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Grido d’allarme da Piano Rinazze: «No ai rifiuti, sarebbe catastrofe»


Si sono costituite in comitato le aziende agricole, allarmate dai progetti di trattamento rifiuti previsti in un’area che, con l’indotto, dà lavoro ad oltre 500 persone. Timori di perdere i marchi di qualità, i benefici per le “Aree interne”, i mercati europei. Rabbia per il silenzio del Comune, che ha già dato parere favorevole ad un impianto.


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Da sinistra, Salvatore Rapisarda, Giovanni Crispi, Antonio Bonanno e Gabriele Barbera

Si sono costituite in comitato le aziende agricole, allarmate dai progetti di trattamento rifiuti in un’area che dà lavoro a 500 persone. Timori di perdere i marchi di qualità, i benefici per le “Aree interne”, i mercati europei. Rabbia per il silenzio del Comune, che ha già dato l’ok ad un impianto.

 

di Vittorio Fiorenza

«Il rischio di fare scomparire il profumo della zagara e sostituirlo con il fetore della spazzatura è concreto». Le aziende agricole di Piano Rinazze sono in allarme per i progetti dei due impianti di trattamento dei rifiuti, proprio nel cuore dell’agrumicoltura etnea. Puntano il dito contro il Comune per avere “nascosto” i progetti, i cui dettagli sono stati svelati e posti all’attenzione dell’opinione pubblica soltanto dal lavoro giornalistico condotto da Biancavilla Oggi e dal quotidiano “La Sicilia”.

Ce l’hanno con la politica che tenta di sfigurare il volto di quest’area, che conta una ventina di aziende e, con l’indotto, dà lavoro ad oltre 500 persone. Costituite in comitato, promettono battaglia sul fronte politico, mediatico e legale.

Nella sede del Consorzio Euroagrumi si è tenuta una prima riunione, a cui hanno partecipato pure Antonio Bonanno, esponente del Centrodestra (il primo che ha sollevato il caso) e il consigliere Mario Amato. Ma, in senso trasversale, altre forze politiche si sono già attivate, all’Ars, a Montecitorio e a Palazzo Madama, per fare luce e intraprendere le azioni necessarie.

A sintetizzarne gli umori è Salvatore Rapisarda, presidente del consorzio che raggruppa i produttori: «Qui ci sono imprenditori che hanno speso la loro esistenza per tirare su le aziende. Siamo molto preoccupati. Questa è un’area nella quale insistono i prodotti più pregiati di Sicilia e in cui è stato costituito uno dei primi Bio distretti d’Europa sulle sponde del Simeto e di una valle di valenza straordinaria. A suo tempo, l’ex ministro Barca parlò di finanziamenti per questo territorio, nell’ambito delle cosiddette “Aree Interne”, legati all’agricoltura di qualità e sostenibile. È in questa direzione che dobbiamo andare».

Per la parte di sua competenza, il Comune ha comunque già dato parere favorevole ad un impianto, quello della Greenex. In itinere quello della Ch4 Energy. «Vogliamo chiarezza –dice Rapisarda– dalla parte politica che ha seguito questi progetti, certo è che anni di sacrifici non possono essere compromessi dalla superficialità o, peggio, dalla malafede. Spero si tratti solo di superficialità».

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Una rappresentanza delle aziende agricole di Piano Rinazze

Quello degli imprenditori agricoli è un coro unanime. «Sarebbe una distruzione, non soltanto per l’agrumicoltura ma per l’intero paese perché questi impianti, in linea d’aria, disterebbero dal centro abitato appena tre chilometri. La presenza delle strutture –sottolinea Giovanni Crispi dell’azienda “Portobello”– comporterebbe seri problemi con i nostri clienti esteri. Questo è il luogo meno opportuno in cui collocare questi insediamenti. La cosa peggiore in assoluto è che abbiamo saputo tutti i dettagli per vie traverse e grazie al lavoro della stampa, ma non dall’amministrazione comunale, che ci ha tenuto all’oscuro».

