Storie
L’aeroplano di San Placido per stupire gli adornesi di San Nicolò

di Nello Sciacca
(…) Erano i primi giorni d’ottobre di un anno, remoto tanto nel tempo che non posso ricordano con precisione; comunque, a titolo orientativo, dirò che la prima guerra mondiale era finita, da cinque-sei anni. Al mio paese, Biancavilla, dal 4 al 6 ottobre furoreggiano i festeggiamenti per il santo protettore, San Placido. San Placido, per quanti allora eravamo bambini, voleva dire tante cose: la fiera del bestiame nel «piano dello Sgriccio», la «fiera», piccolo donativo in denaro che nonni e zii ci facevano, i «bomboloni» e le noccioline americane, la musica in piazza (della quale, però, non ci importava un bel nulla) e poi – oh gioia, oh meraviglia! – le corse dei cavalli lungo la via principale e i giuochi d’artificio. Le corse («dei berberi», c’insegnò il maestro Parlato, e quella volta restai di sasso, perché non potevo capacitarmi che quei nobili animali potessero qualificarsi barbari, e cioè cattivi e crudeli) le corse, dicevo, erano per noi bambini, già pazzi di Tom Mix, una cosa incredibilmente emozionante, tanto che la notte, a ripensarci nei nostri lettucci, c’era davvero da non poter prendere sonno. I fantini, prima che riuscissero a saltare in sella, se la vedevano con Dìo, perché quelle povere bestie, forse già per costituzione un poco suscettibili, tra gli urli della folla che per poco non veniva a buttarsi tra i loro zoccoli e i mortaretti che deflagravano quasi sotto le loro code, raggiungevano vertici tali di follia, che montarli diveniva un’impresa estremamente pericolosa per i fantini e, per ciò stesso, supremamente eccitante per gli spettatori. Poi, a coppia e debitamente montati, i cavalli partivano, ed erano due frecce che fendevano la calca lungo un corridoio così stretto da dare le vertigini.
I giuochi d’artificio, a sera inoltrata, dopo il concerto della banda di fama nazionale, ci trasportava in un mondo di fiaba, lontano da ogni realtà, nei reami incantati del sogno e della fantasia. E tutti, piccoli e grandi, si restava in estasi, con gli occhi al cielo, perduti in quel magico sfolgorio, che alternava fontane di luci a cascate di rubini e smeraldi; effimere corolle d’oro e d’argento e febbricitanti palmizi di zaffiri. L’avvocato Peppino Viaggio contava le «spaccate». «Eh no, l’anno scorso erano quattro e a volte anche cinque; quest’anno ci siamo buttati sul risparmio e a malapena si arriva a tre». E se ne rammaricava, se ne dispiaceva sinceramente, poveretto, perché Biancavilla era per lui il centro dell’universo, talché tutto quello che la riguardava, nel bene e nei male, lo colpiva diritto al cuore.
Figuriamoci, poi, quando quell’anno si sparse la voce che per la festa di San Placido non ci sarebbero state corse di cavalli! Ma com’era possibile? E che festa sarebbe stata senza corse? Oh Signore Iddio, anche questa si doveva vedere! E quelli di Adernò (oggi Adrano), con la loro festa di San Nicolò, oh le risate che si sarebbero fatte! E così i componenti dei comitato dei festeggiamenti pensavano quasi di darsi alla latitanza per sfuggire ai furori del popolo, quando ad un certo momento, nel bel mezzo delle mutrie e dei musi lunghi, esplode la notizia: ci sarà l’aeroplano! L’aeroplano! E che vuoi dire? Spiegatevi meglio, che Dio vi fulmini! C’è poco da spiegare: ci sarà l’aeroplano al posto dei cavalli, e vediamo chi ha qualcosa da ridire, adornesi (oggi adraniti) compresi.
E così, per farla breve, la cosa incredibile e meravigliosa avvenne e successe. Per tre giorni consecutivi, in coincidenza con l’uscita del Santo dalla chiesa, mentre la sua statua percorreva le vie principali, e mortaretti, «cannoncini a strisce» e campane esplodevano in un accecante ed assordante tripudio di colori e frastuoni, in coincidenza con tutto ciò, d’improvviso, come per miracolo, spuntato non si sa da dove, saettava sui tetti delle nostre case, quasi radendoli, questa cosa mai vista, un aeroplano, un grande uccello col motore, che roteava su tutto il paese, se ne allontanava e di nuovo fulmineamente vi piombava sopra e girava ad anello attorno al campanile del Sada e s’impennava riducendosi quasi ad un punto nel placido fulgore del cielo, e di nuovo si buttava giù, come volesse con le sue grandi ali spazzare tutta piazza Roma, gremita fino all’inverosimile di volti riversi verso l’alto e di braccia e di mani tese nel saluto al pilota, che s’intravedeva nella carlinga. «Povero figlio – diceva qualche donnetta col naso in aria – e se dovesse cadere?» «Non cade, non cade», rispondeva un altro, con l’aria di saperla molto lunga, perché era stato in guerra, e di «quelli» ne aveva visti tanti, che innaffiavano le trincee di pallottole.
