolare soddisfazione una sua telefonata al direttore Vittorio Fiorenza, complimentandosi per un articolo: L’amore proibito di Rosina e il suo “segreto” in una cartolina del 1908. Resta il rammarico a non avere dato seguito al suo invito ad andarlo a trovare a casa.
Tra le sue opere di saggistica, “Un italiano di Sicilia”, “L’uomo dei tramonti che amava la politica”, “I prigionieri di Sirte” e “Il mio Novecento. Memorie del secolo breve”.
Bonanno: «Esempio di equilibrio e professionalità»
Cordoglio per la morte di Nino Milazzo è stato espresso dal sindaco di Biancavilla. Antonio Bonanno lo definisce «un grande giornalista siciliano» e lo ricorda per il suo «esempio di equilibrio e professionalità giornalistica».
«Milazzo era nato a Biancavilla e alla “sua” città -scrive il primo cittadino- amava rispondere con affetto tutte le volte che veniva interpellato per iniziative culturali. Alla sua famiglia vanno i sensi del più sentito cordoglio, mio e di tutta la città di Biancavilla».
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Cultura
È sempre così: per ogni mamma, i figli sono la “curinedda” del nostro cuore
Il termine esprime tenerezza e amore: deriva dal greco con il significato di “germoglio”




Fra le parole che le mamme usavano a Biancavilla per esprimere amore e tenerezza verso i figli e le figlie c’è curina, variamente declinato in espressioni come curineḍḍa!, curina dô ma cori!, curineḍḍa dâ mamma! ecc., tutte col significato di “amore mio!”, “cuore mio!”, “gioia dell’anima mia!” e sim.
Con questo tipo di significati la nostra parola è usata nei romanzi e racconti di Silvana Grasso, di cui diamo qualche esempio:
Ah Sasà! che hai combinato figlio mio?! Ah Sasà curina del mio cuore! E come ti salvo io?! …Recitava muto Cornelio (L’albero di Giuda, 1997).
Il Paradiso era per lui sentire il fischio d’un treno e un altro e un altro ancora nella curìna dell’anima (Disìo, 2005).
Le tasche delle sue giacche sciauriàvano di zagara anche dopo il bucato o forse era tutt’uno col naso quell’odore, tale intramato nella sua pelle, nella curìna dell’anima che nulla ci poteva, nemmeno il bagno nella vasca d’alluminio quando, una volta al mese, la signorina Anselma gli faceva la doccia calandogli di sopra alcuni secchi d’acqua calda. (dalla raccolta La ddraunàra, 2020).
Ma prima di assumere questo significato traslato (metaforico), la curina indica “la parte più interna e più tenera del cesto di una pianta”, in una parola “il garzuolo, il grumolo”, ad esempio della lattuga, la parte più interna e tenera che si preferisce per le insalate.
Estendendo l’indagine ad altre parti della Sicilia, troviamo che curina può indicare il “germoglio appena spuntato dal terreno”, le “foglie della palma nana, quelle più tenere e bianche” che nel Trapanese vengono tagliate, pulite dalle spine e fatte essiccare nella stagione estiva. Con esse si creano delle corde che gli artigiani locali intrecciano per la realizzazione di scope, ventagli, tappeti e borse (Custonaciweb). Per estensione indica la “treccia di capelli di una ragazza”. In area etnea orientale curina di parma si dice di una “ragazza buona, dal carattere mite”.
Altri significati figurati registrati qua e là in Sicilia considerano curina la “parte migliore di qualunque cosa”. Gli sbergi di curina sono, quindi, le “nocepesche di migliore qualità” e la frase èssiri di la curina può significare, a secondo delle località e delle fonti, a) “essere il preferito”, b) “essere molto scaltro, malizioso”, c) “essere uno dei principali esponenti della combriccola”. Arriviamo, per questa strada, infine, a un significato del tutto negativo con la locuzione laṭṛu di curina “ladro matricolato”.
Dal nome deriva (per parasintesi) il verbo scurinari. Usato transitivamente significa “togliere la parte più interna e più tenera, ad es. a una lattuga, a un finocchio ecc.”; negli usi intransitivi il verbo vale “germogliare delle piante a fusto non legnoso” e “crescere ben diritto, del castagno”. Dal verbo derivano l’agg. scurinatu “di castagno perfettamente diritto” e il nome scurinata “farina separata dal fiore”
Oltre che in Sicilia, curina o una var. è diffuso in Calabria, dove indica il “grumolo di lattiga o cavolo”, il “garzuolo”, il “cuore di una pianta” o la “cima di un monte”; in Basilicata dove il “lino pettinato”; il deriv, napoletano corìnola è la “roccata di lino”. Nella Calabria sett. troviamo ancora scurinare “cimare le piante” e il deriv. scurinatu “senza cima”, “disgraziato”.
Per chi si voglia cimentare, infine, nella ricerca dell’origine della parola, è certamente forte la tentazione di fare derivare curina da cori “cuore”. In realtà, la nostra voce deriva dal greco κορύνη (korýnē), usato da Teofrasto (371-278 a.C.) nel De historia plantarum col significato di “germoglio”.
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