Cultura
Così svanì il “rito greco” a Biancavilla: un altro tassello alla discussione
La nostra storia: ecco il contributo scritto nel 1775 da un canonico della Cattedrale di Catania
Come sappiamo, il “Tesoriero” Michelangelo Greco, autore del manoscritto sulla storia di Biancavilla (1849?), nel capitolo intitolato «Rito Greco» (vedi Il manoscritto di Michelangelo Greco, 2009), aveva progettato di ripristinare il rito greco che era andato perduto «per la prepotenza dei vescovi di Catania».
Sull’esempio offerto da alcuni sacerdoti di Piana degli Albanesi, di Palazzo Adriano e di Contessa Entellina a cui era stato accordato dall’arcivescovo di Palermo e Monreale il permesso di passare dal rito latino a quello greco, il Nostro fece richiesta direttamente al re, Ferdinando I, progettando anche di andare a Palermo per apprendere la lingua greca. Varie circostanze, tuttavia, mandarono in fumo le sue intenzioni.
D’altra parte, non era un dato scontato che a Biancavilla ci fosse mai stato il rito greco. L’autore anonimo del manoscritto sull’«Erezione della Collegiata» (in «Appendice» al citato manoscritto), contemporaneo del tesoriere Greco, infatti, sosteneva che il culto «incominciossi in detta chiesa (come al presente) nel rito latino, ancorché i fundatori fossero stati greci».
Secondo l’Anonimo sarebbero stati gli stessi coloni albanesi ad abbandonare il rito greco per non suscitare la gelosia dei vicini «Adornesi, e Padornesi, quali si opposero alla fondazione della nuova colonia sotto il rito greco».
Ci sarebbe stata addirittura l’invidia degli abitanti dei paesi vicini, perché se i nuovi coloni avessero mantenuto il rito greco, le loro città si sarebbero spopolate, in quanto attratte dalla lingua greca, «madre delle scienze». Anche qui l’equivoco, duro a morire ancora oggi, sulla lingua dei profughi che, lo ribadiamo era albanese (arbëreshë), non greca!
Lo scritto poco noto di Vito Coco
Di fronte a queste posizioni contrapposte viene da chiedersi quale fosse la posizione ufficiale della Chiesa catanese. Alcune informazioni in proposito ci vengono offerte da uno scritto poco conosciuto di Vito Coco, canonico della Cattedrale catanese fino al 1782 e primo bibliotecario della Biblioteca universitaria di Catania.
In questo scritto, pubblicato a Palermo nel 1775, dal titolo De Rationi celebrandi olim Missae Sacrificium, et Eucharistiae asservandae in Ecclesia Catinensi usque ad initium saeculi XVII, l’Autore, prima ci informa che «in Ecclesia postremum Sanctae Mariae de Eleemosina prope Adranum, quae erat Graecorum Parochia, duo recensentur in Actis Visitationis anni 1555 Codices Missarum Graecus unus, Gallicanus alter»; successivamente che nella Graecorum Colonia era in vigore un duplice rito, greco e latino (duplexque ritus Graecorum, et Latinorum in ea vigebat).
Il presbitero Bernardino Castelli officiava il sacerdozio, è da credere, nei due riti. A poco a poco, però, il rito greco venne meno, poiché mancavano i sacerdoti esperti in lingua greca (Graecus vero ritus paulatim in hac Ecclesia defecit deficientibus Graecae linguae peritis Sacerdotibus).
Le lettere del vescovo Caracciolo
Tali notizie sono state desunte dal Coco da alcune lettere scritte dal vescovo di Catania, Nicolò Caracciolo, al vicario di Adernò, nelle quali si invitavano il magistrato e gli abitanti della “colonia di greci” ad abbracciare il rito latino oppure a procurarsi un presbitero, istruito nelle lettere greche, dal clero greco messinese. Non essendo stato evidentemente possibile avere un presbitero con queste caratteristiche, si passò al rito latino.
Un’altra notizia, infine, che il Coco ricava dagli Atti della “Visitazione” di Nicolò Caracciolo nel 1555, riguarda la povertà che affliggeva la chiesa dei nuovi coloni. I suoi beni consistevano, infatti, in un solo calice e in un piatto di stagno per celebrare le messe (tanta paupertate laborabat haec novorum Colonorum Ecclesia, ut non nisi unum calicem, et patenam de stamneo ad Missas faciendas), mentre la rendita annuale destinata al sacerdote era di 24 tareni (tarì).
Rito svanito 70 anni dopo la fondazione
Tutto questo induce a pensare che già settant’anni dopo la fondazione della colonia a Biancavilla, nonostante la licentia populandi dei Moncada, la componente albanofona si era molto assottigliata e impoverita, tanto da essere costretta ad abbandonare il rito greco.
