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Cultura

Come vola il gheppio? Ce lo dicono i suoi nomi (a Biancavilla e dintorni)

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Ho letto su Biancavilla Oggi la lieta notizia del salvataggio di un gheppio, incapace di volare perché trovato con un’ala spezzata, e mi sono chiesto: ma come vola il gheppio quando ha entrambe le ali efficienti? Vediamo di scoprirlo dai suoi nomi dialettali. A Biancavilla e in qualche altro centro etneo il gheppio (Falco Tinnunculus) si chiama cazzavèntulu, ad Adrano cazzavintru, a Bronte cazzaventu. In altri luoghi della Sicilia il suo nome è ancora più trasparente, cioè cacciaventu. Si tratta dunque di un composto di verbo, caccia(ri)/cazza(ri) ‘cacciare, allontanare, scacciare’, + Nome, ventu ‘vento’, motivato dal suo modo di volare. Il gheppio, infatti, quando vola in cerca di prede, per lunghi periodi “fa lo spirito santo”, un’espressione che nel linguaggio degli ornitologi designa i piccoli movimenti delle ali con cui questo falconide riesce a mantenere una posizione di stallo in un punto dello spazio anche per molti minuti, come se fermasse o allontanasse, appunto, il vento, o come se si facesse attraversare da esso.

Questo tipo di composto con la parola ‘vento’, per altro, non è isolato; esistono infatti altri nomi del gheppio che hanno una motivazione simile. Uno di questi è il sic. cerniventu, da cèrni(ri) ‘setacciare’ + ventu, a cui si possono aggiungere il  calabrese fricaventu, con il calco greco moderno ανεμογαμης ‘fottivento’, lo spagnolo papaviento, il portoghese papaventos, lett. ‘pappavento’. Al motivo del ‘setacciare (il vento)’ rimandano altre denominazioni siciliane come criveḍḍu, criveḍḍa, criviḍḍu, crivella, che potrebbero essere, tuttavia, dei prestiti gallo-italici, come dimostrano il piemontese crivel, il genovese crivelu, il savonese crivella ecc., tutti nomi del gheppio.

Altri nomi siciliani sono cristareḍḍa, con la variante tistareḍḍa, e jizzu, con la variante morfologica jizza. Quanto alla derivazione, cristareḍḍa è un prestito dal francese antico cresterel(v)elle e cresterel (francese moderno crécerelle); jizzu e jizza, insieme all’italiano ghezzo, risalgono, invece, al grecismo latino Aegyptiu(m) ‘scuro di carnagione’, ma propriamente ‘egizio’. A un altro grecismo latino, aegypiu(m) ‘avvoltoio’, risale, infine, l’italiano gheppio.

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Cultura

Il Corpus Domini a Biancavilla: festa del pane, della terra e… dei nuovi immigrati

Non solo rito religioso, ma anche memoria agricola e ponte tra passato contadino e presente multiculturale

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Mentre la sfera del sole raggiunge il suo punto più alto nel cielo, riscaldando le giornate della Piana di Catania, a Biancavilla comincia un rituale antico, scandito dal ritmo della natura: è il tempo della mietitura del grano. Un tempo, questo, che significava benessere e sostentamento per l’intera comunità. La terra, scura e generosa alle pendici dell’Etna, restituiva mesi di attesa e di lavoro con il frumento dorato, simbolo di ricchezza e sopravvivenza.

Il grano dava da mangiare a tutti: non solo ai proprietari dei campi, ma anche e soprattutto alle centinaia di braccianti impiegati a mietere, trebbiare e mondare i preziosi chicchi. In tempi difficili, segnati dalla miseria e dalla fame, l’abbondanza di un raccolto costituiva motivo di festa: la fatica era ripagata dalla certezza che per un altro anno si sarebbe avuto pane sulla tavola.

“U Signuri” e i quartieri in festa

In questo stesso mese di giugno, che prelude all’estate, Biancavilla celebra una delle sue feste più sentite: u Signuri. Una festa che unisce il sacro al quotidiano, il cielo e la terra, e che parla proprio del pane spezzato, dell’Eucaristia che diventa presenza divina tra la gente.

Il caldo estivo fa uscire di casa anche i più restii, e “a chiazza” si anima di voci, volti, incontri. È davvero la festa dei quartieri, della cooperazione tra vicini di casa che si traduce in bellezza.

Cominciando dalla Chiesa Madre, per un’intera settimana ha luogo, a turno in tutte le parrocchie, la processione d’a Sfera: il SS. Sacramento racchiuso dentro l’ostensorio che coi suoi raggi dorati richiama quelli del sole luminoso, generoso e forte.

