Chiesa
San Placido, festa mancata come ai tempi del colera: omaggio di tre sindaci
Antonio Bonanno e i primi cittadini di Adrano e Santa Maria di Licodia attorno alla stele dedicata al patrono
Il luogo ha un significato simbolico sia nei racconti leggendari della tradizione locale sia nella toponomastica. È la “Pedata di San Placido”, alla fine di viale dei Fiori e a pochi passi dal confine tra i territori di Biancavilla e Adrano.
È qui che si trova la stele marmorea dedicata al patrono di Biancavilla, voluta dal Circolo San Placido e posizionata a pochi giorni del terremoto dell’ottobre 2018.
Ed è qui che nei confronti del martire benedettino – attorno alla cui figura Biancavilla fonda la sua identità cittadina – la comunità cattolica e civile ha voluto fare un omaggio floreale. Lo ha fatto il sindaco Antonio Bonanno, assieme ai primi cittadini di Adrano, Angelo D’Agate, e di Santa Maria di Licodia, Salvatore Mastroianni.
Tutti e tre in fascia tricolore, a sottolineare il valore istituzionale del segno di comunione tra i tre paesi nel nome e nel ricordo di San Placido (le cui reliquie provengono dai benedettini un tempo presenti nel comune licodiese).
È stato un momento di riflessione e di preghiera con il parroco della chiesa madre, padre Pino Salerno, e una rappresentanza di devoti del circolo con in testa il presidente Placido Lavenia. Presenti pure il dirigente del commissariato di polizia di Adrano, Paolo Leone, e il comandante dei vigili urbani Vincenzo Lanaia, oltre alle associaizoni di volontariato.
San Placido, il Covid come il colera
Un momento che ricade nell’anno delle restrizioni e dei divieti per arginare l’emergenza coronavirus. Un ottobre, questo del 2020, che ha visto cancellate le processioni religiose esterne. Il simulacro del santo rimasto chiuso in basilica, dove si sono svolte comunque le celebrazioni in suo onore con l’esposizione delle reliquie.
Un cambio di programma da annotare negli annali. Il patrono e la sua festa di popolo bloccati dal coronavirus, esattamente come a fine ‘800 era successo a causa del colera.
Uno squarcio del clima e del periodo – per inciso – lo offre “San Placido”, la novella di Federico De Roberto, ripubblicata da Nero su Bianco Edizioni con i contributi di Antonio Di Grado, Rosaria Sardo e Placido A. Sangiorgio.
Retroscena della festa mancata
Per verità di cronaca, va anche svelato che il Circolo San Placido ha anche proposto, per la giornata del 5 ottobre, una cerimonia esterna per San Placido (a cui affiancare anche l’icona della Madonna dell’Elemosina e il fercolo di San Zenone).
Una messa patronale da celebrare al campo sportivo. L’intento – avanzato al sindaco – era quello di creare un momento di aggregazione. L’intera comunità riunita davanti alle effigi religiose del patrono, del “proto patrono” e della Madonna.
Esattamente come era avvenuto all’indomani del terremoto del 2018, quando Biancavilla si è ritrovata nel campo dell’«Orazio Raiti», impaurita e turbata dall’evento sismico, ma riscoprendosi comunità, come rare volte era avvenuto.
Un’occasione, quella pensata dai devoti di San Placido, a cui l’amministrazione comunale si era detta disponibile, facendosi carico dell’organizzazione e del piano di sicurezza. Il luogo, peraltro, avrebbe garantito il giusto distanziamento, più adeguato di quanto visto e riscontrato in basilica.
Ma è stata un’occasione non accolta da parte ecclesiastica. Un “no” categorico espresso durante una riunione al palazzo comunale, caratterizzata da toni alti e particolarmente polemici. Anche questo da riportare e trascrivere negli annali.
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San Placido: la nostra identità cittadina tra fede, tradizioni e memorie secolari
La festa in onore del Patrono è esplosione di piacere collettivo, al quale tutti debbono partecipare
Un episodio della vita di san Placido, risalente ai primi anni della permanenza in monastero con san Benedetto ci tramanda che i monaci di alcuni monasteri avevano enormi difficoltà a reperire l’acqua, sicuramente per la lontananza con le fonti o per una persistente siccità. Allora angustiati chiesero all’abate di risolvere il problema. Il superiore non trovò altro rimedio se non la preghiera. Una notte, affinché la supplica fosse più efficace, svegliò il piccolo Placido, beatamente addormentato. Insieme si inoltrarono tra i monti e in un luogo remoto pregarono lungamente tutta la notte. Alla fine, poste tre pietre ad indicare il sito, se ne tornarono in monastero. Quando, su indicazione dell’abate, gli altri monaci andarono nel posto indicato tra quelle rocce videro uscire l’acqua tanto desiderata, prodigioso dono ancora oggi tangibile.