Nelle due pagine, infine, che il Coco dedica alla colonia albanese di Biancavilla, si dice che il luogo in cui essa sorse, un tempo detto Callicari, ai suoi tempi era chiamata Albavilla (locus olim Callicaris dictus, hodie Albavilla nuncupatur). Ovviamente il nome della città è latinizzato in Albavilla, in quanto l’autore scriveva in latino, e questo deriva da Biancavilla e non viceversa.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Cultura
Memorie della famiglia Piccione: uno squarcio nella storia di Biancavilla
Nel libro di Giosuè Salomone una ricostruzione accurata con aneddoti e una ricca documentazione
Le pagine iniziano con la trascrizione dell’audio della voce di nonna Concettina, classe 1877, che, ignara di essere registrata, narra episodi riguardanti i suoi stessi nonni e quindi arrivando a fatti risalenti al XVIII secolo. Prende il via così un viaggio che, attraverso le storie e mediante la puntuale ricostruzione narrativa di luoghi e situazioni riportate da Giosuè Salomone, con la precisione di un matematico e con la passione di chi si sente parte viva e attiva di ciò che scrive, ci fa scoprire e riscoprire la storia del nostro paese, ci fa rivivere la realtà della nostra comunità fin quasi alle origini stesse, facendo parlare i documenti.
Il suo ultimo lavoro di ricerca è intitolato “Per sé e per la delizia degli amici, la famiglia Piccione di Biancavilla” (Giuseppe Maimone Editore, 180 pagg.).
Il capostipite Thomas Piccione si stabilisce a Biancavilla tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento, probabilmente inviato dai Moncada, signori della contea di Adernò, di cui Biancavilla faceva parte. Nei decenni successivi i discendenti, che come il padre, probabilmente svolgevano il mestiere delle armi al servizio del loro signore, assumono un ruolo fondamentale nella società paesana.
Francesco viene investito del titolo di barone di Grassura e del Mulino d’Immenzo, e i suoi discendenti si dedicano alla costruzione di un mulino, di alcune chiese, ne restaurano e abbelliscono altre. Furono i principali mecenati del pittore Giuseppe Tamo. Acquistano terreni e, mediante matrimoni e padrinati nei battesimi, riescono a stringere relazioni con altre famiglie aristocratiche del circondario, accrescendo in importanza e prestigio.
Un viaggio lungo i secoli
Tra i vari racconti di nonni, bisnonni, zii e prozii, approfonditi e corroborati da atti notarili e testamenti, lettere, fogli di famiglia e altre carte, si riesce a desumere uno spaccato della società biancavillese durante i secoli, anche quelli più oscuri e incerti del Seicento e degli inizi del Settecento. E si arriva al Risorgimento, ai moti patriottici, all’Unità d’Italia e al periodo turbolento che la seguì (la storia di Piccolo Tanto – Ferdinando Piccione – è veramente emblematica e suggestiva).
Fanno da sfondo il palazzo Piccione, lo scrigno che ha custodito eventi e, come è naturale che sia, circostanze intime e quotidiane per ben dieci generazioni a partire da Giosafat Piccione, rappresentando un continuum nella storia di famiglia. E poi u giardineddu do’ spasimu, un appezzamento di terreno a sud del centro abitato voluto da Salvator Piccione «per sé e per la delizia degli amici» (frase incisa in latino sull’arco d’ingresso del podere). Il quartiere di san Giuseppe dove sorge quella che fu la cappella presso la corte di palazzo.
Tra le pagine emergono anche i tratti psicologici e caratteriali di molti personaggi del casato ma, di rimando, pure quelli di molti compaesani del tempo ormai passato. Affiora perfino un certo lessico familiare che varca i decenni e, attraverso aneddoti e storielle, perpetua le memorie di famiglia.
Nella seconda parte del volume, diverse appendici, allargano la ricerca di Giosuè Salomone, e la arricchiscono con svariati contributi: cartine topografiche, piantine e alberi genealogici che, quando saranno approfonditi dai lettori, riveleranno indubbiamente tantissime curiosità e chissà, permetteranno a ogni appassionato di rivedersi in qualcuno dei personaggi o ritrovarsi, magari con la sola fantasia, in una delle vicende descritte…
© RIPRODUZIONE RISERVATA
-
Cronaca2 mesi ago
Operazione “Meteora”, i tentacoli dei clan mafiosi di Adrano su Biancavilla
-
News3 mesi ago
In strada boccette di metadone, il farmaco contro la tossicodipendenza
-
Cronaca3 mesi ago
Violenza sessuale su una ragazzina, un arresto della polizia a Biancavilla
-
Storie2 mesi ago
Davide Sangiorgio, addio ad un ragazzo di animo nobile e di grande altruismo