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Una famiglia tra politica ed affari: genealogia del poeta Antonio Bruno

Il padre Alfio, la madre Carolina Sciacca: “Biancavilla Oggi” ricostruisce i legami di sangue “borgese”

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Il 28 novembre 1891, alle ore 9.30, presso la casa comunale di Biancavilla, si presentava il possidente Alfio Bruno per dichiarare all’assessore Salvatore Castro la nascita del suo figlio maschio, avvenuta due giorni prima nella sua abitazione di via Vittorio Emanuele. Il 26 novembre, infatti, la moglie Carolina aveva dato alla luce il piccolo Antonio Luigi Giuseppe Garibaldi, i cui nomi se, da un lato, tradivano l’attaccamento di Alfio verso la sua famiglia d’origine, dall’altro, rivelavano anche le sue inclinazioni politiche, ispirate dalla figura e dalle gesta dell’eroe dei due mondi.

Così, il piccolo nato altri non era che Antonio Bruno, il poeta futurista recuperato alla memoria collettiva a partire dalla seconda metà degli anni ‘60 del Novecento. È solo grazie ad Ermanno Scuderi con il suo Dal Samlista ai Maudit (pubblicato nel 1966), all’intitolazione nel 1974 di una scuola media a Biancavilla e all’impegno profuso da diversi studiosi, che nell’ultimo quarantennio ne hanno indagato la produzione letteraria e il pensiero, che è oggi possibile ricordare, anche dalle pagine di Biancavilla Oggi, l’illustre letterato.

Ma, se ampiamente analizzate risultano le sue opere e la sua personalità, poco spazio è stato riservato, invece, alla genesi della sua famiglia e all’autorevolezza che essa godette già dalla prima metà dell’Ottocento. E, dunque, lecito appare chiedersi: chi erano i genitori del poeta? E chi erano i suoi avi?

Alfio Bruno, il Sindaco per antonomasia

Sul padre di Antonio, Alfio, alcune notizie sono note. Fu sindaco di Biancavilla una prima volta per il triennio 1891-1893, poi per il quinquennio 1906-1911. Ancora per alcuni mesi, in qualità di consigliere anziano, assolse a questo ruolo nel 1914 (anno in cui divenne consigliere provinciale, appoggiando il suo amico personale Giuseppe De Felice Giuffrida). E quindi, un’ultima volta dal mese di febbraio al mese di agosto del 1925.

Fu l’ultimo sindaco democraticamente eletto prima della dittatura fascista (si veda Biancavilla contro il Duce, la prima sommossa popolare antifascista di Alfio Grasso, Nero su Bianco Edizioni).

Pure il fratello di Alfio, Placido, che era stato padrino di battesimo di Antonio, ricoprì la carica di primo cittadino per un quinquennio, segnatamente dal 1915 al 1920, potendo, così, avvalorare la rilevanza del “partito” dei Bruno. Partito che riuscì a egemonizzare la scena politica biancavillese, tra l’ultimo ventennio dell’Ottocento e il primo ventennio del Novecento.

Bruno e il Campanile “laico”

Nato il 12 aprile 1865, Alfio aveva studiato legge, divenendo, subito dopo, un avvocato e, solo nel 1911, notaio. Era un uomo di notevole spessore culturale e molto audace, tanto da sapersi destreggiare agevolmente nell’ambiente politico catanese. Era cosciente dell’importanza della realizzazione di opere pubbliche.

L’esame delle carte prodotte durante la sua amministrazione e quella del fratello dimostrano, infatti, una vivacità non indifferente nell’ambito della progettazione e della realizzazione di infrastrutture, soprattutto per quanto riguarda il compimento e la manutenzione delle strade rurali.

Ma, egli riuscì a rendere partecipe il Comune anche nei lavori di rifacimento del campanile della chiesa Madre, elargendo diverse somme. I Bruno furono, così, capaci di recuperare alla collettività laica quello che era evidentemente un simbolo religioso. L’importanza del campanile risiedeva soprattutto nell’orologio. Se il suo quadrante, infatti, collocato sul lato dell’odierna Piazza Collegiata continuò a scandire il tempo sacro, quello posto sul lato dell’attuale Piazza Roma ebbe, invece, il compito di ritmare il tempo profano: il tempo entro il quale venivano costruite le relazioni personali ed erano portati a termine gli affari.

Politica, affari e relazioni

Relazioni e affari, per l’appunto: due attività che dovettero tenere impegnate molto la famiglia di Alfio. Suo padre Antonino, era un uomo nato nel 1839, un borgese che visse nel periodo di maggiore ascesa del suo ceto e che bene seppe barcamenarsi in occasione dei fatti cruenti verificatesi a Biancavilla nel 1860.

