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Fu “pioniere anti-droga” nella Biancavilla degli anni bui: addio a “Ciccio” Furnari

Chiamato da mons. Giosuè Calaciura, a lui si deve il lungimirante impegno per la comunità “Sentiero speranza”

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L’ultimo contatto che abbiamo avuto con lui è dello scorso aprile: bisognava concordare una intervista a Biancavilla Oggi sui trent’anni di attività della comunità “Sentiero speranza”, una delle articolazioni dell’Opera Cenacolo Cristo Re. L’avremmo fatta appena possibile per rievocare gli anni torbidi della Biancavilla degli anni ’80 e l’intelligente lungimiranza di un progetto terapeutico con la realizzazione di un’oasi che ha accolto e accoglie chi cade nel vortice delle tossicodipendenze. Resta il rammarico di un colloquio mancato.

Padre Francesco Furnari – che di quella struttura ne è stato il responsabile, quando era ancora un laico, chiamato da mons. Giosuè Calaciura – è morto all’età di 72 anni ad Alcamo, dove era alla guida della parrocchia “Anime Sante” con annesso oratorio salesiano. I funerali saranno celebrati dal vescovo di Trapani, mons. Pietro Maria Fragnelli, mentre giovedì la salma sarà a Biancavilla per l’ultimo saluto, in chiesa madre alle ore 16, da parte della sua città.

Biancavillese di grande cultura filosofica, teologica e psicologica, che fu a capo del Centro Studi “Jacques Maritain” (aggregazione delle migliori intelligenze di formazione cattolica), Furnari è stato missionario nel Salvador, poi a Catania, cinque anni all’Albergheria di Palermo, quindi ad Alcamo, seguendo la sua vocazione salesiana. Darsi e aiutare gli ultimi, con un altruismo concreto, tutt’altro che astratto o retorico: sono i segni distintivi del suo percorso di vita e della sua attività sacerdotale.

La comunità “Sentiero speranza”

A Biancavilla, la sua esperienza nella comunità “Sentiero speranza” è da considerare pionieristica. Erano gli anni del “Triangolo della morte”, della mafia col fucile a canne mozze e del crimine violento, dei morti ammazzati e della droga a fiumi. I “tossici” emarginati, quando ancora si sperimentavano al buio protocolli e vaghi programmi di recupero, lui li andava a cercare per convincerli ad entrare in comunità. Tanti giovani che si erano persi, oggi sono padri di famiglia che gli devono la salvezza.

Appresa della sua scomparsa, così lo ricordano “gli operatori passati e presenti” della comunità: «Negli anni in cui in questa terra si cercavano risposte alle pistolettate ed ai primi morti per droghe, non ti sei fermato, non ti sei fatto irrigidire dalla paura e dal disprezzo. Hai costruito un’opera di prossimità, di vicinanza, di accompagnamento alla vita. Avevi già intuito che il cambiamento non è solo una questione di comportamenti, perché intanto bisogna mettere al centro l’uomo, la persona, i suoi bisogni, le sue abilità, le sue capacità, la sua innata volontà a fare del bene ed a vivere nel bene».

La lungimiranza di Ciccio Furnari

Già, mettere al centro la persona. Una ventina di anni fa, Furnari aveva partecipato al progetto “Migrantes” con l’Arcidiocesi di Catania e l’Università: uno studio scientifico accurato sugli aspetti psicologici, sociali e umani del fenomeno migratorio a Catania, quando era ancora lontanissimo dal dibattito pubblico. Lungimirante: era così “Ciccio”, come veniva affettuosamente chiamato dagli amici. Al centro del suo interesse c’era sempre la persona per quello che era: un bambino, un ragazzo o un anziano, nella “sua” Biancavilla, in America Latina o nella trincea palermitana.

L’Arcidiocesi di Palermo, lo aveva salutato così quando era stato trasferito ad Alcamo: «Don Ciccio, a Ballarò, nel cuore del centro storico, ha condiviso le potenzialità, lottando contro l’illegalità e le ingiustizie e sostenendo tutte le forze sane che negli ultimi anni hanno risvegliato il mercato, da “Sos Ballarò” alle attività di animazione tra le bancarelle, dal teatro per i bambini agli artigiani in strada, con lo spirito gioioso che avvolge i salesiani».

È quella gioia che aveva trovato nell’esercizio sacerdotale (dopo gli anni dedicati alla professione e ai convegni internazionali), mantenendo lo sguardo su orizzonti lontani, pur occupandosi delle “periferie” sociali e dell’anima: «Ho cercato, nel mio limite, di immaginare la parrocchia come una finestra aperta sul mondo, il centro da cui partire per la missione».

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Chiesa

San Placido: la nostra identità cittadina tra fede, tradizioni e memorie secolari

La festa in onore del Patrono è esplosione di piacere collettivo, al quale tutti debbono partecipare

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© Foto Biancavilla Oggi

Un episodio della vita di san Placido, risalente ai primi anni della permanenza in monastero con san Benedetto ci tramanda che i monaci di alcuni monasteri avevano enormi difficoltà a reperire l’acqua, sicuramente per la lontananza con le fonti o per una persistente siccità. Allora angustiati chiesero all’abate di risolvere il problema. Il superiore non trovò altro rimedio se non la preghiera. Una notte, affinché la supplica fosse più efficace, svegliò il piccolo Placido, beatamente addormentato. Insieme si inoltrarono tra i monti e in un luogo remoto pregarono lungamente tutta la notte. Alla fine, poste tre pietre ad indicare il sito, se ne tornarono in monastero. Quando, su indicazione dell’abate, gli altri monaci andarono nel posto indicato tra quelle rocce videro uscire l’acqua tanto desiderata, prodigioso dono ancora oggi tangibile.

