L'Intervento
Riflessioni a 30 anni dalla nascita della comunità “Sentiero speranza”
di DON PINO SALERNO
Presidente “Opera Cenacolo Cristo Re”
Nel trentesimo anniversario di fondazione della Comunità “Sentiero Speranza” (maggio 1989- maggio 2019) ho la gioia di presentare alla comunità diocesana il cammino finora maturato come servizio all’uomo che oggi è lacerato dalle tante dipendenze che attanagliano la propria esistenza e divenire.
La comunità “Sentiero Speranza” è una delle figlie della grande opera Cenacolo Cristo Re di Biancavilla e si distingue per il proprio servizio, inserendosi a pieno titolo come ente ausiliario all’interno del servizio sanitario nazionale per il recupero dei soggetti con varie dipendenze che vanno inquadrate non solo in quelle conseguenti alla droga classica (eroina, cocaina, hashish e marijuana) come anche delle droghe sintetiche (ancor più devastanti) ma anche in riferimento all’alcol e al gioco (nuova piaga sociale).
La comunità terapeutica “Sentiero Speranza” trova nel proprio nome il fondamento del proprio “essere ed agire” rispondendo alla domanda ineludibile: “come aiutare e curare l’uomo? Come riabilitarlo?
Nella cura c’è indubbiamente il “recupero della coscienza morale” purtroppo modificata dell’uomo che cade in preda alle dipendenze tanto da divenire forza di riscatto contro il vissuto storico ed esistenziale di questi nostri fratelli più bisognosi.
Il recupero e il cammino terapeutico in comunità è un percorso scandito da un piano terapeutico personalizzato ad ogni soggetto che, diventa un “unicum” a cui tutte le energie professionali si orientano con anni di lavoro sulla coscienza e volontà individuali (con un anamnesi storica che porta inevitabilmente a visionare uno spaccato esistenziale che permette di individuare la molla deviante e scatenante del fenomeno stesso).
La Comunità terapeutica lavora in piena sinergia con le famiglie di provenienza e con organismi statali (SERT) e con il Ministero di Grazia e Giustizia, con le Carceri e i Magistrati di Sorveglianza, condividendo in pieno il vissuto di sofferenza e di prova di ogni individuo, che liberamente chiede aiuto. Tutti gli sforzi sono tesi a raggiungere un risultato conclusivo sempre orientato, nella speranza, al recupero dell’uomo e del suo pieno inserimento nel tessuto morale e sociale del proprio habitat sfatando sempre più lo stigma e il pregiudizio negativo.
Il recupero diventa “prevenzione” come educazione al significato dei valori che rendono la vita degna di essere vissuta.
Oggi la “prevenzione” farà veramente sì che la domanda assurda di devianza diminuisca e di conseguenza diminuiscano i “paradisi artificiali” creati nella coscienza modificata di tanti soggetto resi ormai vulnerabili dalle sostanze. La dipendenza determinerà in loro la loro condizione di nuovi poveri.
Abbiamo il dovere di leggere e comprendere i “segni dei nostri tempi”!
Particolarmente mi sta a cuore il tema del recupero della coscienza individuale. Tale obiettivo è stato oggetto dei miei studi specialistici in teologia morale. Le dipendenze patologiche e quindi gli attaccamenti alle sostanze sono “stati di coscienza contratti o modificati” che impediscono una espansione della consapevolezza della realtà oggettiva. Quando il comportamento diventa tanto abituale da dominare la vita dell’individuo, a detrimento delle relazioni e del lavoro, abbiamo la diagnosi clinica di dipendenza.
Quando una droga o un comportamento hanno la capacità di produrre una trasformazione immediata, effettiva e vigorosa del carattere e della percezione, è possibile la formazione di un atteggiamento dipendente o compulsivo. Uno stato alterato di consapevolezza può essere definito come uno stato, di durata limitata, in cui le forme del pensiero, del sentimento, del carattere e della percezione sono diverse dalla condizione ordinaria o di base.