Egli si servì proprio del suo fiuto per gli affari e delle sue capacità di intessere relazioni per garantire ai suoi figli una professione liberale, funzionale all’ingresso nella tanto agognata classe dei civili e necessaria per occupare i ruoli più importanti nel governo della città.

Era stato, così, probabilmente Antonino a fare in modo che il figlio Alfio, ormai avvocato, potesse sposare nel 1887 Carolina Sciacca, la figlia del cavaliere Giuseppe, già sindaco di Biancavilla per il quadriennio 1870-1874 e poi consigliere provinciale per il quinquennio 1876-1881.

La famiglia di Carolina era senza dubbio una delle più importanti e influenti della cittadina etnea, in grado di poter proiettare finalmente un Bruno nella classe dei civili. Suo nonno Venerando era giunto a Biancavilla da Acireale nel 1828, dopo che, insieme al fratello Agostino, era stato condannato perché implicato in attività di contrabbando.

A Biancavilla, lo Sciacca trovò, però, non solo nuova fortuna per i suoi affari, ma, il 5 giugno 1860, anche e soprattutto una morte violenta, ammazzato dai rivoltosi a colpi di fucile e a coltellate.

Le nozze tra Alfio e Carolina

Il giorno del matrimonio, il 17 febbraio 1887, come si legge nell’atto contenuto nel registro dello Stato civile italiano, Carolina era «inabilitata a potere camminare e a recarsi alla Casa comunale». Per tale motivo, l’assessore Michele Raspagliesi, dopo avere visionato il certificato medico rilasciato dal chirurgo Ferdinando Zinna, si recò in via Sciacca, l’odierna via Antonio Gramsci.

Lì procedette a unire civilmente in matrimonio Alfio e Carolina, alla presenza dei loro genitori e al cospetto dei testimoni, le cui firme appaiono nel documento per ordine di importanza. Per l’occasione era intervenuto anche il Marchese delle Favare Pietro Ugo, più volte parlamentare della Sinistra storica e finalmente nel 1882 senatore del Regno d’Italia.

Questo Pietro non deve essere confuso, però, con il suo omonimo, suo nonno, il quale fu Luogotenente del Regno di Sicilia dal 1824 al 1830. Nell’atto sponsale, anche l’assessore Raspagliesi era caduto in errore, legando al Marchese questa carica preunitaria. Pietro Ugo, al contrario, era stato un fervente sostenitore dell’impresa garibaldina. Così tanto «d’ospitare in sua casa il generale Garibaldi», come tenne a sottolineare il senatore Luigi Cremona il 18 gennaio 1898, nell’ambito del discorso pronunciato per la commemorazione della scomparsa del marchese.

Presso casa Sciacca, in qualità di testimoni, il Raspagliesi ritrovò anche il cavaliere Venerando Sciacca Milone, già sindaco di Biancavilla per il quadriennio 1882-1884, l’avvocato Antonio Longo e Francesco Milone Castro. Si può supporre che il Marchese Ugo e l’avvocato Longo fossero stati i testimoni di Alfio, mentre i due Milone, invece, quelli di Carolina, in quanto suoi cugini.

Sangue “borgese”: è l’era Bruno

Milone era, infatti, il cognome di Grazia, la madre della sposa. Ella era la figlia di Antonino, già sindaco di Biancavilla per il quadriennio 1861-1863, e della nobildonna Carolina, la figlia del barone Salvatore Signorini di Gagliano.

Nobildonna che il Milone prima rapì, con l’aiuto di Leonardo Biondi e Giuseppe Rubino, e dopo, nel 1831, sposò. Antonino era il più ambizioso dei figli di Francesco Milone, il notaio per antonomasia della Biancavilla della prima metà dell’Ottocento. Un uomo la cui «ambizione del potere – come scrisse Giuseppe Giarrizzo in una delle pagine più accorate del suo volume – opera[va] più nel senso dei profitti ch’è possibile lucrare da posizioni di privilegio amministrativo che nella direzione della dignità e del prestigio del “tiranno”».

Era pure il sangue dei Tomasello, degli Sciacca, dei Milone e dei Signorini, ovvero quello di gente borgese, di liberi professionisti nonché di nobili, che scorreva nelle vene del poeta Antonio Bruno. Il padre Alfio, dagli anni Novanta dell’Ottocento, sia per la sua provenienza sociale sia per le sue doti personali, seppe incarnare, in tale maniera, l’uomo adatto a rappresentare le istanze del vecchio establishment locale. Un establishment che ormai aveva esaurito la sua spinta propulsiva. Era, così, iniziata a Biancavilla, dagli anni Novanta del XIX secolo, una nuova era: l’era Bruno.