L’idea che i rifiuti mettano in ginocchio l’economia agricola fa parecchio paura, in questa zona a due passi dal fiume Simeto e con l’Etna che si mostra come in una bellissima cartolina. Per Antonio Bonanno della “Sicil sapori” «andrebbero in fumo tutte le nostre certificazioni Igp e Dop che ci siamo sudati una vita. Chi comprerà mai i nostri prodotti se si saprà che lavoriamo a fianco ai rifiuti? Tutti ci scarteranno, si perderanno posti di lavoro, sarà una catastrofe».

A preoccupare maggiormente è il progetto della Greenex, che prevede un sistema di multi-combustione e tra i produttori non convincono affatto le rassicurazioni tecniche di rito su emissioni e odori. Gabriele Barbera della “Fruit for life”: «Stare a fianco a questi impianti sarebbe di per sé un problema, nei fatti questa zona si vorrebbe trasformare in “discarica”. Cosa che pregiudicherebbe il lavoro fatto negli anni. Ogni anno i nostri clienti esteri vengono nelle nostre aziende a valutare i prodotti ma anche il contesto in cui lavoriamo. Non sarebbe un bel biglietto da visita se vedessero impianti per i rifiuti e viavai di autocompattatori».

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Un momento dell’incontro nella sede del Consorzio Euroagrumi

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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2 Commenti

2 Commenti

  1. carmelo

    19 Giugno 2017 at 20:43

    Basti pensare a chi sono i proprietari dei terreni su cui dovrebbe essere realizzato tale impianto, per capire la manovra economica che c’è dietro. E’ una vergogna, a prescindere dalla eventuale nocività che dovrà ancora essere accertata.

  2. Alba

    17 Giugno 2017 at 10:39

    Chi ha dato parere favorevole a questo progetto scellerato non sa proprio niente al riguardo… cmq alla zona industriale di Catania ne era aperta qualcuno….ma vi sono state diverse denuncie da tutte quelle persone che lavorano in torno per l’odore sgradevole ….Aime Biancavilla e’ messa proprio male grazie al sindaco glorioso….

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Amianto, reportage da Biancavilla tra fatalismo ed enigmi ancora irrisolti

Circa 70 morti per tumore alla pleura, ma è allarme anche per altre patologie: sconosciute le cause

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© Foto Biancavilla Oggi

Il pericolo è nell’aria. Gli avvisi affissi lungo la recinzione metallica sono a caratteri cubitali: “Vietato l’ingresso, attenzione zona a rischio”. Siamo a Biancavilla, 23mila abitanti, ma la cartellonistica è da “Area 51”. E in effetti, l’alieno c’è. È un minerale fibroso altamente cancerogeno – annidato tra i rilievi di rocce vulcaniche qui chiamati di “Monte Calvario” – generato in epoche remotissime dai bollori dell’Etna e dai capricci delle eruzioni laviche. Sconosciuto in natura fino a quando, nel 2001, il prof. Antonio Gianfagna, ricercatore dell’Università “La Sapienza”, ne traccia l’identikit. È una nuova fibra, di colore giallo, simile all’amianto, a cui Gianfagna dà il nome di “fluoro-edenite”, registrandola all’International Mineralogical Association. Per uno scienziato della terra equivale alla scoperta di un pianeta da parte di un astronomo. Lo studioso de La Sapienza, tornato sei anni dopo sul “luogo del delitto”, scopre un secondo minerale ignoto: è la fluoroflogopite.

Eppure, non c’è da gloriarsi se monte Calvario sia diventato un geosito di interesse mondiale e Biancavilla sia finita negli abstract della letteratura scientifica internazionale con la fibrillazione di geologi, epidemiologi ed operatori della sanità pubblica.