L’assunzione di droga che produce dipendenza spesso sembra associata a un comportamento ritualistico, che viene ripetuto compulsivamente in modo sempre uguale, all’infinito. Anche Freud ha parlato della “compulsione a ripetere” nelle nevrosi. Questo è vero per le droghe narcotiche come gli oppiacei, i calmanti come i barbiturici, i sedativi psichiatrici, gli antidepressivi, gli stimolanti come l’anfetamina e la cocaina. L’assunzione ritualistica è evidente e ben nota nel caso di sostanze che provocano assuefazione e che sono socialmente accettate e commercialmente pubblicizzate, come l’alcool, il tabacco e il caffè. In tali situazioni, il rituale di assunzione fa parte del messaggio pubblicitario volto a incoraggiare il consumo.
Una riflessione sulla dipendenza prodotta sulla coscienza da telefonini e dal computer porta l’amara analisi della realtà virtuale che a poco a poco si sostituisce alla realtà vera e reale. Il mondo virtuale diventa mondo di verità e base fondante della relazione umana ma anche cieca attenzione al dilagare spaventoso delle maschere soggettive, dell’anonimato e ancor più della solitudine. Spesso si possono avere migliaia di amici sui social networks ma nella vita reale si è soli a se stessi.
Mi rattrista vedere tanti giovani che non comunicano più con la parola, pur essendo spalla a spalla o vedere che i giovani non sanno fare digiuno dal proprio telefono nemmeno per un’ora (dovremmo noi pastori d’anime consigliare fra i digiuni comandati dalla Madre Chiesa anche il digiuno terapeutico dai propri telefonini per correggere la coscienza spesso modificata da questa strumenti seppur magnifici se usati bene ma di povertà se usati male).
Tornando al problema delle dipendenze possiamo ancora aggiungere che la modificazione immediata o rapidissima del carattere e delle percezioni prodotta da tali droghe, alcol o gioco è uno dei fattori che facilitano lo sviluppo della dipendenza. Gli alcolisti raccontano spesso la sensazione di onnipotenza che provano quando la loro bevanda preferita scende per la prima volta nello stomaco: l’ansia o la frustrazione svaniscono, l’individuo non sperimenta più dolore o (nel caso di assunzione di stimolanti) sensazioni di impotenza e inadeguatezza. La rapidità della trasformazione provoca una sensazione di onnipotenza. Tutti gli spiacevoli effetti collaterali (che il soggetto potrebbe conoscere benissimo) sono troppo lontani nel futuro per annullare l’effetto immediato.
Non possiamo chiudere gli occhi davanti ad una cultura di morte che diventa ordinaria normalità di vita e nel frattempo centinaia di giovani perdono la vita per un overdose o semplicemente per aver riposto tutte le proprie speranze nella musica assonante o nella quantità smisurata di alcol e droghe nelle discoteche diventando cosi candidati privilegiati di morte sconcertante e dolorosa sulle nostre strade.
Sul recupero della coscienza morale dell’uomo credo opportuno richiamare il Catechismo della Chiesa Cattolica che al n. 1776 ci consegna una traccia di luce: «Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce, che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente parla alle orecchie del cuore […]. L’uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al suo cuore […]. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria».
Ed ancora sull’importanza di educare la coscienza morale si ribadisce al n.1783: “La coscienza deve essere educata e il giudizio morale illuminato. Una coscienza ben formata è retta e veritiera. Essa formula i suoi giudizi seguendo la ragione, in conformità al vero bene voluto dalla sapienza del Creatore. L’educazione della coscienza è indispensabile per esseri umani esposti a influenze negative e tentati ……(….)”.
Al n. 1784: “L’educazione della coscienza è un compito di tutta la vita. Fin dai primi anni essa dischiude al bambino la conoscenza e la pratica della legge interiore, riconosciuta dalla coscienza morale. Un’educazione prudente insegna la virtù; preserva o guarisce dalla paura, dall’egoismo e dall’orgoglio, dai sensi di colpa e dai moti di compiacenza, che nascono dalla debolezza e dagli sbagli umani. L’educazione della coscienza garantisce la libertà e genera la pace del cuore”.
