Storie
«Io, mamma nonostante la malattia»: la storia esemplare di Gabriela

Ha 34 anni, è di Biancavilla ed è mamma da quasi un anno. Un sogno diventato realtà, grazie alla sua caparbietà. Affetta da sclerodermia, Gabriela ha smesso la terapia, con coraggio, per mettere al mondo la piccola Alessandra. Ecco la sua testimonianza.
AdnKronos Salute
«Ho la pelle dura per la sclerodermia, ma per carattere la testa lo è ancora di più ed è così che ho realizzato il mio sogno»: diventare mamma nonostante una malattia che 13 anni fa ha reso necessario un autotrapianto di cellule staminali, dopo il quale «mi avevano detto che sarebbe stato difficile avere un bambino. Io invece ci ho creduto fino in fondo e ci sono riuscita».
Gabriela Verzì, da Biancavilla nel Catanese, ai piedi dell’Etna, ha una forza di volontà esplosiva come il vulcano che le abita accanto. Il prossimo 19 agosto compirà 35 anni e li festeggerà insieme alla figlia Alessandra, che il 31 dello stesso mese spegnerà la sua prima candelina. Per metterla al mondo la giovane ha dovuto sospendere le terapie e lo ha fatto convinta.
«Perché nella vita dobbiamo curarci sempre – dice – ma questo non significa mollare i propri sogni”. Gabriela, che in Sicilia è responsabile regionale dell’Ails, l’Associazione italiana lotta alla sclerodermia Onlus, racconta la sua storia all’AdnKronos Salute alla vigilia della Giornata mondiale dedicata alla patologia di cui soffre. Una condizione cronica e autoimmune che in Italia colpisce 25mila persone, soprattutto donne, indurendo progressivamente prima la pelle e poi gli organi interni, con il rischio di complicanze gastrointestinali, ginecologiche, polmonari e cardiache. Ma ora, grazie alle terapie, l”onda di pietà può essere frenata ed «è possibile raggiungere una buona qualità di vita», come assicura anche Paola Muti, consigliera Ails e coordinatrice della Commissione scientifica.
Dall’ottobre scorso Gabriela è moglie di Salvatore che ha conosciuto nel 2004, durante la fase più brutta di una malattia scoperta 20 anni fa, nel 1998, appena 15enne. Allora viveva in Inghilterra dove la madre, che oggi non c’è più, era in attesa di un trapianto polmonare. «Le mani mi diventavano nere», ricorda la donna. All’inizio i suoi perché sono rimasti senza risposta, «però poi è comparsa la prima ulcera».
Dal medico di base Gabriela arriva all’angiologo che sospetta una sclerodermia; quindi la diagnosi e l’inizio dei trattamenti in un centro britannico specializzato. Nel 2003 il rientro in Italia e l’improvviso peggioramento: «Mi sono ritrovata quasi immobile, dura come il legno».
«Quell’estate mi ero esposta molto al sole, ho fatto la bella vita e l’ho pagata cara – spiega Gabriela – A livello cutaneo la patologia era progredita in maniera vertiginosa» e nel settembre del 2004 la paziente approda all’ospedale Gaetano Pini di Milano, che tuttora la segue. «E’ lì che per le mie condizioni mi hanno proposto un trapianto di staminali», cellule ematopoietiche autologhe.
«Nel gennaio 2005 sono stata ricoverata per l’espianto e a marzo dello stesso anno sono stata sottoposta al trapianto. La malattia resta – precisa la giovane – ma da allora si è stabilizzata, anche se naturalmente continuo ad assumere i miei farmaci».
Nel frattempo Gabriela e Salvatore si erano innamorati e il desiderio di un bimbo cresceva. «Dopo il trapianto mi avevano demoralizzato – continua la referente regionale di Ails Sicilia – Con tutte le terapie che devi fare, mi dicevano, è improbabile che tu possa avere figli. Quando l’ho saputo sono caduta in una depressione profonda. Qual è la donna che non vuole un bambino? Nessuna», o comunque non Gabriela che non abbandona l’intenzione di realizzare il suo sogno. Soltanto lo mette via per un po’, «perché in ogni caso dopo il trapianto mi avevano raccomandato di aspettare almeno 5 anni. Se poi ti torna il ciclo, mi spiegavano, ci sarebbe una mezza possibilità». A lei è bastata.
