Cronaca
«Uccisi pure col cuscino in faccia». Il ritorno de “Le Iene” a Biancavilla

Nuove inquietanti rivelazione nell’ultima puntata della trasmissione di Italia 1 sul caso della “ambulanza della morte”. Ed uno degli indagati ancora opera con il mezzo di trasporto privato davanti all’ospedale.
di Vittorio Fiorenza
«Non esiste ‘sta cosa, io non ne so niente e non le ho mai fatte queste cose. Io accompagno solo le persone a casa. Io non trasporto morti, ma vivi. Così do da mangiare alla mia famiglia e sono orgoglioso, l’importante è che porto una fedduzza di pane a casa».
Davanti alle telecamere de Le Iene, tornate di nuovo a Biancavilla con l’inviata Roberta Rei, nega tutto e respinge ogni sorta di coinvolgimento nel caso della “ambulanza della morte”, che ha fatto il giro del mondo. Eppure è indagato dalla Procura di Catania per omicidio volontario perché su di lui grava l’ipotesi di una responsabilità diretta su almeno un episodio. L’uomo, residente ad Adrano, staziona ancora ogni giorno davanti all’ospedale di Biancavilla, con la sua ambulanza, a disposizione dei familiari di pazienti che dovessero chiedere un servizio di trasporto. D’altra parte è un inquisito a piede libero.
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Il suo “collega”, Davide Garofalo, anche lui di Adrano, era stato arrestato, invece, quasi due mesi fa con il sospetto di essere l’autore di almeno tre decessi in ambulanza. Le morti sospette, tuttavia, sarebbero oltre una cinquantina. Un orrore infinito, dietro al quale ci sarebbero i gruppi mafiosi di Adrano e Biancavilla, gli stessi che per anni hanno gestito i servizi di trasporto privato in ambulanza e il business dei funerali.
La tecnica utilizzata, come è noto, era quella dell’iniezione di aria in vena. Così, il paziente terminale dimesso dall’ospedale ed affidato dagli ignari familiari agli ambulanzieri privati, nel breve tragitto verso casa, esalava l’ultimo respiro. «Non era la mano di Dio a farli morire», ha svelato uno dei super testimoni dell’inchiesta. Il tutto per accaparrarsi un funerale e 200-300 euro di mazzetta dalle agenzie per ogni defunto.
In fondo, bastava una iniezione. Eppure, una nuova testimonianza mostrata nell’ultima puntata del programma Mediaset, apre un altro, inquietante squarcio sulla vicenda. I pazienti che non morivano subito con l’aria nelle vene, venivano uccisi, soffocati con un cuscino? Ne aveva già parlato uno dei testimoni che ha collaborato con gli inquirenti.
Adesso, la figlia di un’ottantenne deceduta racconta ulteriori dettagli: «Mia mamma è morta il 13 maggio del 2010 (periodo anteriore a quello, il 2012- 2016, preso finora in esame dai magistrati, ndr), io ho avuto una depressione perché è come se me l’avessero rubata. Non avevamo pace. Nel tragitto da Biancavilla ad Adrano, in cinque minuti, mia madre è morta. Diceva sempre “A casa, voglio morire a casa”». Così, i familiari avevano firmato per le dimissioni e organizzato il trasporto verso l’abitazione con l’ambulanza privata. Alle figlie della paziente era stato impedito di salire sul mezzo (un dettaglio che si ripete in tutte le testimonianze raccolte dai magistrati). Una volta arrivati a casa, la tragica notizia.
«Quando ho guardato mia mamma, una volta messa nel letto, ho notato –prosegue la testimonianza– il suo volto con un’espressione che sembrava avesse avuto difficoltà a respirare. Mi chiedevo perché fosse rimasta così. Non saprei, forse le è stato messo un cuscino sopra la bocca. Aveva un volto che sembrava chiedesse aiuto». La domanda di Roberta Rei è decisa: «Lei crede che sia stata uccisa con un cuscino?». La risposta della donna: «Il cuore mi dice di sì».
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Cronaca
Aggredisce e minaccia la madre: «Ora t’ammazzo», arrestato un 35enne
Intervento dei carabinieri, a seguito di un’accorata richiesta di aiuto di una donna maltrattata

La telefonata ai carabinieri è arrivata da una casalinga 63enne. Un’accorata richiesta di aiuto. Ancora una volta, la donna era stata picchiata dal figlio, che pretendeva denaro per l’acquisto di alcol, droga o giocare ai video poker. Immediato l’intervento dei militari: arrestato un 35enne per maltrattamenti contro familiari ed estorsione.
Appena arrivati nell’abitazione, i carabinieri hanno trovato la donna attorniata dai familiari, marito e tre figli, tra cui il 35enne. La donna, che sin dà subito è apparsa emotivamente provata, pur non volendo affidarsi alle cure dei sanitari, nonostante mostrasse i segni delle percosse, soprattutto sulle braccia e sul collo, ha comunque deciso di confidarsi con i militari, raccontando quanto appena accaduto.
Dalla ricostruzione dei fatti, è quindi emerso come il figlio avrebbe da lei preteso l’ennesima somma di denaro, questa volta di 30 euro, che sarebbe riuscito ad ottenere solo dopo averla aggredita. In quel frangente, provvidenziale sarebbe stato l’intervento del padre 70enne, che in difesa della moglie, sarebbe intervenuto bloccando l’uomo.
Il 35enne, a quel punto, soddisfatto, dopo essere uscito per alcune ore, sarebbe rincasato solo in serata, completamente ubriaco, dando il via ad un nuovo litigio. Dopo aver fatto cadere una bottiglia di birra sul pavimento, si sarebbe infatti nuovamente scagliato contro la povera madre, dandole la colpa dell’accaduto. La reazione dell’uomo sarebbe stata minacciosa: «Colpa tua se la birra mi è caduta a terra, ora t’ammazzo». E poi si sarebbe scagliato contro una porta, danneggiandola insieme ad altre suppellettili.
Effettivamente, anche alla presenza dei militari, il 35enne non si è calmato, proseguendo anzi con le minacce alla madre: «Appena torno (dal carcere) t’ammazzo».
La donna aveva già presentato una denuncia nei confronti del figlio per analoghi fatti. Motivo per cui, i carabinieri hanno stavolta arrestato il 35enne, trasferendolo nel carcere di piazza Lanza, a Catania.
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