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Coronavirus, diario di un biancavillese rimasto con la moglie nella “zona rossa”

Senso di responsabilità: «La “ragione” ha prevalso sul “cuore” e abbiamo deciso di non rientrare in Sicilia»

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© Foto Biancavilla Oggi
di GIUSEPPE CIADAMIDARO

Sono settimane di fibrillazione quelle che stiamo vivendo con mia moglie qui in Emilia Romagna. Ci troviamo in provincia di Modena, in un paesino di collina di circa 3800 abitanti, ed entrambi lavoriamo a scuola come docenti.

Da quel 24 febbraio 2020, data in cui veniva decisa la chiusura delle scuole, siamo rimasti un po’ spiazzati dalle notizie, ma pensavamo che tutto si sarebbe risolto con pochi giorni di “vacanze precauzionali”, motivo per il quale non abbiamo pensato di tornare nel nostro paese di origine, Biancavilla, anche perché credevamo si trattasse soltanto di una settimana.

Ogni volta, però, che nei tg e nelle conferenze dei governatori sentivamo che la situazione stesse diventando sempre più grave, avvertivamo un senso di sconforto. Di giorno in giorno i contagi dilagavano a “macchia d’olio” sino ad arrivare nella nostra provincia, inserita tra quelle della “Zona di massima allerta”.

La paura ha cominciato a farsi sentire, sembra di vivere in uno di quei film dell’orrore come “La Città verrà distrutta all’alba (1973)” o “Virus Letale (1995)”. Abbiamo pensato alla nostra amata Isola, al mare e alla voglia di “scappare” giù protetti dalla nostra “mamma” Etna, ma ecco che la “ragione” ha preso il sopravvento sul “cuore” e ci ha portati a scegliere di rimanere, non tanto per evitare il viaggio, ma per evitare il rischio di un possibile “trasporto” del Covid-19 nel nostro paese: sarebbe da incoscienti ed irresponsabili. La voglia di riabbracciare i nostri cari, approfittando di questo distacco dal lavoro, è tanta, ma è ancor più forte la razionalità messa in campo per evitare possibili contagi.   

Al momento noi siamo in buona salute e non siamo entrati in contatto con persone positive al virus, rispettando le disposizioni che il Governo ci suggerisce ed evitando qualsiasi spostamento, se non strettamente necessario e magari non in orario di punta. Ci siamo attivati con il nostro Istituto comprensivo con la “Didattica a distanza”, che ci permette, attraverso video-conferenze, video-lezioni e materiale informatico, di proseguire il nostro lavoro da casa. Una cosa molto insolita ma che ci permette di prevenire il dilagarsi del virus.

Inoltre, il nostro “tempo libero” lo dedichiamo al volontariato: siamo volontari di Croce Rossa e ci occupiamo di Emergenza/Urgenza, motivo per cui viviamo in prima persona questa situazione e possiamo garantire che non è solo una semplice influenza ma qualcosa che, per fortuna non a tutti, porta a gravi conseguenze.

Non viviamo questi giorni come se fosse una vacanza, ma una vera e propria emergenza. Basterebbe solo che tutti si rendessero conto di tale situazione e che nel loro piccolo applicassero quello che il Governo ci invita a fare. Non farlo non ci rende più “sperti” ma, al contrario, più vulnerabili al virus.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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«Nel ricordo di Borsellino, l’impegno è combattere la mentalità mafiosa»

Ci scrive l’assessore Vincenzo Randazzo: una riflessione su via D’Amelio che riguarda Biancavilla

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Gentile direttore di Biancavilla Oggi,

oggi si ricorda la tragica morte del giudice Paolo Borsellino e di cinque agenti della sua scorta, tra i quali una donna. L’amministrazione comunale ha organizzato una fiaccolata che da Villa delle Favare giungerà a Piazza Falcone e Borsellino. A questa iniziativa partecipano, oltre alle diverse associazioni di volontariato, anche i ragazzi e i giovani dei diversi Grest. Una manifestazione importante per condividere il ricordo di uno degli eventi più tragici della storia italiana e caratterizzata dalla seria e concreta lotta contro il sistema mafioso, ma soprattutto contro la sua mentalità.

Ecco il punto: il messaggio di Paolo Borsellino e il suo volontario sacrificio hanno dell’attualità ancora un valore? Le nuove generazioni li recepiscono? Qualche dubbio mi sorge se guardo ai modelli sociali e culturali prevalenti: individualismo esasperato, esagerata messa in mostra di atteggiamenti malandrineschi, menefreghismo, esibizione del proprio desiderio di dominio, farsi ragione con la violenza… Appunto, mentalità mafiosa, che non poche volte determina risse.

Tutto questo rende vano quanto Paolo Borsellino ha cercato di insegnare e la cosa che amareggia di più è considerare un fesso il giudice palermitano. E come lui, fessi Falcone, Chinnici, Impastato, Don Puglisi, Livatino, Fava… E tanti che nel combattere la mafia sono caduti. Perdoni, direttore, il mio sfogo, ma tanto tanto tanto è il lavoro che va fatto. Come Amministrazione, certamente. Ma anche come famiglie, come istituzioni in senso lato, come scuola, come gruppi di volontariato… l’obiettivo è contrastare la mentalità mafiosa.

VINCENZO RANDAZZO, Assessore comunale

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