Gli altarini con le lenzuala bianche

Un tempo, quando esisteva una sola parrocchia — la Chiesa Madre — era da lì che partiva l’unica processione. Ma dopo il 1952, con la nascita delle nuove parrocchie, ciascuna ha iniziato a organizzare la propria, coinvolgendo fedeli e volontari nel proprio territorio. E così ogni sera, tra le strade dei quartieri, si visitano sette, otto, anche dieci altarini preparati con cura e devozione agli incroci: strutture semplici, realizzate con assi di ferro o di legno, ricoperte di lenzuola bianche e ornate di fiori, cuscini, candele e luci.

Il sacerdote si ferma a ogni altarino per impartire la benedizione. Subito dopo esplodono le note della banda musicale – prima molto più diffuso, negli ultimi anni un po’ più raramente – e lo sparo di qualche mortaretto che echeggia in tutto il paese, mentre dai balconi piovono petali di fiori e si alzano i canti e le preghiere. Gli stendardi delle confraternite e i bambini, vestiti con gli abiti della Prima Comunione, aprono la strada a questo corteo sacro e gioioso, che celebra il pane spirituale ma anche, implicitamente, quello materiale, frutto della terra e del sudore dell’uomo, simbolo della prosperità che si spera per l’anno a venire.

Il pane che unisce: dalla terra ai nuovi immigrati

Non solo rito religioso, la festa del Corpus Domini è memoria agricola, è gesto collettivo, è riflesso simbolico del dono ricevuto dalla terra: il grano triturato, impastato e cotto diventa pane da condividere.

Oggi, mentre molti rimangono indifferenti, nelle piazze e tra le strade a osservare da lontano questa tradizione, ci sono anche nuovi abitanti, nuovi vicini di casa: marocchini, rumeni, albanesi, tunisini arrivati a Biancavilla in cerca di lavoro e di futuro. Molti di loro lavorano nei campi, partecipano alla mietitura, apprendono il valore della terra di Sicilia e, a poco a poco, si integrano nel tessuto vivo del paese.

Anche se le differenze religiose o culturali restano, sono sempre più frequenti i segni di partecipazione condivisa. Pure se spesso guardano stupiti perché qualcuno di quei gesti rimane incomprensibile e strano, molti si fermano a osservare in silenzio le processioni, riconoscendo nella devozione di quelle persone che sfilano, qualcosa di familiare, che parla anche a loro, nei loro linguaggi, nelle loro fedi.

Il pane, allora, torna ad essere simbolo universale: spezzato, condiviso, celebrato. È un ponte tra generazioni e culture, tra passato contadino e presente multiculturale.

Tradizione che si rinnova

Nel clima pomeridiano di questo bel periodo dell’anno, Biancavilla si racconta attraverso la festa del Corpus Domini: una tradizione che si rinnova, che accoglie e che tiene insieme. Il mistero del pane e della presenza divina ci parla anche del lavoro dei campi e della forza della comunità, in un rituale che unisce il sacro e l’umano, il locale e il globale, il passato e il futuro e si riscopre non solo paese agricolo ma comunità che accoglie, che ascolta e che vuole evolversi senza dimenticare.

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Cultura

Frammenti di ricordi sugli anni ’50, ’60 e ’70 raccontati da Giuseppe Petralia

“Ci fu un tempo in cui…”: a Villa delle Favare, SiciliAntica ha presentato il libro del cronista biancavillese

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Un tuffo tra gli anni Cinquanta e Settanta, tra personaggi, quartieri e abitudini di vita di un tempo. Racconti di gioventù, aneddoti, figure emblematiche e momenti quotidiani che oggi appartengono alla memoria collettiva.

È questo il cuore del libro “Ci fu un tempo in cui… frammenti di ricordi su fatti e personaggi“, firmato dal giornalista Giuseppe Petralia e pubblicato da Algra Editore. L’opera è stata presentata a Biancavilla, nella sala conferenze di Villa delle Favare, in un incontro promosso da “SiciliAntica”.

Ad aprire la conversazione è stato Enzo Meccia, presidente dell’associazione, che ha presentato l’autore e sottolineato il valore dell’opera nel contesto della memoria storica locale.

Ad accompagnare la presentazione, l’intervento di Salvuccio Furnari, cultore di Storia Patria, che ha offerto una lettura appassionata e coinvolgente del volume, mettendo in luce l’efficacia narrativa dell’autore nel restituire atmosfere e personaggi ormai scomparsi. Petralia descrivere la bellezza dei personaggi e delle storie di un mondo che non c’è più, rendendolo vivo e comprensibile anche ai più giovani. Lo fa, proponendosi non come scrittore ma con gli strumenti del cronista.

Nel libro, infatti, Petralia raccoglie esperienze e fatti vissuti, attingendo alla sua lunga carriera giornalistica e a una collaborazione cinquantennale con il quotidiano “La Sicilia”. E come cronista è animato dal desiderio di trasmettere ai lettori – e in particolare alle nuove generazioni – uno spaccato autentico di vita, quando «senza cellulari e computer, si sapeva vivere meglio».

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