I santi commuovono il cuore di Dio. Lo dovremmo pensare quando tra le strade di basolato lavico della città passa solenne la statua del nostro san Placido. Quando le bombe assordanti, le strisce colorate, gli applausi dai balconi, le festose marce della banda accompagnano l’immagine di questo monaco andato in cielo – più di millecinquecento anni fa – a poco meno di trent’anni. I santi chiedono a Dio le grazie di cui noi abbiamo bisogno e ci indicano la giusta strada, già da loro percorsa.
Il segno dell’identità cittadina
In un mondo che sta cambiando troppo in fretta, in una società che ha modificato valori e ideali, portare tra le strade le statue dei nostri patroni assume un senso nuovo rispetto ai tempi andati.
San Placido rappresenta l’identità cittadina, con tradizioni e memorie derivanti dallo stratificarsi del passato e dalle contaminazioni culturali che l’hanno arricchita e la rendono unica. La festa a sua volta è esplosione di piacere collettivo, al quale tutti debbono partecipare. Essa spezza la monotonia della quotidianità e attraverso la manifestazione esterna di sentimenti ed emozioni offre l’occasione di riscoprire le origini della comunità, recuperandone la storia, rifondandola periodicamente e trovando nella ritualità dei gesti compiuti all’unisono da tutti la propria ragione di essere.
Per i cristiani, la festa è anche culto, è manifestazione della gioia che deriva da Dio e a lui fa ritorno. Esattamente come il nostro “giru de’ santi”, che dalla Chiesa Madre prende inizio e lì ritorna, esorcizzando la concezione della vita. Una vita intesa non come fluire lineare, con un inizio e una fine, ma come un divenire ciclico di nascita, morte e rigenerazione. Esattamente come le stagioni.
Festa, fede e simbolismo
La festa è pure preghiera ed è riflessione sul destino dell’uomo. Placido è stato un uomo. Ha gioito e ha patito come ogni altro essere umano. Ha dato però degli obiettivi e delle priorità alla sua esistenza. Ha saputo fare dono di sé agli altri. Questo ci viene rivelato dalla statua, opera del biancavillese Placido Portal, scolpita agli inizi del Settecento. Essa, riproponendo la Santità del martire secondo i modelli classici del barocco siciliano, mostra un uomo imberbe, ancora molto giovane, con un’ampia cocolla nera, con la mano destra alzata per benedire chi gli si rivolge.
Il simbolismo aiuta a capire il messaggio solo se il fedele osserva l’opera con occhio attento. L’aureola d’argento, è uno degli attributi più antichi, indica quello come uomo di Dio, ammantato dall’aura splendente della luce divina. Il pastorale rappresenta la dignità di abate, padre e pastore della comunità monastica a lui affidata. Il libro della Regola afferma che il santo appartenne all’ordine Benedettino, i cui monaci dopo il crollo dell’Impero Romano compirono l’imponente opera di ristabilire l’equilibrio in una Europa sconquassata dalle invasioni barbariche. La palma è simbolo del martirio subito per testimoniare gli ideali cristiani. Le chiavi della città – consegnate ogni anno dal sindaco – indicano l’affidamento di Biancavilla al suo Patrono. Infine la croce pettorale, in argento e pietre preziose, è segno della fede in Cristo, stabile fino alla fine nel cuore di Placido.
Ai piedi del fercolo, dentro un’antichissima urna, sono conservate le reliquie, il braccio destro del santo che tante volte benedisse i fratelli e oggi continua a benedire i suoi devoti.
Il senso della festa oggi
Ecco cosa rappresenta quella effigie tirata dai fedeli, portata festosamente tra la gente, abbracciata da migliaia di biancavillesi. Ancora oggi, quel monaco di cui parlò Gregorio Magno, avvicinato dalla tradizione alla nostra Sicilia come martire, ci vuole parlare di pace in un mondo che, preso da interessi di parte sta conoscendo una triste era di conflitti; ci parla di ponti per unire individui appartenenti all’unica famiglia umana; ci parla di accoglienza e di interculturalità in una società chiamata a ricevere nuovi flussi migratori da terre povere e devastate concretizzati ogni giorno in nuovi vicini di casa, compagni di scuola, colleghi di lavoro; ci parla di lotta audace alle nuove mafie che attanagliano come tumori la nostra terra, la oltraggiano e la umiliano.
Una forte dose di coraggio, di presa di coscienza intelligente per far uscire la nostra società civile dall’individualismo imperante e dalla ricerca di profitti e interessi privati a scapito di quelli comuni. Una buona quantità di impegno e di forza di volontà per tirar fuori le nostre comunità ecclesiali – spesso annebbiate dai troppi fumi d’incenso – dai raccolti edifici sacri al mondo chiassoso e agitato. Accogliere le nuove sfide del nostro tempo e piantare semi di nuova speranza per tramutare il caos in cosmos: è questo che ci dice e ci chiede il nostro Santo Patrono in questo 2024? Forse, e non solo.
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