Cronaca
Il “virus” che mina l’impalcatura dell’inchiesta antimafia “Garden”
ESCLUSIVO. Verso il processo i 13 coinvolti nell’operazione della Dda di Catania di un anno fa. Ma c’è il rischio che gran parte delle intercettazioni (secondo la Cassazione effettuata con metodi invasivi ed illegittimi) non possa essere utilizzata. Una beffa che potrebbe adesso alleggerire il bagaglio probatorio.
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ESCLUSIVO. A processo i 13 coinvolti nell’operazione della Dda di Catania. Ma c’è il rischio che gran parte delle intercettazioni (secondo la Cassazione effettuata con metodi illegittimi) non possa essere utilizzata. Una beffa che potrebbe adesso alleggerire il bagaglio probatorio.
di Vittorio Fiorenza
Un virus informatico, servito in fase di indagine per scoperchiare attività illecite, rischia di minare adesso l’impalcatura dell’operazione antimafia “Garden”, condotta dalla Dda di Catania su un gruppo del clan di Biancavilla. Ad un anno dal blitz della polizia con 13 ordinanze di custodia cautelare per associazione mafiosa, arsenale d’armi ed estorsioni, al palazzo di giustizia è tempo di avviare il processo.
Ma ci sono degli inghippi. E si intravede un possibile, clamoroso scenario a causa di intercettazioni hi-tech efficaci ma non consentite. In nove saranno sottoposti a rito abbreviato: l’udienza prevista ieri, è stata rinviata a febbraio per incompatibilità del giudice. Rito ordinario per altri quattro: prima udienza stamattina, ma pare che subirà un rinvio.
Al di là degli slittamenti, però, la schiera di legali punta a bollare come “inutilizzabile” gran parte delle intercettazioni. Gli investigatori hanno usato una tecnica “a strascico”, inviando un virus agli smartphone degli indagati che ha convogliato il traffico dati ed attivato da remoto microfono e videocamera.
Una modalità invasiva illegittima, secondo la Cassazione, a cui si è rivolto l’avv. Giuseppe Milazzo, uno dei legali degli arrestati. «Operazione esulante dalla normativa», ha sentenziato la Suprema Corte, in quanto così «le intercettazioni non sono soggette a restrizione né temporale né spaziale», come invece vuole la legge. Parole che fanno giurisprudenza e che mettono in guardia inquirenti ed investigatori per il futuro.
Quali, ora, gli effetti sul processo “Garden”? L’inammissibilità di parte dei file audio e degli sms significherebbe buttare via un consistente bagaglio di materiale probatorio e colpire il cuore dell’inchiesta. Un vizio formale, certo, su cui i difensori faranno leva.
Eppure, quelle intercettazioni racconterebbero un “romanzo criminale” con smanie di potere e vendette sanguinarie, all’interno dello storico clan. Grazie alle quali, la Dda (dopo gli omicidi di Alfredo Maglia, Agatino Bivona e Nicola Gioco) avrebbe sventato altri due delitti (uno il giorno di San Placido dell’anno scorso).
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«Abbiamo bloccato la mafia di Biancavilla, stava diventando troppo pericolosa», esultava l’allora procuratore capo Giovanni Salvi. Un successo che potrebbe essere raffreddato da una gelida beffa.
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Cronaca
Stranieri sfruttati sul lavoro: nei guai biancavillese a capo di una cooperativa
L’uomo, presidente del Consiglio di amministrazione, denunciato assieme ad altre due persone

Un 32enne di Biancavilla, con precedenti penali, è fra i tre denunciati dal Nucleo Ispettorato del Lavoro di Catania nell’ambito di controlli contro lavoro irregolare e caporalato. L’uomo, presidente del consiglio di amministrazione di una cooperativa agricola, è ritenuto responsabile di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
I controlli hanno portato alla luce un sistema illecito di reclutamento e impiego della manodopera. Le vittime sono due lavoratori stranieri in condizioni di forte vulnerabilità.
Oltre al biancavillese, sono sotto indagine un 38enne marocchino residente ad Adrano, incensurato, che agiva come caporale e intermediario per conto della stessa cooperativa, e un altro 38enne di Scordia, con precedenti, che di fatto collaborava con l’azienda.
Secondo quanto emerso dagli accertamenti, i lavoratori extracomunitari venivano impiegati in condizioni lavorative ritenute altamente degradanti. Evidenziati retribuzioni ben al di sotto di quanto previsto dal contratto collettivo nazionale, turni di lavoro eccessivi e ambienti privi delle minime misure di sicurezza.
L’indagato di origini marocchine è inoltre accusato di estorsione. Avrebbe minacciato uno dei due lavoratori di licenziamento se non gli avesse restituito parte della già esigua paga percepita.
A conclusione delle attività, i due lavoratori sono stati affidati a una struttura protetta, gestita da un’organizzazione internazionale per le migrazioni. Adesso potranno ricevere assistenza e protezione.
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Cronaca
Evade dai domiciliari per le sigarette alla moglie: «È un inferno se non fuma»
Singolare “giustificazione” di un 52enne residente a Biancavilla in giro con la bicicletta a Catania

I carabinieri della stazione di Catania Playa hanno arrestato un pregiudicato 52enne, residente a Biancavilla ma domiciliato a Catania, nella zona di Ippocampo di Mare. L’uomo doveva trovarsi ai domiciliari per reati contro il patrimonio. Però, i militari lo hanno sorpreso mentre, in bici, percorreva via San Francesco La Rena. Ha tentato di passare inosservato con il volto coperto da cappuccio e sciarpa, ma è stato fermato e identificato.
Di fronte alla constatazione della violazione, il 52enne ha cercato di giustificare la sua presenza fuori casa con una spiegazione singolare. Ha sostenuto di essere uscito per acquistare le sigarette alla moglie, una “accanita fumatrice” che, in mancanza di nicotina, si sarebbe irritata al punto da trasformare la giornata in un “inferno domestico”.
Una giustificazione che non ha però evitato l’arresto, eseguito sulla base degli elementi raccolti e ora al vaglio dell’Autorità Giudiziaria, che ha convalidato il provvedimento e disposto il ripristino della misura degli arresti domiciliari.
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