Mio padre fu colto dall’entusiasmo. «Da vicino lo voglio vedere, quando è fermo a terra, per capacitarmi di come è fatto dentro». Così, per vedere da vicino com’era fatto dentro, un pomeriggio partimmo in calesse i miei genitori, io e due mie sorelle, diretti al «piano dei Rinazzi», che era allora un grande pezzaccio di terra brulla e piana, a circa sei chilometri da Biancavilla: da lì l’aereo decollava e lì atterrava, e se qualcuno non ci crede s’informi con i miei coetanei, e, se neppure questo disturbo vuol prendersi, sono affari suoi. Io continuo con quelli miei. Per raggiungere il «piano dei Rinazzi», prendemmo la strada di «Spartiviali», che porta a Schettino, quella sulla quale è scritta, a ben riguardare, sui muri che la fiancheggiano, gran parte della mia infanzia, giovinezza e maturità: della mia vita insomma. Era un pomeriggio ancora caldo di primo autunno, ed eravamo tutti eccitati, perché l’aeroplano era ancora, a quei tempi, una diavoleria come ce n’erano poche.
La strada era tutta in discesa, e perciò facemmo presto ad arrivare, tanto più che il cavallo era di quelli che per indurlo ad allungare il passo non era necessario incitarlo con la frusta (la «zzotta»). E adesso, ecco, quella cosa che volava nel cielo, il grande uccello col motore, era lì, dinanzi a noi, fermo che potevamo toccano, girargli attorno, sbirciare nella carlinga… Sbirciarvi? C’era il pilota, che mi prese in braccio e mi portò dentro. Mia madre quasi si metteva a gridare, che «no, no, lei non permetteva, non voleva assolutamente… perché chissà, alle volte, tocca questo e quest’altro, quell’accidente poteva improvvisamente partire e perdersi nel cielo…». Il pilota la rassicurò, mio padre le diede di gomito ed io, ad ogni buon conto, ridiscesi a terra, fiero di «essere stato in aeroplano». Le mie sorelle no, declinarono l’invito di salire alla loro volta, e mia madre, con l’aria di non occuparsene, ne fu segretamente sollevata «perché è inutile, ma con certe cose non si sa mai». C’intrattenemmo un po’ col pilota, un giovane non ricordo se bruno o biondo o come fosse. Ricordo, però, che mia madre gli chiese se sua madre era contenta che egli facesse il pilota, e poi, dato che mio padre si era allontanato un po’, ne approfittò per fargli capire, in maniera larvata ma non troppo, che, oltre a quello del pilota, c’erano tanti altri bei mestieri, oh tanti! che lasciavano più tranquille le mamme.
(…) L’indomani, ultimo giorno di S. Placido, un’ultima volta il grande uccello di ferro scese e roteò su Biancavilla, salutando il Santo e i suoi fedeli. E poiché nella carlinga s’intravedeva il pilota, io, gridando e sbracciandomi, lo salutai a lungo, perché «io lo conoscevo, essendo stato con lui in aeroplano il giorno prima».
(Tratto da “Lungo i sentieri dei ricordi”, Edizioni Greco, 1992)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Storie
Il bambino di Biancavilla tra i paladini di Francia: Tommaso e i suoi pupi siciliani
A soli 8 anni si è esibito già con il suo teatrino di legno, portando in scena “L’Orlando innamorato”

Questa è la Biancavilla che ci piace
Una grande passione per i pupi siciliani al punto che non soltanto li colleziona, ma si cimenta pure nell’allestimento scenico e nella recitazione, imparando a memoria e interpretando lunghi dialoghi, mentre le sue mani muovono i fili. Tommaso Francesco Lavenia ha otto anni e il prossimo anno scolastico andrà in quarta elementare nel plesso “San Giovanni Bosco” di Biancavilla.
In queste sere d’estate si è esibito in piazza Cisterna a Ragalna, nell’ambito della “Summer Fashion Week”. Davanti a un numeroso pubblico, con il suo teatrino in legno, ha portato in scena “L’Orlando innamorato”, dando carattere, movimento e voce ad ogni pupo. Una passione, forse un talento. Per lui, applausi e incoraggiamenti. Sorprende come ad appena 8 anni, Tommaso Francesco stia seguendo un interesse inconsueto per la sua età. Uno sforzo che, al di là del gioco, rivela dedizione, studio e sensibilità artistica.
Tutto è nato per caso a Taormina, quando in un ristorante ha visto esposto un classico pupo siciliano. Da lì è scoccata la curiosità, accentuata quando a casa, tra i vecchi giochi del papà, ha trovato un “Orlando”. Poi, l’acquisto dei primi pezzi, alcuni in pessime condizioni e restaurati. Altri ancora costruiti in legno. Una collezione che ormai conta una trentina di pupi.
In questa sua passione ha coinvolto i genitori, Placido e Valeria, e anche i nonni, che lo hanno aiutato nella realizzazione dei costumi. Su YouTube è andato a cercare rappresentazioni dei pupi siciliani, ha studiato a memoria i lunghi dialoghi, integrando anche personaggi biancavillesi con riferimenti a San Placido e alla Madonna dell’Elemosina.