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Cultura

Intellettuale e uomo di cultura: ricordo nostalgico del preside Vincenzo Pistorio

Una sua lezione apriva un mondo affascinante, fu lui a riunirci dopo quanto accaduto ad Aldo Moro

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«Al Preside Prof. Vincenzo Pistorio per avere diretto con dedizione e passione in questa sede storico il Liceo “G. Verga” per 21 anni dal 1963 al 1984». Con queste parole, sovrascritte in una targa, si è voluto ricordare e omaggiare un biancavillese che ha dedicato la propria vita alla scuola. Una cerimonia semplice, ad Adrano, cui hanno preso parte il figlio Alberto con l’assessore del Comune di Adrano, Salvo Italia, e alcuni ex alunni: Massimo Cultraro, Eugenio Calì, Loredana Lorena, Sandra Galizia. Pubblichiamo qui di seguito un ricordo personale del nosro collaboratore, Alfio Lanaia, anche lui parte di quella generazione di studenti formatasi nel liceo guidato dal prof. Pistorio.

Con la targa dedicata quest’oggi al Preside Vincenzo Pistorio si sana un debito di riconoscenza verso un uomo che per quasi quattro decenni ha rappresentato una parte significativa della cultura di Adrano e Biancavilla. È stato, infatti, prima insegnante e poi preside di quel Liceo classico da sempre fucina di classi dirigenti e intellettuali, non solo locali. Chi è stato insegnante nel «suo» liceo ha conosciuto le sue doti di dirigente, di organizzatore scolastico, di studioso del mondo classico. Lo ha visto presiedere consigli di classe e collegi dei docenti, ha letto i suoi lavori, dedicati a Euripide, a Virgilio, alla didattica del latino. Chi è stato studente del Classico lo ricorda sotto un’altra veste, più umana, più vicina.

Appartenendo a quest’ultima categoria, sollecitato da Biancavilla Oggi, traggo dalla memoria qualche ricordo, qualche aneddoto che ne metta in luce le qualità professionali e umane. I miei ricordi appartengono alla seconda metà degli anni Settanta del secolo scorso. Anni cruciali che hanno visto la riforma degli organi collegiali, con i decreti delegati del 1974, e dunque la partecipazione dei rappresentanti dei genitori e degli studenti alla vita della scuola.

Anni che hanno visto anche, per certi aspetti, la fine di tante illusioni, con il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro, nel 1978. Lo scrivo perché in quella triste occasione fu il preside, insieme ai professori, a convocare l’assemblea degli studenti, a informarci e a farci discutere e prendere coscienza di quello che era accaduto. 

Quando i presidi non erano dirigenti

I presidi non erano ancora dirigenti scolastici, e questo significava più attenzione alla didattica, alla formazione, alle conoscenze degli studenti. In altre parole, il preside era ancora un organizzatore di cultura, in quanto lui stesso intellettuale, e non solo un esperto di diritto amministrativo.

Non posso dimenticare quelle volte in cui, quando mancava l’insegnante curriculare, entrava in classe il preside Pistorio a fare la supplenza. Dopo qualche comprensibile apprensione da parte nostra, subito riconoscevi lo studioso che traduceva in versi le Bucoliche di Virgilio, che ti sorprendeva parlando mezz’ora su una sola parola e ti apriva un mondo, che ti affascinava con una lezione sulla Divina Commedia.

Scampagnate, gite e pranzi luculliani

Ovviamente, c’era anche l’aspetto umano, quotidiano, quello che lo rendeva più vicino ai ragazzi. In questo campo gli aneddoti sono infiniti. Le scampagnate, i gemellaggi e i pranzi luculliani vedevano la partecipazione della mia classe cui non mancavano mai il preside e i professori.

Già, perché il preside Pistorio era un buongustaio, un fine intenditore de re coquinaria, amante della buona tavola e delle conversazioni. E noi, che sapevano di questa sua «debolezza», facevamo il mestiere di studenti. Ne approfittavamo, organizzando spesso di questi incontri conviviali. Lo facevamo sotto lo sguardo bonario del Preside Pistorio. Per lui, le scampagnate o le gite scolastiche, che si alternavano tra Chianciano e Rimini, erano momenti di crescita umana oltre che culturale.

In questa occasione, scoperta la targa che lo commemora, non posso allora non pensare con nostalgia al Preside Pistorio e a quello che ha rappresentato per la mia generazione. Penso all’uomo di scuola e di cultura che ha incarnato, insieme al corpo docente di quel periodo (Saro Franco, Pietro Biondi, don Leone Calambrogio, Concetta Distefano Gulino, Carmelo Fichera, Placido e Vincenzo Portale ecc.), un modello di scuola seria, a volte difficile, ma sempre a misura d’uomo.

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