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Cronaca

Biancavilla e il pentito La Causa: il vuoto di potere e poi la guerra

L’audio dell’ex n.1 di Cosa Nostra catanese: «A Biancavilla non avevamo nessuno…»

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Un referente in ogni paese della provincia. A Paternò, ad Adrano, a Bronte… Ma non a Biancavilla. Cosa Nostra catanese, nel suo piano di riorganizzazione, aveva preferito lasciare il feudo dei Toscano-Mazzaglia-Tomasello in “osservazione”. Il motivo? Lo accenna il pentito Santo La Causa, ex reggente della mafia santapaoliana, nell’udienza del processo Iblis del 17 gennaio 2013. Rispondendo alle domande del pubblico ministero Agata Santonocito, giunto alla parte in cui fa la mappa dell’organizzazione in provincia di Catania, La Causa sottolinea che a Biancavilla «non c’erano persone perché erano quasi tutti in carcere». Uno stralcio audio che pubblichiamo qui sopra, tratto dal sito di Radio Radicale.

Un vuoto di potere provocato dai continui arresti e blitz delle forze dell’ordine, dunque, quello evidenziato per Biancavilla da La Causa. Al punto che, a differenza di quanto accade in altri centri con uomini “seri ed equilibrati”, a Biancavilla non viene indicato alcun “capogruppo” e il capo dei capi della mafia catanese non può fare da “padrino” a nessuno.

Man mano che le vecchie conoscenze del clan biancavillese lasciano il carcere, quel vuoto tenta di essere riempito. Ma senza un accordo condiviso. Manca la figura di un boss capace di godere della fiducia di tutti. Ecco quindi che la spaccatura tra anime contrapposte è inevitabile e i dissidi sfociano in agguati sanguinari, da Giuseppe “Fifiddu” Mazzaglia ad Alfredo Maglia, per citare solo i nomi di vertice di chi ha tentato di stabilire un dominio. Un fermento criminale continuo e inarrestabile. Fino ai giorni nostri.

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L’ultimo episodio, ovvero il ferimento di Giuseppe Amoroso “l’avvucatu”, a distanza di due mesi dal precedente tentato omicidio, quello di Giuseppe Mancari “u pipi”, mostra quanto l’ebollizione criminale nel centro etneo sia ancora forte. Così la mafia biancavillese –caso unico nello scenario siciliano– si fa la guerra e si spara addosso, utilizzando un linguaggio –quello del piombo di pistole e fucili– che riporta ad altri tempi.

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Non c’è soltanto la lotta per il potere. I morti ammazzati e i tentativi di omicidio subiti da entrambe le fazioni in campo determinano pure desideri di vendetta e rigurgiti di odio che vanno al di là del controllo dei traffici illeciti. Leggendo gli atti dell’operazione “Garden”, di cui Biancavilla Oggi ha svelato in esclusiva retroscena e dettagli inquietanti, non emergono episodi legati allo spaccio di droga e le estorsioni hanno uno spazio marginale. Ciò che hanno un peso nell’inchiesta sono le armi da guerra e la smania di uccisioni, in risposta al delitto di Alfredo Maglia e, soprattutto, del nipote Nicola Gioco, la cui famiglia l’ha ritenuto un affronto insopportabile.

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«Abbiamo fermato la mafia di Biancavilla, che stava diventando pericolosa», accennò diversi mesi prima che scattasse il blitz l’allora procuratore capo Giovanni Salvi in un’intervista a Tony Zermo su “La Sicilia”. Avviata l’operazione “Garden”, divenne esplicito che l’allusione era al continuo monitoraggio di conversazioni e spostamenti interni al gruppo Maglia-Gioco che alla fine consentì di sventare altri omicidi e vendette. Un prezioso risultato investigativo: la risposta dello Stato seguita a quel ping pong mortale del gennaio 2014.

Ma gli ultimi, inquietanti agguati, il primo nel viale Europa, l’altro in contrada “Erbe bianche”, mostrano quanto la mafia biancavillese non abbia ancora trovato una stabilizzazione. Per riempire quel vuoto di potere di cui parlava Santo La Causa, la guerra è in corso.

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Cronaca

Operazione “Ultimo atto”, avviato il processo anche per altri sei imputati

Segue il rito abbreviato un altro troncone, con il presunto reggente del clan e 12 suoi picciotti

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Prima udienza dibattimentale del processo scaturito dall’operazione antimafia “Ultimo atto”, condotta dai carabinieri a Biancavilla, nel settembre 2023. Alla prima sezione penale del Tribunale di Catania (presidente Riccardo Pivetti) al via il processo a carico di sei imputati: Carmelo Militello, Nicola Minissale, Ferdinando Palermo, Alfredo Cavallaro, Maurizio Mancari e Francesco Restivo. Altri 13 seguono, invece, il rito abbreviato e per i quali la Procura ha chiesto condanne per 125 anni complessivi di reclusione. Si tratta del gruppo che fa capo a Pippo Mancari u pipi (anche lui imputato in abbreviato, per il quale sono stati chiesti 12 anni di reclusione).

Siamo alle udienze interlocutorie: si procederà ora alle richieste di prova e al conferimento ai periti per la trascrizione delle intercettazioni. Dialoghi telefonici ed ambientali che hanno fatto emergere un organigramma con vecchie facce e giovani rampanti e una rete di affari illeciti.

Non soltanto estorsioni (ai danni di sei imprenditori e commerciati, oltre che agli ambulanti e ai giostrai della festa di San Placido). Ma anche traffico e spaccio di droga: un mercato sempre fiorente. E poi, la cosiddetta “agenzia”. Due società di trasporto su gomma, che, secondo gli inquirenti, per lunghi anni era stata nelle mani dei clan di Adrano e Biancavilla, imponendo il monopolio assoluto nei servizi rivolti soprattutto ad imprese della lavorazione di agrumi. Carmelo Militello e Ferdinando Palermo, in particolare, sarebbero i due uomini chiave della “agenzia”. Un’attività sottoposta a sequestro finalizzato alla confisca per un valore di circa 3 milioni di euro.

Gli altri componenti del gruppo che hanno scelto il rito abbreviato sono, oltre a Pippo Mancari: Giovanni Gioco, Salvatore Manuel Amato, Placido Galvagno, Piero Licciardello, Mario Venia, Fabrizio Distefano, Nunzio Margaglio, Alfio Muscia, Carmelo Vercoco, Cristian Lo Cicero e Marco Toscano. Imputato è anche Vincenzo Pellegriti, che del gruppo si è disassociato, entrando nel programma di protezione per i collaboratori di giustizia. Le sue dichiarazioni sono state utilissime all’inchiesta, coordinata dal sostituto procuratore Andrea Bonomo.

In entrambi i procedimenti si sono costituiti parte civile il Comune di Biancavilla (su delibera della Giunta del sindaco Antonio Bonanno, rappresentata dall’avv. Sergio Emanuele Di Mariano) e l’associazione Libera Impresa (rappresentata dall’avv. Elvira Rizzo). Non figura, invece, nessuna delle vittime di estorsione. Assenti: come da consueta tradizione omertosa.

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