Diverse attività di cava presenti nella zona di monte Calvario (un’appendice urbana estesa per 20 ettari), fin dagli anni ’50 hanno frantumato e sbriciolato le rocce laviche. Un ottimo materiale per l’edilizia, ma il risultato è che gran parte degli edifici del paese sia “contaminata” dalla fibra, riconosciuta cancerogena nel 2014 dall’International Agency for Research on Cancer, riunita a Lione con 21 esperti di 10 paesi europei per apporre il timbro dangerous sulla ‘polvere’ di Biancavilla.

«Un’epidemia di tumori pleurici»

«Un caso straordinario di inquinamento naturale dovuto ad un minerale che, disperso nell’aria e inalato, provoca effetti sulla pleura, la membrana di rivestimento dei polmoni», avevano sentenziato già i primi studi alla fine degli anni ‘90. Di morti per mesotelioma pleurico, a Biancavilla, se ne contano ufficialmente 70 negli ultimi 35 anni, ma si stima che i decessi reali siano il doppio.

«Una piccola epidemia di tumori pleurici», l’aveva definita Pietro Comba, quando da dirigente dell’Istituto Superiore di Sanità era stato tra i primi ad interessarsi del caso. Sì, proprio un’epidemia con percentuali anomale. Nel periodo 1980-2010, per esempio, si sono avuti 6 decessi per mesotelioma in persone al di sotto dei 50 anni contro 0,6 attesi: una mortalità 10 volte superiore. Anche in età giovanile, anche tra le casalinghe: a riprova che il rischio sia ambientale.

Qui, fare una banale manutenzione edile, stare fuori in giornate ventose o semplicemente… respirare costituiscono azioni a rischio. La vittima più giovane finora registrata è una ragazza di 27 anni.

«Mio figlio Dino, morto in 5 mesi»

Nell’elenco dei decessi per mesotelioma c’è anche Dino Ingrassia: è morto nel 2011 ad appena 33 anni, lasciando tre bambini. La mamma, Giusi Tomasello, è tra i pochi ad esporsi. La sua testimonianza umana e civile dà un’anima alle fredde statistiche. All’ingresso della sua abitazione, il manifesto mortuario ricorda il figlio con la sottolineatura “vittima dell’amianto”, la stessa riportata sulla tomba.

«Tosse e stanchezza – ricorda – sono stati i primi sintomi accusati da mio figlio. Pensava fossero passeggeri. Andava a lavorare, prendendo uno sciroppo per poi passare agli antibiotici. Ma già dalla prima visita e dalle radiografie, i medici non ci hanno visto bene e la diagnosi di mesotelioma pleurico è arrivata presto. Non sapevo nemmeno l’esistenza di questa malattia».

La signora parla con voce tremante e gli occhi lucidi: «Mio figlio se n’è andato in meno di 5 mesi e gli ultimi 26 giorni – dopo un intervento chirurgico – li ha passati in Rianimazione all’ospedale “Garibaldi” di Catania. Era nel pieno della vita quando ha lasciato i suoi tre bambini, il più piccolo dei quali di 10 mesi. Ora penso agli altri miei tre figli e ai miei nipoti. Mi preoccupo per loro e, se ci sono giornate ventose, l’angoscia è più forte. Vivo nel terrore e nella paura, mi auguro che monte Calvario, da cui tutto ha avuto origine, venga risanato e reso innocuo».

Monte Calvario, in attesa della bonifica

Ecco, appunto: riflettori accesi su monte Calvario. Se nel 1998, le attività di cava erano state interrotte con ordinanza dell’allora sindaco Pietro Manna, la culla della fluoro-edenite è da bonificare per farne un grande parco verde. I lavori – attesi da 25 anni – sono cominciati formalmente lo scorso febbraio.

Un iter lungo e tortuoso, come ricorda il sindaco Antonio Bonanno, mentre si addentra sui dossier ‘amianto’ sparsi sulla sua scrivania: «Nel 2026 dovremmo vedere quell’area – sorgente di morte e dolore – trasformata in un “parco della vita” fruibile dalla nostra città».

