Detto tra blog
Uno degli infermieri contagiati: «Attacchi rozzi da chi ci ha “bollati” come untori»
Lettera aperta di Agatino Neri, tra i sei operatori sanitari risultati positivi al virus, nonché consigliere comunale


Ho deciso di scrivere questa lettera aperta perché ritengo che a molti amici e conoscenti farà piacere sapere che le mie condizioni di salute sono buone, visto che in questi giorni ho ricevuto tante manifestazioni, pensieri affettuosi e di incoraggiamento. La stessa rassicurazione la rivolgo anche a coloro che per timidezza o discrezione non si sono fatti sentire, ma sono sicuro che la loro vicinanza è intatta così come sono sinceramente amareggiati i loro cuori.
Sto bene!
Quello che tutti stiamo attraversando è un difficile momento che coinvolge con apprensione e paura tutti i nostri affetti, talvolta con esiti dolorosi e irreversibili. Da infermiere ho sempre avuto consapevolezza del rischio che è insito in quello che ho scelto di fare, non ultimo quello di mettere in conto la possibilità di venire a contatto con il virus.
Quello che, invece, non comprendo sono gli attacchi personali e le sterili critiche che abbiamo ricevuto, frutto di menti insensibili che in maniera gratuita “bollano” quanti coinvolti nel contagio come untori, irresponsabili etc. Non ci sono aggettivi per qualificare le più o meno velate esternazioni di rozzi individui di fronte a un problema che potrebbe suscitare e amplificare timori e paure nelle persone coinvolte.
Questa vicenda, quello dell’essere positivo al virus, non lascia spazio a punti di non condivisione o di critica come avviene spesso, ma esige un solo atteggiamento: quello di testimoniare solidarietà e vicinanza umana.
Evidentemente questo non rientra nel bagaglio umano di taluni soggetti, ma si comportano come gli australopitechi, ominidi che agiscono solo con l’istinto e scaricano parole intrise di rabbia, violenta e frustrazione; un vile attacco alla persona e non ai contenuti perché, ribadisco, non c’è nessun contenuto da criticare verso coloro che hanno subito il contagiato.
In questo momento, il mio ultimo pensiero è quello della polemica ed è per questo che agli attacchi, ai commenti e alle critiche gratuite non voglio rispondere. Questo leverebbe preziose energie e distoglierebbe l’attenzione dall’unico fine che ho perseguito nel momento in cui ho deciso di scrivere queste parole, ossia quello di rassicurare tutti coloro che mi stimano e hanno manifestato vicinanza umana.
Chiudo, ringraziando: medici, infermieri, operatori sanitari, operatori di 118; gli uomini delle Forze dell’Ordine; tutti i lavoratori che garantiscono la prosecuzione serena della quotidianità; chi lavora nei supermercati; gli operatori ecologici, spesso dimenticati ma di vitale importanza; chiunque stia combattendo in prima linea il coronavirus.
Grazie a tutti coloro che continuano a prestare la loro opera con un pizzico d’incoscienza, molto coraggio e tanta abnegazione; grazie anche a coloro che hanno paura e pur nondimeno continuano a lavorare per tutti noi; grazie a tutte quelle persone che sono costrette a rinunziare, per il bene comune, al proprio lavoro, alla propria vita, al legittimo diritto di guadagnarsi da vivere, grazie anche perché questi sacrifici, forse, non sono da tutti riconosciuti.
Grazie ai commercianti, grazie ai liberi professionisti, grazie agli imprenditori, che in silenzio e ai margini delle cronache vivono nell’incertezza di quello che il futuro riserva, perché “la salute è la cosa più importante”, ma non l’unica cosa che conta.
Grazie a chi con una telefonata, un messaggio un pensiero o una silenziosa preghiera ha dedicato a tutti noi un piccolo istante della loro giornata.
Grazie per la stima e le belle parole, ma noi non siamo eroi, siamo solo Persone, e facciamo quel per cui abbiamo studiato ci siamo preparati per scelta o perché l’abbiamo subito.
Un’ultima cosa: è stato detto da tanti, ma ci tengo a ribadirlo con forza e convinzione. “Ora ci elogiate, ci applaudite e ci incitate, ma quando tutto questo sarà finito non dimenticatevi di quel che abbiamo fatto, ognuno nel proprio piccolo ha contribuito con azioni o rinunce”. Grazie.
