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Editoriali

Valzer d’assessori chiamati turn over: malcostume elevato a prassi (da tutti)

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Un anno. Un anno o poco più. Come da orologio svizzero, ecco scoccata l’ora. L’ora del “rimpasto” per la Giunta del sindaco Antonio Bonanno. O per evitare termini che alludono a vecchie stagioni, meglio chiamarlo “turn over”. E in effetti, qualche differenza c’è. Il “rimpasto” era dettato da cambi di maggioranza, campagna acquisti di nuovi consiglieri, gruppi politici che passavano all’opposizione: pratica tante volte sperimentata nelle amministrazioni Manna e Cantarella. Il cosiddetto “turn over” –invenzione ingegneristica dell’ultimo decennio politico– non era (e non è) dettato da ragioni di mutamenti di equilibri. Nonostante la stabilità di schieramenti bulgari, si faceva lo stesso, si fa lo stesso. Perché sì: si deve fare. Si diceva e si dice: per dare un premio a chi si è impegnato in campagna elettorale, per motivare tutti, per consentire –udite, udite– «di fare esperienza».

L’Esecutivo spacciato per ente di formazione della classe dirigente locale? Sì, secondo la sfacciata motivazione di ieri (e di oggi?). Ma con esiti disastrosi. Nel corso della storia politica di Biancavilla, tante “pecore” che hanno varcato il portone del palazzo comunale, poi sono uscite “capre”. E chissà quante volte abbiamo visto spaesati marziani e marziane, che non avevano mai assistito ad una seduta consiliare, ignoravano la differenza tra una determina e una delibera, non sapevano dove fosse la stanza del primo cittadino, eppure si sono ritrovati –di bonu a bunu– a capo del governo di una città di 23mila abitanti. Con risultati noti e certificati: il nulla mischiato col niente. Però un giro di “stipendio” e una fascia tricolore da esibire per San Placido non si negano a nessuno. Un tempo, uno straccio di curriculum contava. Da un decennio a questa parte, conta l’ordine di arrivo alle elezioni o il peso di mariti, padri, zii e burattinai per selezionare assessori o assessoresse last minute.

Sì, lo hanno chiamato e lo chiamano “turn over”. È un malcostume. Una degenerazione elevata a prassi istituzionale. Talmente scolpita a fuoco nelle catene elicoidali del dna della politica, da essere accettata, acquisita e praticata da tutti, nessuno escluso. Antonio Bonanno, dunque, sullo stesso viottolo tracciato dal suo predecessore. Ecco, quindi, riaperte le danze assessoriali. Se si esclude la meteora iniziale di Antonio Mursia (persona che in realtà brilla ancora per le sue qualità intellettuali e, forse per questo, messa di lato e scartata dal Palazzo), il primo ad uscire dalla Giunta è stato Alfio Stissi con motivazioni che per i comuni mortali sono più enigmatiche delle tavole degli antichi egizi.

Ad ogni modo, il giro di valzer per Stissi è finito. Così come finirà pure per Giulio Khalil e Daniela Russo (Mario Amato può continuare ancora per un bel po’). Lo aveva stabilito la politica degli accordi pre-elettorali, infischiandosene delle indicazioni uscite dalle urne. Pronti altri tre giri di valzer: oltre al consigliere Vincenzo Amato (indicato da tempo come successore di Stissi), i destinati assessori dovrebbero essere Giuliana Pennisi (al posto di Khalil) e Francesco Privitera (al posto di Russo). Da sbrogliare –in questo contesto– l’obbligo della quota rosa in Giunta e la nomina di un eventuale quinto assessore, da ridiscutere mettendo sul piatto anche la presidenza del Consiglio Comunale. Perché sì: tutti hanno una scadenza e non sarà certo facile per Bonanno fare combaciare ogni variabile.

Un “Manuale Cencelli” aggiornato alle logiche moderne del… “turn over”. Il paradosso è che non ci sono chissà quali retroscena da raccontare: è un cambio di pedine finalizzato a se stesso. Ed è un’aggravante. Lo denunciavamo ieri e lo denunciamo oggi, da queste stesse pagine. In un clima di tacita e unanime accettazione. D’altra parte, coloro che adesso hanno il ruolo di opposizione, negli anni dei loro governi hanno prodotto illustri campioni di valzer. E verrebbe da sgranare gli occhi se i fortunati beneficiari della “filosofia del turn over” di ieri si improvvisassero indignati contestatori di una degenerazione che hanno solennemente istituzionalizzato, spessissimo a vantaggio di anonimi incompetenti. Una cinquantina o forse più (abbiamo perso il conto), le nomine assessoriali durante il regno della #bellabiancavilla. Bonanno non la prenda a modello: cambi hashtag.

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1 Commento

1 Commento

  1. giuseppe

    7 Luglio 2019 at 16:40

    Articolo condivisibile a 100%, anche se il termine malcostume è solo un pallido eufemismo a parer mio, quando chiamato al turn over è invece chi è già consigliere comunale che, senza prima dimettersi va a ricoprire la carica assessoriale, percependo in tal modo sia il gettone che lo stipendio.

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Editoriali

Europee, snobbata piazza Roma: la politica va in sale festa e case private

I biancavillesi chiamati al voto sono 18.865, ignari di una campagna elettorale svolta tra intimi

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Macché politica di piazza. Altro che politica tra la gente. A Biancavilla, la campagna elettorale per le Europee ha snobbato il cuore della città. Ai piedi del campanile di Carlo Sada – da oltre un secolo faro e testimone della partecipazione democratica – nessun comizio e nessun passaggio di candidati.

Eppure, buona parte delle forze politiche si sono mosse, invitando ed accogliendo diversi aspiranti europarlamentari. Lo hanno fatto, però, tra intimi e portatori di voti, riuniti in sale festa, ville, ristoranti e residenze private. Già, persino abitazioni per fare campagna elettorale.

A Biancavilla si sono visti (in ordine casuale): Marco Falcone, Giuseppe Lupo, Ruggero Razza, Giuseppe Antoci, Massimiliano Giammusso, Antonio Nicita…

Cosa hanno detto, fatto, promesso, denunciato? Non è dato saperlo. Nessun invito ai giornalisti, nessun comunicato stampa.

I biancavillesi chiamati alle urne sono 18.865 (cioè 9070 donne e 9795 uomini). Ignari di una campagna elettorale “privata”, rivolta alle truppe dei partiti e delle correnti di partito. Una campagna staccata dai cittadini. In lontananza, l’immancabile e inconfondibile voce di Alfio Petralia, amplificata dal megafono attaccato alla sua Fiat 500, sembra un’eco proveniente da un passato che assume i toni della malinconia.

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