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Se l’Icona si trasforma in prodotto: uso e “abuso” di una figura sacra

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di MARIA RITA SANGIORGIO

In piazza Roma ho visto ed apprezzato la composizione vivaistico-floreale a tema natalizio. Ma anziché vedere collocata l’immagine della “Sacra famiglia”, come era normale aspettarsi, nella riproduzione dell’edicola votiva è stata inserita la figura della Madonna dell’Elemosina. Mi chiedo: cosa c’entra? La rappresentazione della natività dovrebbe essere ancora inserita (mi dicono), ma la questione –non nuova– resta.

L’abuso ed il presenzialismo dell’Icona, che negli anni hanno raggiunto dimensioni macroscopiche, dovrebbero essere arginati da chi ha competenza ed autorità ecclesiale, oltre a chi –come in questo caso– ha autorità civile.

Chi scrive è una persona credente, devota e, con tutti i limiti che la vita moderna comporta, si sforza di essere pure praticante. Il sentimento di rispetto nei confronti di quell’immagine sacra e di ciò che rappresenta è, da parte mia, indiscutibile.

Il punto è un altro, che trova concordi pure diversi preti biancavillesi con cui ho avuto modo di confrontarmi. Riguarda, cioè, l’utilizzo che negli ultimi 10-15 anni si è fatto di quella figura. Utilizzo che, a mio modestissimo parere, senza offesa per nessuno e magari nella buona fede di tutti, è stato spesso strumentale e pretestuoso in momenti e contesti che nulla c’entrano. Con il risultato, ritengo io, di abusare appunto della tela sacra e di ridurla a logo, marchio, timbro –alla stregua delle magliette con stampato Che Guevara– che tradisce e allontana il reale ed autentico significato che quel prezioso dipinto conserva.

Un prezioso dipinto, senza ombra di dubbio, soprattutto sul piano affettivo. Trovo stucchevoli certe sottolineature (fatte anche dal vostro giornale) sul fatto che l’Icona non sarebbe stata portata dai profughi fondatori del paese, ritenendo più probabile che la fattura sia successiva al loro arrivo. Questa è materia di storici (che devono svolgere certamente il loro lavoro), ma non dei devoti e dei fedeli, che devono nutrirsi del messaggio che porta la Madonna dell’Elemosina, lungi da “adorare” una semplice tela colorata.

Ecco perché la “elemosinizzazione” (termine bruttissimo, perdonatemi) di ogni occasione religiosa (o persino non religiosa) locale, dalla Pasqua al Natale fino a San Placido, rappresenta la deriva di una bella tradizione che anziché essere tutelata, rischia la saturazione.

Quand’ero bambina, la Madonna dell’Elemosina si “vedeva” due volte all’anno (l’ultima domenica di agosto ed il 4 ottobre). E quando c’era l’incontro, l’emozione era la stessa di “riabbracciare” una persona cara che non si vede da tempo. Adesso, ad ogni angolo e ad ogni occasione, ti ritrovi quella immagine come se l’intento fosse promuovere un prodotto o fare diventare Biancavilla improbabile luogo di pellegrinaggio di massa. Ma è questo il compito della Chiesa del nuovo millennio?

A proposito: perché affiancare alla Madonna del Rosario, nell’omonima chiesa, la “imposizione” di quella dell’Elemosina, come fosse un’insegna di un negozio, trasferito al di là della piazza, causa terremoto?

Perplessità parecchio diffuse a Biancavilla, più di quanto si pensi: le autorità ecclesiali se ne facciano carico e riflettano, sperando che queste mie parole vengano lette in chiave costruttiva perché questo è il mio intento. La devozione è un sentimento autentico da custodire e fare accrescere con la pratica tangibile della fede, che a sua volta non è né presenzialismo né esibizionismo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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6 Commenti

6 Commenti

  1. Alfio Pelleriti

    17 Dicembre 2018 at 20:11

    Concordo pienamente con l’analisi chiara, coraggiosa della signora Maria Rita Sangiorgio. E’ auspicabile una religiosità più riservata, senza clamori, con meno processioni; magari con meno presenzialismo con labari e vessilli ad indicare identità e appartenenza e, sotto sotto, una supposta superiorità. Tutto questo nega l’essenza del messaggio evangelico che è ecumenico e rivolto all’umanità intera. Chi deve rivolgere preghiere alla Madonna, con umiltà, in un angolo, in penombra, senza essere osservato, sa dove trovarla. Non si propini la sua effige in tutte le occasioni, spingendo ad un coinvolgimento ideologico e irrazionale.