«Nel gennaio del 2017 ho cominciato a sentirmi poco bene – rammenta Gabriela – Stavo vivendo un periodo molto faticoso e pensavo fosse stress», invece era Alessandra. «Ho fatto il test di gravidanza ed era positivo, appena pochi mesi dopo che con Salvatore abbiamo iniziato a cercare un figlio. Era mattina presto e alle 8 ero già in ospedale per l’esame del sangue: gravidanza confermata, settima settimana».
I due genitori piangono di gioia e iniziano le analisi; il risultato è che è femmina, e che è sana. «Il mio medico, a Milano, sapeva bene quanto desiderassi un bambino e lo avevo informato della decisione di provarci», precisa Gabriela che nel 2016 ha interrotto le terapie. «Un rischio, certo, ma calcolato, condiviso e consapevole». Un coraggio quasi subito premiato, con la bella notizia di qualche tempo dopo. Gabriela, che per la sclerodermia ha anche «un po’ di fibrosi polmonare e qualche extrasistole al cuore», comincia così a farsi seguire, oltre che nel capoluogo lombardo, da un reumatologo all’ospedale Vittorio Emanuele di Catania.
«Fino al settimo mese ho avuto una gravidanza splendida – afferma – Poi è arrivata l’estate, caldissima, con punte di 47 gradi. Sono iniziate le tachicardie e verso fine luglio non ce la facevo più. Alla visita ginecologica si è visto che il liquido amniotico era sceso, ma lievemente. Il problema era la mia pressione», troppo alta. «Il 6 agosto scorso sono andata in Pronto soccorso per un controllo dal ginecologo, i valori erano alle stelle e mi hanno trattenuta», racconta ancora la donna. «Con la pressione che andava su e giù, senza riuscire a normalizzarsi, mi sono fatta un mesetto di villeggiatura in ospedale».
«Mi volevano portare fino alla 32esima di gravidanza» e anche in questo caso Gabriela ce l’ha fatta: «Il cesareo all’ospedale Santo Bambino era programmato per il 1 settembre e non ci sono arrivata per pochissimo – ricorda – Il giorno prima una mia carissima amica mi aveva portato un bel piatto di lasagne. Seguivo una dieta strettissima e non mi sembrava vero di poterle mangiare».
Infatti ha dovuto smettere, perché Alessandra aveva fretta di nascere. «Mi hanno fatto un cesareo d’urgenza e il 31 agosto 2017, alle 15.29, la mia piccola è venuta alla luce». Adesso che ha quasi un anno, “il più bello della mia vita”, Gabriela ci scherza su: «Sono riuscita a scioccare mezzo mondo. Non ci credeva nessuno, io non ho mai smesso».

Storie
Vent’anni senza Placido Stissi, il figlio Giuseppe: «Onorati di un papà così»
A “Biancavilla Oggi” il ricordo commosso: «Non ci ha visto crescere, ma siamo certi che veglia su di noi»

Vent’anni fa la morte di Placido Stissi. Il suo ricordo è intatto. Il suo gesto resta una testimonianza del suo altruismo. Dipendente della Provincia di Catania e stretto collaboratore del presidente Nello Musumeci e poi di Raffaele Lombardo, Stissi stava andando al lavoro. In un punto della tangenziale di Catania, sotto la pioggia battente, accostò e fermò la sua macchina. Lo fece per prestare aiuto ad un giovane automobilista rimasto in panne nella corsia opposta. Mentre attraversa la carreggiata, però, un veicolo lo travolse. Morì a 41 anni, lasciando la moglie Anna Maria e i tre figli, ancora minorenni: Giuseppe, Gessica e Denis.
Il ricordo del suo primogenito è intriso di affetto e orgoglio. «Sono passati 20 lunghi anni, mi fa onore, ci rende onorati che – dice Giuseppe a Biancavilla Oggi – dopo tutto questo tempo ancora la gente ricordi il gesto eroico che mio padre ha fatto. Non ha riflettuto più di una volta a scendere dalla propria auto e a soccorrere quel ragazzo rimasto in panne e con l’auto capovolta. Non ha pensato alle conseguenze che potevano succedere in quella fatidica giornata piovosa. Come poi effettivamente accaduto, lasciando noi figli piccoli e mia mamma».
Chi ha conosciuto Placido, a Biancavilla, può confermare che le parole del figlio descrivano esattamente quei modi di sincera disponibilità nei confronti di chiunque.