Nell’attesa di poterci andare a passeggiare e che la città abbia il suo polmone sano, tutt’intorno la vita quotidiana procede incurante del nemico invisibile. Un bambino scorrazza in bicicletta, sollevando un polverone ogni volta che passa sul terriccio. Poco più in là, in un magazzino, operai sono alle prese con dei bancali. Dal balcone di casa, una donna scuote la tovaglia tolta dalla tavola, a pranzo terminato. «Io vivo qua da quando sono nato, di qualcosa si deve pur morire», dice un anziano, in linea con il fatalismo dei biancavillesi: se il pericolo non è visibile – è l’assurdo ragionamento dominante – perché allarmarsi?

Oltre 4000 immobili da sanare

Sia chiaro: monte Calvario non è l’ultimo step della bonifica. Secondo l’Ufficio Tecnico Comunale, ci sono 4300 case costruite nel periodo 1956-1998 con materiale di cava. Gli intonaci esterni (complessivamente 2 milioni di metri quadri) andrebbero messi in sicurezza con “vernici incapsulanti”, così come già fatto negli edifici pubblici una quindicina di anni fa.

Sarebbe una bonifica ambientale di un intero centro abitato senza precedenti al mondo, con costi stimati in 150 milioni di euro, a cui aggiungerne altri 2,5 per realizzare una discarica di inerti. Un gigantesco intervento che, sommato ad accorgimenti di prevenzione durante i lavori edili, farebbe scendere verso lo zero il rischio dell’inalazione delle fibre aerodisperse. 

Certo, nel fascicolo di indagine sul minerale-killer ci sono ancora tanti punti oscuri, a cominciare dal dettaglio drammatico che nel centro etneo la mortalità e i ricoveri ospedalieri siano in eccesso non solo per neoplasie alla pleura, ma anche per altre patologie.

L’allarme del rapporto “Sentieri”

Sul banco degli imputati, figura ancora la fibra di monte Calvario. A confermarlo è il sesto rapporto Sentieri sul monitoraggio dei siti italiani contaminati, appena pubblicato dal ministero della Salute e dall’Istituto Superiore di Sanità.

«Vanno implementati – riporta il capitolo su Biancavilla – studi specifici sul comportamento della fluoro-edenite, in particolare per l’azione fibrogena sul polmone. Sono ignoti, inoltre, gli eventuali effetti di questa fibra a carico di altri apparati, come quello cardiocircolatorio, le cui patologie in questo sito si confermano costantemente in eccesso».

Tumori polmonari, placche pleuriche e patologie dell’apparato respiratorio hanno un’incidenza fuori norma.

«Vanno proseguiti – raccomanda il rapporto – la sorveglianza sanitaria della popolazione di Biancavilla e il monitoraggio ambientale per identificare le fonti di esposizione potenzialmente ancora presenti, indagando i livelli di esposizione in tutte quelle attività che comportino movimentazione del terreno e rilascio di fibre da intonaci e opere murarie».

Biancavilla, un paese-laboratorio

Una storia che non può ancora essere archiviata, dunque. Biancavilla resta un paese-laboratorio con enigmi irrisolti. Così, un altro triste primato del centro etneo – una settantina di soggetti colpiti da sclerosi multipla, cioè il doppio rispetto a quelli attesi – potrebbe essere spiegato scrutando ulteriormente sulla geologia territoriale.

Trattandosi di malattia neurologica, la fluoro-edenite non dovrebbe avere responsabilità. Ma potrebbero influire altri fattori ambientali o sostanze naturali, come ipotizza un primo studio del Policlinico di Catania. Se il minerale-killer è stato scovato, ora tocca dare la caccia ai suoi complici.

(Tratto da S – il mensile d’inchiesa dei siciliani / Marzo 2023 / di Vittorio Fiorenza)

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