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Detto tra blog
La “colpa” di vivere nel centro storico, tra bullismo sociale e istituzionale
Le amministrazioni di Biancavilla degli ultimi 20 anni: loro hanno progettato lo stato in cui siamo


In molti ultimamente hanno affrontato l’argomento del centro storico di Biancavilla, dei suoi problemi, dei suoi alti e bassi, e sicuramente il mio intervento rischia di essere superfluo e non aggiungere niente. Già Machiavelli ne Il Principe introduceva l’opera spiegando come in molti avevano già parlato delle regole comportamentali che dovessero tenere i regnanti, e di come il suo intervento potesse sembrare magari superfluo, ma lui si sarebbe distinto per il suo approccio legato alla realtà effettuale delle cose. Lungi dal paragonarmi all’autore de Il Principe, ritengo, però, come lui, che magari una voce o un’opinione in più possa dare più chiavi di lettura a un fenomeno che diventa sempre più preponderante nella nostra città.
Il problema a cui faccio riferimento è il bullismo. Ma attenzione, non il bullismo scolastico e adolescenziale, calamità purtroppo in costante crescita e dai risvolti sempre più tragici, ma di un altro tipo di bullismo. Ricordate i classici film americani per teenager, in cui viene raccontata la vita delle high school, con i gruppi sociali, la squadra di football, le cheerleader, i nerd etc., e di come le dinamiche sociali di questi gruppi siano improntate sulla presunta superiorità dei “popolari”, innescando il fenomeno per cui chi è più in vista ha sempre ragione e viene sempre supportato, mentre chi è più dimesso o socialmente inferiore viene etichettato come “strano”? Nel nostro paese (intendendo sia Biancavilla che l’Italia in generale) assistiamo giornalmente a queste dinamiche.
Il biancavillese medio
Il biancavillese medio le rispecchia pienamente. Lui è superiore, la sua macchina ha un motore rombante, a lui raramente importa del prossimo. Passando da via Vittorio Emanuele la musica deve necessariamente essere alta, perché la gente deve sapere che l’automobilista in questione ha un impianto audio di una certa importanza, e soprattutto che i suoi gusti musicali sono allineati alle principali tendenze del momento (cioè a sonorità partenopee con testi che inneggiano a corse clandestine di cavalli o a improbabili avventure extraconiugali, ma anche alle sempreverdi sonorità latinoamericane – spesso molto simili alle prime -, fatte di mañana, corazón, vida loca).
E questo di giorno ma soprattutto di notte, quando la movida cittadina offre il meritato palco a questo tipo di personaggi. Ricordo un tempo di tanti anni fa, in cui quando dalla “piazza” passava qualcuno con la musica napoletana a palla, le persone si giravano prendendolo in giro, considerandolo un tamarro qualsiasi, e irridendo i suoi gusti musicali. Oggi la movida serale ammira questo tipo di comportamento, le ragazzine si girano estasiate, i ragazzini approvano ed emulano questi comportamenti, con la conseguenza che la notte è il momento migliore per queste performance.
Movida, un plauso ai pub
Premessa doverosa: la movida biancavillese non è per niente in discussione. Grazie all’impegno dei gestori dei pub, di cui conosco personalmente il valore morale e imprenditoriale, Biancavilla negli ultimi anni è diventata faro di socialità rispetto al deserto serale dei paesi limitrofi. E il tutto è portato avanti nel pieno rispetto del vivere civile, per cui la musica, dal vivo e non, viene staccata o drasticamente abbassata a mezzanotte, gli spazi utilizzati vengono puliti prima e dopo le serate, la spazzatura prodotta viene diligentemente raccolta.
Il problema sono quelli che Jovanotti chiamava “gente della notte”: una popolazione notturna eterogenea, composta da giovani e meno giovani, da professionisti e nullafacenti, tutti con un unico comune denominatore: la libertà di fare ciò che si vuole. A qualsiasi ora devono essere liberi di bere, urlare, suonare clacson, sbattere sportelli. Ma più ci si inoltra nel silenzio della notte, più un’attività supera le altre: la chiacchiera. In queste calde notti d’estate, in cui i residenti dormono con la finestra aperta, è possibile sentire animate discussioni su argomenti di qualsiasi tipo. Nella stessa notte ho ascoltato gente di mezza età infervorarsi sui conflitti in Medio Oriente e mezz’ora dopo si sentivano raccontare i maldestri approcci a base di commenti sessisti di alcuni ragazzetti con barbe lunghe e tatuaggi.
E le istituzioni cosa fanno?
Nei commenti agli articoli letti nelle ultime settimane si legge spesso una domanda: ma le istituzioni cosa fanno al riguardo?
Le istituzioni negli ultimi vent’anni hanno progettato e realizzato la situazione attuale. L’intervento di svuotamento commerciale del centro storico in favore di viale dei Fiori è stato sistematico e strutturale, fortemente voluto dalle amministrazioni che si sono susseguite. Durante le ore diurne il centro è il regno del traffico, del parcheggio selvaggio, ma soprattutto del vero super predatore di questo habitat: l’anziano della società. Lui occupa i parcheggi, non spende, non produce, ma soprattutto guarda: guarda tutto, come parcheggiano male le donne, come i papà si rendono ridicoli giocando con le figlie, come i giovani di oggi non abbiano più rispetto per gli anziani, come non esistono più le mezze stagioni. Sono loro i veri leoni di questa savana.