«Mio papà era fatto così. Sempre premuroso. Sempre cordiale e generoso con tutti. L’amico degli amici. Sempre pronto ad aiutare tutti. Un angelo volato in cielo troppo giovane e troppo presto. Oggi è raro fare e ricevere gesti del genere. Soprattutto noi giovani – sottolinea Giuseppe – dovremmo prendere esempio da questi ormai rari gesti di altruismo verso il prossimo. Non si pensa altro che all’invidia e alla cattiveria, invece dovremmo trovare il modo per riportare i bei gesti di solidarietà. Non dovremmo dimenticare che potremmo avere bisogno, anche noi, di un semplice aiuto, una carezza, una mano che ci venga posta sulla spalla o essere ascoltati».
«Noi figli – conclude Giuseppe – siamo veramente onorati di avere avuto un padre così. Mia mamma lo è del marito che ha avuto. Certo, il dolore resta, come il rammarico che ci abbia lasciati così presto senza vederci crescere ed essere al nostro fianco. Ma siamo sicuri che ci veglia da lassù e guida i suoi nipoti nella migliore strada».
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Fuori città
I cent’anni di nonna Rosa Leocata, uno sguardo dolce che sa di giovinezza
Trasferitasi 15 anni fa da Biancavilla in Lombardia: festeggiata dal Comune e dalla parrocchia di Parona

Sette anni fa si è trasferita da Biancavilla a Parona, comune di 1900 abitanti in provincia di Pavia, dove vive con la nuora. Adesso che ha compiuto 100 anni, nonna Rosa è stata festeggiata dal piccolo comune lombardo. Per lei si sono mossi l’amministrazione comunale e la comunità parrocchiale di “San Pietro Apostolo” con padre Riccardo Campari. Il sindaco Massimo Bovo, in fascia tricolore, ha omaggiato la signora Rosa con un mazzo di fiori e una targa ricordo. A fianco a lei, le nipoti Rossella e Ramona Lavenia, Alfio La Delfa e Alessio Leotta, i pronipoti Alice e Francesco, la nuora Eveline Leleu.
Una vita lunga un secolo, quella di Rosa Leocata, nativa di Adrano, ma trasferitasi nel 1927 a Biancavilla, dove ha incontrato l’uomo della sua vita. Dal matrimonio con il marito Placido Lavenia, noto per il suo salone di parrucchiere per uomini e donne, sono nati tre figli: Vincenzo, Carmelo e Santina.
Nel racconto della sua vita non mancano, certo, cicatrici e rimpianti. Rimasta orfana di madre, non ha completato la scuola e, ancora oggi, quando il pensiero torna alla sua infanzia, il suo sguardo si riempie di malinconia: «Se solo avessi potuto studiare…». Ma da bambina imparò presto a lavorare, per poi lavorare come sarta, mostrando una dedizione e un senso del dovere che sarebbero stati il filo conduttore della sua esistenza. Il dolore più grande: la morte prematura dei figli.
«Segnata da sacrifici, dolori, amore sconfinato e una forza d’animo che le ha permesso di attraversare il tempo con dignità e dolcezza. La sua – raccontano i nipoti – è la storia di una donna che ha saputo affrontare ogni avversità trasformandola in un gesto d’amore per chi le stava accanto».
«Un esempio di resilienza»
Nonostante la lontananza dalla Sicilia, a dispetto della sua età, sa maneggiare il tablet ed è solita leggere Biancavilla Oggi per tenersi informata sul suo paese d’origine.
«Nonna Rosa – raccontano ancora i familiari – non ha mai smesso di essere una presenza stabile e affettuosa per chiunque le sia vicino. La sua casa è il rifugio di ricordi dolci e amari, raccontati con una lucidità sorprendente e uno sguardo che, a 100 anni, ancora sa di giovinezza».
«La sua non è solo la testimonianza di un secolo di storia, ma è il simbolo di una donna che non si è mai lasciata piegare dalle difficoltà. Oggi, nella sua lunga vita, possiamo leggere l’essenza stessa della resilienza: la capacità di amare oltre il dolore, di donarsi senza riserve, di accogliere il futuro con un sorriso, nonostante tutto».
Ecco perché questo speciale compleanno ha anche il valore di una conquista. E un’occasione di affetto e gratitudine, che in questo giorno unisce Biancavilla e Parona: «Alla nostra nonna centenaria, l’augurio di continuare a essere l’anima gentile che ispira chiunque abbia la fortuna di conoscerla. Buon compleanno, Rosa: cento anni di te sono un regalo per tutti noi».
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