Nel rispetto e validità dei piani terapeutici la Comunità non dimentica la sacralità dell’uomo che chiede aiuto e si mette in atteggiamento rispettoso e di attesa , aiutando coloro che vi iniziano il cammino riabilitativo, a dare spazio ad un analisi seria e motivata dei propri comportamenti conseguenti dalla propria coscienza morale e individuarne gli elementi erronei e per poter illuminare la ragione inviolabile della propria vita, che spinge la volontà a percorrere i tempi della “consapevolezza del danno” e la ripresa di responsabilità individuale nei confronti di se stessi e delle persone care.
La direzione spirituale può essere a pieno titolo “terapia riabilitativa” che accanto alle sollecitazioni delle scienze umane lavora al recupero e salvezza integrale di tutto l’uomo.
Nella Comunità sento forte il ruolo del dono della paternità sacerdotale che, diventa per me sempre più il riflesso e lo specchio dell’umanità vera di Cristo che nel contatto quotidiano con gli uomini, nella condivisione della loro vita di ogni giorno, vedo crescere e approfondire quella sensibilità umana che mi permette di comprendere i bisogni ed accogliere le richieste, di intuire le domande inespresse, di spartire le speranze e le attese, le gioie e le fatiche del vivere comune; di essere capace di incontrare tutti e di dialogare con tutti.
L’open-day del 9 e 16 Novembre su proposta della Comunità “Sentiero Speranza” vuole dunque essere un affacciarsi della stessa sul mondo circostante ma altresì un invito a “venire e vedere” da parte di tutte le agenzie educative (famiglie, Parrocchie, associazionismo, volontariato, scuola) il nostro loro per una serena e gioiosa rivalutazione del proprio abitat riabilitativo e delle proprie attività specifiche nello spirito della condivisione e della fraternità.
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L'Intervento
«Nel ricordo di Borsellino, l’impegno è combattere la mentalità mafiosa»
Ci scrive l’assessore Vincenzo Randazzo: una riflessione su via D’Amelio che riguarda Biancavilla
Gentile direttore di Biancavilla Oggi,
oggi si ricorda la tragica morte del giudice Paolo Borsellino e di cinque agenti della sua scorta, tra i quali una donna. L’amministrazione comunale ha organizzato una fiaccolata che da Villa delle Favare giungerà a Piazza Falcone e Borsellino. A questa iniziativa partecipano, oltre alle diverse associazioni di volontariato, anche i ragazzi e i giovani dei diversi Grest. Una manifestazione importante per condividere il ricordo di uno degli eventi più tragici della storia italiana e caratterizzata dalla seria e concreta lotta contro il sistema mafioso, ma soprattutto contro la sua mentalità.
Ecco il punto: il messaggio di Paolo Borsellino e il suo volontario sacrificio hanno dell’attualità ancora un valore? Le nuove generazioni li recepiscono? Qualche dubbio mi sorge se guardo ai modelli sociali e culturali prevalenti: individualismo esasperato, esagerata messa in mostra di atteggiamenti malandrineschi, menefreghismo, esibizione del proprio desiderio di dominio, farsi ragione con la violenza… Appunto, mentalità mafiosa, che non poche volte determina risse.
Tutto questo rende vano quanto Paolo Borsellino ha cercato di insegnare e la cosa che amareggia di più è considerare un fesso il giudice palermitano. E come lui, fessi Falcone, Chinnici, Impastato, Don Puglisi, Livatino, Fava… E tanti che nel combattere la mafia sono caduti. Perdoni, direttore, il mio sfogo, ma tanto tanto tanto è il lavoro che va fatto. Come Amministrazione, certamente. Ma anche come famiglie, come istituzioni in senso lato, come scuola, come gruppi di volontariato… l’obiettivo è contrastare la mentalità mafiosa.
VINCENZO RANDAZZO, Assessore comunale
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