Di recente si è mirato a colpire i parcheggi selvaggi, colpendo ovviamente i residenti che sono i primi ad averne disagi (splendidi i commenti del tenore di “se vivi al centro, affitti un garage. Non ti lamenti”).
I due bullismi
Ma tutte le amministrazioni negli ultimi anni hanno sempre avuto come obiettivo dichiarato (in campagna elettorale) la valorizzazione del centro storico, progettando isole pedonali, progettando parcheggi, tutti proclami che alla fine si sono risolti con la posa di una panchina o di una fioriera in più, che si trasforma in pattumiera nel giro di un’ora.
Ma il vero paradosso amministrativo sta nel fatto che in un mondo in cui tutti i comuni, siciliani e non, progettano e realizzano avendo come punto di riferimento la riqualificazione del proprio centro storico come punto di forza (financo Adrano, la “perfida Albione”!), la nostra amministrazione risponde alle lamentele dei residenti quasi come se fosse in realtà colpa loro (“eeeh, se vivi in centro, che vuoi farci…”). Ricorda tanto il giochino dei già citati bulletti americani, quando forzando il braccio della vittima lo colpiscono con il loro stesso pugno, ripetendo “smettila di picchiarti, smettila di picchiarti”.
Questi due bullismi, sociale e istituzionale, trovano il loro perfetto punto di incontro a ogni tornata elettorale, in cui i candidati, sotto il mantello del rinnovamento sociale e culturale, nascondono le loro preferenze per la decentralizzazione e il depopolamento. Anche Machiavelli diceva che il principe, per evitare la rovina dello stato, deve essere pronto a rinnegare le promesse, o a favorire una categoria a discapito di un’altra. In ottica machiavellica a Biancavilla, per evitare la rovina della perdita di voti, bisogna essere pronti a rinnegare promesse e proclami, e se devi favorire qualcuno, meglio favorire chi porta più preferenze. E il risultato conferma tutto ciò: il 92% dei consensi alle scorse elezioni, quindi la popolazione di Biancavilla è pienamente d’accordo con questa modalità di amministrazione.
Siamo noi quelli sbagliati
Ne viene fuori un’unica e innegabile conclusione: quelli sbagliati siamo noi! Elettori e amministrazioni rispettivamente vogliono e favoriscono il sopruso sociale fine a sé stesso, quello che non ti dà un effettivo vantaggio ma dimostra la tua superiorità sul prossimo, quello basato sulla presunzione, sul passare per primo ad un incrocio, quello che ti permette di bloccare con l’auto una via del centro perché devi fare bancomat, quello secondo cui la mia libertà vale più di qualsiasi altra cosa e di chiunque altro.
E altrettanto chiaramente ne viene fuori un’unica e innegabile conseguenza: adeguarsi, diventare carnefice, cantare a squarciagola Mario Merola alle tre di notte per le strade del centro, far suonare a palla dalla propria auto Gigi D’Agostino (che tra l’altro adoro!) dall’Idria fino a Sant’Orsola. E non importa se tra i residenti ci sono anziani, non importa se tra i residenti ci sono neonati. Se non ti sta bene, la colpa è tua che hai deciso di vivere in centro, è un problema tuo. Te lo dico io. Te lo dicono loro.
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Decadenza e “segni” di resistenza nel cuore del centro storico di Biancavilla
Saracinesche abbassate e ombrelli sospesi in aria: ombre e (alcune) luci del nostro “salotto cittadino”


Mentre l’ennesima saracinesca si abbassa, il centro storico di Biancavilla si rivela, come uno specchio: riflesso delle criticità del nostro tempo. In questo spazio urbano – che accoglie la Chiesa Madre con lo splendido campanile disegnato da Carlo Sada, la barocca Chiesa del Rosario, i palazzetti d’inizio Novecento e i circoli di categoria dove ancora si gioca a carte e si legge il giornale – si percepisce con sempre maggiore evidenza un lento ma costante processo di svuotamento.
Negli ultimi anni, numerose attività commerciali hanno chiuso i battenti o si sono trasferite in altre zone della città, inseguendo una maggiore accessibilità o un bacino d’utenza più ampio. Il centro storico, un tempo definito “il salotto buono del paese”, ha perso quella vivacità che lo rendeva punto di riferimento per il passeggio, il ritrovo giovanile e la vita quotidiana.
Sono ormai lontani i giorni in cui piazza Roma era crocevia di relazioni sociali e scambi economici: si discuteva di lavoro, si contrattavano i braccianti per le campagne, si stabiliva il prezzo delle arance. “A chiazza” rappresentava una sorta di estensione domestica: il prolungamento della casa di ogni biancavillese.