  2. Simona Laudani

    17 Dicembre 2018 at 13:35

    In questo articolo è espresso quello che da anni penso io. Utilizzano la Madonna dell’Elemosina come un gadget promozionale. Spero che le cose cambino e sia veramente rispettata la tradizione e il sentimento intimo devozionale, che non è quello di fare show che servono solo ad alimentare la vanità di qualcuno.

  3. Federica

    17 Dicembre 2018 at 13:29

    Complimenti all’autrice dell’articolo, almeno c’è qualcuno in questo paese che ha il coraggio di dire le cose come stanno.

  4. Bruno

    17 Dicembre 2018 at 13:28

    Vorrei fare una proposta: al centro di piazza Roma installiamo una statua di Giordano Bruno. La chiesa di Biancavilla si occupi di poveri, immigrati, disagi sociali anziché pensare a queste scemenze medievali. Vergogna.

  5. D'Urso

    17 Dicembre 2018 at 13:25

    Ma la chiesa di Biancavilla, soprattutto quella Madre, è piena di bigotti, arretrati e permalosi. Di cosa vi stupite?

  6. ANNA STISSI

    17 Dicembre 2018 at 12:04

    Ma guarda un po’, non sapevo che ci fosse della competizione tra Madonna del Rosario e Madonna dell’Elemosina, pensavo si trattasse della stessa persona! E non sapevo nemmeno che la Madonna dell’ELEMOSINA non facesse parte della Sacra famiglia.! Ma che errore madornale!! Ci voleva proprio la signora che ha scritto l’articolo a farcelo notare!!
    A parte l’ironia, consiglio la signora ” credente” a rivedere il suo credo forse le manca qualche tassello di importanza fondamentale

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Detto tra blog

Mafia a Biancavilla, quei fallimenti educativi al di là della cronaca

Il processo “Ultimo atto” e gli spunti di riflessione sui “buoni” e i “cattivi” che vivono a fianco

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Una comunità di persone vive anche di queste informazioni, ossia illustrare le attività investigative delle proprie agenzie di controllo. «Blitz “Ultimo atto”, la Procura chiede 125 anni di carcere per 13 imputati», è l’articolo con cui Biancavilla Oggi ci aggiorna sul «rito abbreviato per Pippo Mancari “u pipi” e i suoi picciotti, accusati di mafia, droga ed estorsioni». Normalmente è così: si parla dell’organo che ha indagato, del reato, possibilmente con le ipotesi del guadagno illecito, le attività criminose, i comportamenti, le vittime, spesso senza nome, o soltanto alcune di quelle che in realtà hanno subito. Poi si passa ai criminali, le facce, gli anni di galera previsti, l’attesa del giudizio. Tutto in una sequenza che sembra esaustiva e completa. Poi vedremo le condanne, la sentenza, l’appello, etc.

Questo ci basta? Ci basta questo per sentirci a posto come cittadini? Sembra di assistere ad un canovaccio uguale e distante da noi, anche se stiamo parlando di persone e gente che incontriamo ogni giorno. Mi chiedo: questa operazione di polizia e la sua divulgazione ci bastano per la nostra idea di comunità? Non c’è forse un tratto di vita tra carnefici e vittime che ci potrebbe interessare di più? La frattura al contratto sociale si ricompone da sola? Mi chiedo. Loro sono i cattivi, o quelli che hanno sbagliato – e si vede dalle facce – e noi siamo i buoni? È proprio così?

In realtà nelle strade e nelle piazze siamo lì, insieme, ognuno per la propria vita, ma tutti accanto l’uno all’altro. Questo tipo di notizie, che diventano solo cronaca, non sono fin troppo indifferenti alla vita di chi ha sbagliato e di chi ha subito il torto.

Come possiamo fare per capire ciò che potremmo fare in termini comunitari? Perché si continua a chiedere il pizzo e si continua a spacciare, nonostante le pene previste? Parlo ovviamente in termini generali e non su questo caso specifico.

Io penso che dove si commette un reato di questa portata, qualcosa non ha funzionato anche prima ed anche in tutti noi. In questa comunità di persone c’è stato un fallimento. Reati del genere coinvolgono molte più persone, atteggiamenti, comportamenti, amicizie, conoscenze. Un mare di persone. E molto tempo prima ha lasciato che le cose sfuggissero di mano. Reati del genere parlano di fallimenti educativi in primis, poi di tante altre cose. C’è il momento della condanna, dopo le indagini, ma il momento per comprendere come siamo arrivati, un’altra volta a queste situazioni quando? Quando comprenderemo di quali passaggi è fatto un percorso di comunità in questa direzione?

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