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Fine letterato, ma anche politico: Antonio Bruno sotto una nuova luce

Presentato al circolo “Castriota” il volume di Alfio Grasso, pubblicato da “Nero su Bianco Edizioni”

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Una serata con l’autore per parlare di Antonio Bruno, del suo valore di letterato, ma anche del suo impegno nella politica locale, a fianco del padre, Alfio, l’ultimo sindaco democraticamente eletto prima del fascismo.

L’autore è Alfio Grasso e il libro che ha dato lo spunto alla discussione è “Antonio Bruno, letterato e politico”, pubblicato dalla nostra casa editrice “Nero su Bianco” e finalista del premio “Giuseppe Antonio Borgese” 2019.  

L’incontro è stato ospitato presso il circolo “Castriota” di Biancavilla (presieduto da Giosuè D’Asero) con l’introduzione di Nino Longo, lo stesso che ha firmato la prefazione al volume.

La figura di Antonio Bruno – grazie al lavoro di ricerca e di analisi di Grasso – è stata dipinta sotto una nuova luce. Dalla sua adesione (interessata) al futurismo di Marinetti al suo essere attento osservatore sociale della sua epoca fio alla sua elezione al Consiglio Comunale (candidato in assoluto più votato). Un’angolazione diversa e per molti aspetti inedita, quella che Grasso ha dato dell’intellettuale biancavillese, protagonista della vita culturale di Catania ad inizio Novecento.

Alfio Grasso e la storia locale

Davanti al pubblico che ha riempito la sala del circolo “Castriota”, sollecitato da Nino Longo, Alfio Grasso ha parlato anche di un altro suo volume. “Momenti di storia paesana. Biancavilla tra fine Settecento e metà Ottocento”. Uno spaccato sulla vita sociale e politica in un’epoca cruciale che ha forgiato la comunità cittadina.

Un lavoro di ricerca – tra i tanti – che conferma la passione e il prezioso contributo di Grasso dato alla storia locale. Per “Nero su Bianco Edizioni”, oltre al volume su Antonio Bruno, ha pubblicato “Antichi versi contadini. L’agricoltura nella poesia dialettale di Placido Cavallaro (1784-1866)” e “Biancavilla contro il Duce, 23 dicembre 1923: la prima sommossa popolare antifascista”. Altri progetti di Grasso sono in preparazione con la casa editrice diretta da Vittorio Fiorenza.

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A Biancavilla “scaliari” è frugare e “a scalia” la fanno le forze dell’ordine

Ma in altre parti della Sicilia la parola (di origine latina, in prestito dal greco) ha pure altri significati

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Un proverbio che avremmo potuto leggere ne I Malavoglia, anche se nella forma del calco in italiano è Il gallo a portare e la gallina a razzolare. Come documenta, infatti, Gabriella Alfieri in uno studio dedicato ai proverbi ne I Malavoglia, Verga aveva prima aggiunto questo proverbio nel manoscritto e poi lo aveva espunto dall’opera andata in stampa. La forma siciliana del proverbio è quella registrata da Pitrè: lu gaddu a purtari e la gaddina a scaliari, il cui significato paremiologico vuole essere quello secondo cui “in una famiglia con piccoli guadagni e piccoli risparmi si riescono a fare cose di un certo valore”.

Il significato di “razzolare” che Verga attribuisce a scalïari è diverso da quello che si usa a Biancavilla, cioè “frugare”, per esempio scalïàricci i sacchetti a unu “frugare nelle tasche di qualcuno”, oppure scalïari a unu “perquisire qualcuno”; da qui la scàlia cioè la “perquisizione” operata dalle forze dell’ordine: mi poi scalïari i sacchetti, nan ci àiu mancu na lira, così in risposta a chi ci chiede de soldi.

In altre parti della Sicilia scalïari ha anche altri significati: a) “razzolare, delle galline”, b) “rovistare, rimuovere ogni cosa per cercare un oggetto”; c) “mettere tutto a soqquadro, scompigliare”; d) “rubare”; e) scalïàrisi i sacchetti vale scherzosamente “tirar fuori il denaro”, mentre f) scalïàrisi a testa significa “guastarsi la testa”, nell’Agrigentino. Nel Ragusano il modo di dire scalïari a mmerda ca feti, lett. “frugare lo sterco che puzza”, ha il significato figurato di “rimestare faccende poco pulite”. Dal participio derivano: scalïata e scalïatina “il razzolare”, “il frugare alla meglio”, “perquisizione sommaria”; scaliatu “riferito alla terra scavata e ammonticchiata dalla talpa”, nel Nisseno; in area catanese meridionale con peṭṛi scalïati si indica un “cumulo di pietre ammonticchiate alla rinfusa nei campi coltivati”.

“Scaliari” tra poesie e canzoni

Non molto adoperato nei romanzi di scrittori siciliani, scalïari è usato in poesie dialettali e in canzoni, come in questa dal titolo Tintatu dall’album Incantu, di un cantautore agrigentino che usa lo pseudonimo di Agghiastru:

Cunnucimi jusu chi l’occhi toi vasu

araciu tintatu di viriri jo.

Unn’è la to luci chi scuru cchiù ‘n sia

e scaliari a lu funnu un sia mai.

Parola d’origine latina, ma prestata dal greco

Molto interessanti, ai fini della comprensione dell’origine della parola, oltre a quello di “razzolare”, sono i significati di “zappare superficialmente” e di “rimuovere, ad esempio, la brace o il pane nel forno”. La nostra voce deriva da un latino parlato *SCALIDIARE, a sua volta prestito dal greco σκαλίζω (skalizō) “zappare, sarchiare”, voce presente nei dialetti greci di Calabria, coi significati di “zappettare”, “sarchiare”, “razzolare”, “attizzare il fuoco”, “frugare”.

Partendo, dunque, dal significato più antico, che è quello di “zappare”, si arriva, nell’ordine, a quelli di “sarchiare”, “zappare superficialmente”, “razzolare”, cioè raspare la terra con le zampe e il becco, e, infine, “frugare”, cioè cercare minuziosamente, con le mani o anche servendosi di un arnese, in ripostigli o in mezzo ad altri oggetti.

PER SAPERNE DI PIU’

“La Sicilia dei cento dialetti” di Alfio Lanaia

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