Scenario di degrado
Oggi, però, lo scenario è diverso: ai monumenti vandalizzati (gomme da masticare a terra, resti di cibo, lattine, bottiglie, carte e mozziconi di sigarette) si aggiungono arredi urbani trascurati e un crescente senso di abbandono. Le vie più appartate, nei fine settimana, ospitano persino i resti fisiologici di chi non è riuscito a raggiungere un bagno, con tutto ciò che ne consegue in termini di odori e degrado.
Le serate estive sono spesso disturbate da schiamazzi, motori rombanti e musica assordante proveniente dalle auto di chi il giorno dopo non ha proprio intenzione di andare a lavorare. La percezione diffusa è quella di uno spazio che non appartiene più a nessuno e che, proprio per questo, nessuno si sente in dovere di curare o rispettare.
Colpa di chi?
Di chi è la responsabilità? È facile puntare il dito contro l’amministrazione, che pure ha obblighi e doveri. È comodo, ma forse troppo generico, attribuire la colpa ai cittadini, anche se l’indifferenza e l’inciviltà sembrano manifestarsi proprio in chi abita questi luoghi. Eppure anche l’idea di una “colpa dei tempi” rischia di risultare una scorciatoia interpretativa, che rinuncia a comprendere la complessità del presente.
Una cosa però è certa: ogni giorno assistiamo a scene di ordinaria inciviltà che fanno pensare a un progressivo distacco dalla dimensione della “cosa pubblica” come bene comune.
Ma non tutto è perduto
E tuttavia, in questo paesaggio urbano segnato da ombre, emergono anche piccoli segnali di luce. Qualche giorno fa, da un palmizio curato dai soci di un circolo, è spuntato un lungo fiore. Un piccolo miracolo naturale, che ha attratto l’attenzione e la curiosità di chi vi passa accanto. Poco più in là, nella piazza Collegiata, un’attività di ristorazione ha decorato gli alberi con ombrellini colorati sospesi, restituendo vivacità e senso estetico a quell’angolo, nei pressi della fontanella.
Due segni, diversi ma convergenti: il primo affidato alla spontaneità della natura, il secondo frutto dell’iniziativa umana. Entrambi portano un messaggio chiaro: non tutto è perduto. C’è ancora spazio per la bellezza, per l’impegno civico, per un’idea di comunità che non si arrende all’indifferenza ma decide di prendersi cura di un angolo della città restituendogli dignità. Di certo, questo non basta a risolvere i problemi strutturali del centro storico, ma potrebbe indicare una direzione possibile. La rinascita non arriva tutta insieme, e spesso non fa rumore. Inizia da gesti semplici, quasi invisibili: da lì si può ripartire.
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Miriam Lo Porto
27 Aprile 2020 at 12:30
Ciao Agatino.
Massima condivisione e tutta la mia vicinanza.
Tanti auguri, che presto possiamo tornare tutti in corsia per svolgere serenamente e con l’amore di sempre il nostro lavoro.
Antonio
26 Aprile 2020 at 22:21
Condivido pienamente le tue parole.. ma l’ignoranza regna sempre su una ristretta cerchia d persone.. in bocca a lupo ..
Beppe
26 Aprile 2020 at 15:39
I contagi del personale sanitario del nostro ospedale è una cosa che non doveva accadere e di certo non se la sono cercata.
Però magari vi hanno lasciati a lavorare senza adeguate protezione personale ed è anche per questo che si devono accertare le eventuali responsabilità
Abbiamo sentito che in vari parti d’Italia diverse volte il personale è stato lasciato senza adeguate protezione.
Poi in fondo solo voi sapete la verità e se le misure di sicurezza e di protezione, alle quali è giusto che vi vengano fornite, vi sono state garantite o no.
Un augurio di pronta guarigione e speriamo che vada tutto nei migliori dei modi per il bene di tutti e per poter usufruire di eventuali prestazioni sanitarie in tutta sicurezza.
Auguri al signor Neri e a tutti i sanitari positivi al covid
Grace
26 Aprile 2020 at 13:15
Io non conosco a lei, ma sono d’accordo con tutto quello che lei abbia detto. Più che cattive queste persone sono ignoranti a prescindere al loro titolo di studio. Auguri e complimenti a lei.
Turi
26 Aprile 2020 at 10:11
Può anche essere uno di questi che disprezza voi, che ha infettato tutti. Ma con l’ignoranza c’è poco da fare. Forza signor Neri e tutti i suoi colleghi. Vi auguro una immediata guarigione.
Salvatore Cilia
26 Aprile 2020 at 4:41
Sei una persona straordinaria come lo è ognuno dei contagiati… Che Dio vi protegga sempre, siamo nelle vostre mani… Auguri di pronta guarigione. Un abbraccio