Tommaso Francesco si è tuffato così nel mondo epico-cavalleresco dei paladini di Francia, di Ludovico Ariosto e Matteo Maria Boiardo. Ha avuto pure l’opportunità di conoscere da vicino alcune famiglie siciliane che da generazioni custodiscono quest’arte: i “Napoli” di Catania, i “Puglisi” di Sortino, “Ariosto e Calabretta” di Acireale.
Un grande patrimonio culturale, non a caso proclamato nel 2001 dall’Unesco «capolavoro orale e immateriale dell’umanità», che mescola teatro, letteratura, tradizione e artigianato. Un patrimonio nel quale il piccolo Tommaso Francesco sperimenta la sua passione, preferendolo ai giochi digitali che lo terrebbero incollato per ore davanti a uno schermo, come accade a tanti suoi coetanei.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Storie
Chiude il “Tropical Bar”: quel ritrovo giovanile nella Biancavilla Anni ’80 e ’90
Il locale di Pietro Leocata (il primo a proporre il panino con wurstel) segna un ciclo generazionale

È un altro pezzo da consegnare alla memoria collettiva. Ricordi che riaffiorano e si sgretolano, legati alla generazione giovanile di Biancavilla a cavallo tra gli anni ’80 e ’90. Ecco perché c’è un po’ di malinconia nell’apprendere che, dopo quasi quarant’anni (38 per l’esattezza), chiude il “Tropical Bar”. Un’attività aperta nel 1987 in via Vittorio Emanuele, tra il plesso elementare “Guglielmo Marconi” e Villa delle Favare. Era lì il cuore pulsante del ritrovo giovanile di Biancavilla, prima che la bussola virasse verso via Umberto e piazza Annunziata.
Il titolare Pietro Leocata (pasticcere di professione) è prossimo ai 68 anni. In più, quella parte del centro storico ha visto continue chiusure di saracinesche. Un destino inesorabile di desertificazione commerciale. Tutt’altro scenario rispetto agli «anni delle immense compagnie, gli anni in motorino, sempre in due». Sì, perché in fondo, la movida biancavillese (quando ancora nessuno la chiamava così), era scandita da abitudini rituali: «Stessa storia, stesso posto, stesso bar», come cantava Max Pezzali.
Ma il bar di Leocata si distinse nella sua offerta. Fu il primo locale a proporre il panino caldo con wurstel, patatine fritte, ketchup e maionese. Una novità, che poi ha fatto scuola, alternativa alla più classica tavola calda con arancini e cartocciate. “Noi che… con 3mila lire ci saziavamo”: anche questo da custodire negli annali di “costume & società”.
I tempi cambiano, le mode pure. Così, quel locale al Civico 151 è diventato testimone delle abitudini che mutavano, mentre tra i due marciapiedi del tratto di via Vittorio Emanuele scomparivano pian piano le “comitive”. Lì dove erano nati amori e amicizie, discussioni e liti, con il sottofondo di una lunga play list che dai Duran Duran balza fino ai Rem.
A differenza di altre attività che hanno chiuso ormai da tempo (come Al Gabbiano, altro storico locale), il “Tropical Bar” ha resistito con orgoglio, adattandosi ad una clientela più ristretta, fedele, abitudinaria, ed “inventando” eventi propri per il periodo di Carnevale o Natale. Ora, però, si chiude un ciclo, personale e generazionale, professionale ed emotivo. Legati a quel posto, restano i ricordi di tanti giovani in sella ad un Garelli tra gli anni ’80 e ’90. Ricordi che suscitano tenerezza e una genuina nostalgia, come nei titoli di coda di un film dei Vanzina. A Pietro Leocata, l’augurio di una serena e meritata età della pensione, da vivere con la propria famiglia.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
-
Fuori città4 settimane ago
Emozioni “Oltre le grate”, il libro di suor Cristiana diventato musical del Cgs Life
-
Cronaca4 settimane ago
Incendio da paura a Biancavilla: capannone in fiamme, alta colonna di fumo
-
Storie2 settimane ago
Chiude il “Tropical Bar”: quel ritrovo giovanile nella Biancavilla Anni ’80 e ’90
-
Storie3 settimane ago
Turisti biancavillesi a Bergamo elogiati dalla polizia locale: «Un atto di onestà»
Riccardo
6 Ottobre 2019 at 1:02
Bellissimo ricordo…. Chissà quale era l’anno esatto.. Cmq dalla foto escludo che si possa trattare di un IMAM RO. 37 che venne prodotto a partire dal ’32/33…forse qualche modello precedente… Chissà che bello vedere all’epoca un piccolo “grande Airshow”proprio su Biancavilla!! ..quelli furono gli anni d’ oro dello sviluppo Aeronautico Italiano… Fino al ’40 prima della guerra.. Con le grandi imprese della Regia Aeronautica.. I trasvolatori… Gli Atalntici… BALBO, FERRARIN, DE PINEDO, AUGELLO.. la coppa Schanaider.. Ecc…
Bell’articolo… Si potrebbe saperne di più?? Grazie.. Cordiali Saluti