I santi commuovono il cuore di Dio. Lo dovremmo pensare quando tra le strade di basolato lavico della città passa solenne la statua del nostro san Placido. Quando le bombe assordanti, le strisce colorate, gli applausi dai balconi, le festose marce della banda accompagnano l’immagine di questo monaco andato in cielo – più di millecinquecento anni fa –  a poco meno di trent’anni. I santi chiedono a Dio le grazie di cui noi abbiamo bisogno e ci indicano la giusta strada, già da loro percorsa.

Il segno dell’identità cittadina

In un mondo che sta cambiando troppo in fretta, in una società che ha modificato valori e ideali, portare tra le strade le statue dei nostri patroni assume un senso nuovo rispetto ai tempi andati.

San Placido rappresenta l’identità cittadina, con tradizioni e memorie derivanti dallo stratificarsi del passato e dalle contaminazioni culturali che l’hanno arricchita e la rendono unica. La festa a sua volta è esplosione di piacere collettivo, al quale tutti debbono partecipare. Essa spezza la monotonia della quotidianità e attraverso la manifestazione esterna di sentimenti ed emozioni offre l’occasione di riscoprire le origini della comunità, recuperandone la storia, rifondandola periodicamente e trovando nella ritualità dei gesti compiuti all’unisono da tutti la propria ragione di essere.

Per i cristiani, la festa è anche culto, è manifestazione della gioia che deriva da Dio e a lui fa ritorno. Esattamente come il nostro “giru de’ santi”, che dalla Chiesa Madre prende inizio e lì ritorna, esorcizzando la concezione della vita. Una vita intesa non come fluire lineare, con un inizio e una fine, ma come un divenire ciclico di nascita, morte e rigenerazione. Esattamente come le stagioni.

Festa, fede e simbolismo

La festa è pure preghiera ed è riflessione sul destino dell’uomo. Placido è stato un uomo. Ha gioito e ha patito come ogni altro essere umano. Ha dato però degli obiettivi e delle priorità alla sua esistenza. Ha saputo fare dono di sé agli altri. Questo ci viene rivelato dalla statua, opera del biancavillese Placido Portal, scolpita agli inizi del Settecento. Essa, riproponendo la Santità del martire secondo i modelli classici del barocco siciliano, mostra un uomo imberbe, ancora molto giovane, con un’ampia cocolla nera, con la mano destra alzata per benedire chi gli si rivolge.

Il simbolismo aiuta a capire il messaggio solo se il fedele osserva l’opera con occhio attento. L’aureola d’argento, è uno degli attributi più antichi, indica quello come uomo di Dio, ammantato dall’aura splendente della luce divina. Il pastorale rappresenta la dignità di abate, padre e pastore della comunità monastica a lui affidata. Il libro della Regola afferma che il santo appartenne all’ordine Benedettino, i cui monaci dopo il crollo dell’Impero Romano compirono l’imponente opera di ristabilire l’equilibrio in una Europa sconquassata dalle invasioni barbariche. La palma è simbolo del martirio subito per testimoniare gli ideali cristiani. Le chiavi della città – consegnate ogni anno dal sindaco – indicano l’affidamento di Biancavilla al suo Patrono. Infine la croce pettorale, in argento e pietre preziose, è segno della fede in Cristo, stabile fino alla fine nel cuore di Placido.

Ai piedi del fercolo, dentro un’antichissima urna, sono conservate le reliquie, il braccio destro del santo che tante volte benedisse i fratelli e oggi continua a benedire i suoi devoti.

Il senso della festa oggi

Ecco cosa rappresenta quella effigie tirata dai fedeli, portata festosamente tra la gente, abbracciata da migliaia di biancavillesi. Ancora oggi, quel monaco di cui parlò Gregorio Magno, avvicinato dalla tradizione alla nostra Sicilia come martire, ci vuole parlare di pace in un mondo che, preso da interessi di parte sta conoscendo una triste era di conflitti; ci parla di ponti per unire individui appartenenti all’unica famiglia umana; ci parla di accoglienza e di interculturalità in una società chiamata a ricevere nuovi flussi migratori da terre povere e devastate concretizzati ogni giorno in nuovi vicini di casa, compagni di scuola, colleghi di lavoro; ci parla di lotta audace alle nuove mafie che attanagliano come tumori la nostra terra, la oltraggiano e la umiliano.

Una forte dose di coraggio, di presa di coscienza intelligente per far uscire la nostra società civile dall’individualismo imperante e dalla ricerca di profitti e interessi privati a scapito di quelli comuni.  Una buona quantità di impegno e di forza di volontà per tirar fuori le nostre comunità ecclesiali – spesso annebbiate dai troppi fumi d’incenso – dai raccolti edifici sacri al mondo chiassoso e agitato. Accogliere le nuove sfide del nostro tempo e piantare semi di nuova speranza per tramutare il caos in cosmos: è questo che ci dice e ci chiede il nostro Santo Patrono in questo 2024? Forse, e non solo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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